Sono lontani, anzi remoti, i tempi delle grandi battaglie sociali fra leader come Reagan o Tatcher e i sindacati. Noi abbiamo Landini e la sua strana reticenza verso una piazza sfascista, no-pass e no-vax, che meriterebbe una parola in più. L’affondo di Giuliano Cazzola
Reduce dal trionfo di Piazza San Giovanni, Maurizio Landini farebbe bene ad annotarsi una celebre frase di Abraham Lincoln: “È possibile ingannare un altro per sempre e tutti per una volta. Ma nessuno riuscirà ma ad ingannare tutti per sempre”.
L’attacco e le devastazioni nella sede della Cgil sono state azioni violenti e indegne che hanno profanato, non solo il sindacato più onusto di storia, ma una vera e propria istituzione della democrazia e del lavoro. Landini, tuttavia, non può pensare di cavarsela buttando, in continuazione, la palla sulle gradinate dell’antifascismo e dirottando sulla ”variante FN” le responsabilità della crisi di nervi di cui soffrono il paese e significativi segmenti del mondo del lavoro.
In queste giornate convulse e governate dal contagio della follia, i fascisti di nuovo conio meritano la galera dove sono stati rinchiusi, ma sono soltanto degli infiltrati, dei parassiti che si inseriscono nel caos per dirottarne gli obiettivi e le finalità. Rappresentano le mosche cocchiere di una mandria di bufali imbizzarriti che dilaga confusamente inseguendo la luna.
L’essere stato vittima di un assalto fascista non assolve Landini dalle sue responsabilità verso i problemi che stanno incaprettando la ripresa economica e sociale del paese: il ribellismo, il complottiamo e un abusivo ‘’dirittismo’’ scesi in campo contro le misure adottate dal governo per garantire le riaperture in sicurezza e sventare il rischio di dover affrontare una nuova emergenza sanitaria a scapito del lavoro e dell’economia, con il ritorno al ‘’luddismo’’ dei lockdown.
È stato il segretario generale della Cgil, accompagnato dai reggicoda delle altre confederazioni, ad intestarsi in prima persona la battaglia contro il green pass, rifugiandosi poi dopo settimane di campagna estiva nella linea del ‘’no aderire né sabotare’’ dissimulata con la proposta (aut Caesar aut Nihil) dell’obbligatorietà ex lege della vaccinazione o in alternativa il ricorso gratuito alla ‘’prova del naso’’ tramite tampone.
Che cosa pensa Landini del movimento no vax-no-pass? Che cosa pensa di un conflitto aperto in tanti luoghi di lavoro (addirittura con scioperi a oltranza) su chi deve pagare i tamponi?
Il giorno dopo l’aggressione, Landini, parlando davanti alla sede di Corso d’Italia, non ha pronunciato una sola parola sia sui no vax che sul green pass. In Piazza San Giovanni la reticenza del leader della Cgil si è trasformata in omertà. Eppure la Cgil sostiene che la vaccinazione è l’unico mezzo per sconfiggere il virus, tanto che dovrebbe persino divenire obbligatoria. Chi non volesse vaccinarsi dovrebbe sottoporsi al supplizio del tampone ogni due-tre giorni. Ma se questa divenisse la normativa vigente, il lavoratore vaccinato non dovrebbe certificare la sua condizione per poter accedere in azienda?
Quanto ai tamponi è evidente il progetto di risolvere, dove è possibile, l’operazione sul posto di lavoro. Non tutte le aziende saranno in grado di farlo; ma soprattutto le autorità sanitarie perderanno il controllo della situazione e saranno possibili anche abusi e manipolazioni. Attendiamo le decisioni del governo.
Finora Mario Draghi ha tenuto duro. Ma si sta facendo strada sui media e tra le forze politiche, l’idea della ‘’pacificazione’’, perché –scrivono le ‘’anime belle’’ – non si possono ignorare milioni di persone disposte a rinunciare allo stipendio per non dover esibire il green pass (è un altro paio di maniche capire se ce l’hanno con la certificazione – come in tanti affermano mentendo – o con la somministrazione del vaccino).
Sarebbe come dire così: visto che sono milioni gli evasori non possiamo non venire loro incontro e trovare una mediazione, a scapito di chi paga le tasse. In fondo costoro, pur di non essere contribuenti corretti, rischiano sanzioni gravissime. Certo però che anche nella disobbedienza civile ci facciamo riconoscere.
Ronald Reagan dovette prendere di petto i controllori di volo. Margaret Thatcher sostenne una lotta durissima con il sindacato dei minatori (con morti, feriti, arresti), a costo di lasciare al freddo gli inglesi durante un rigido inverno.
In questi conflitti c’era qualcosa di epico, che colpiva l’immaginario collettivo. Entravano in gioco tradizioni sindacali secolari, il potere di interdizione delle Unions, la mitologia socialista delle nazionalizzazioni. Da noi è rimasta, da adulti, la paura di quando – da bambini – la mamma minacciava di farci la puntura se non prendevamo lo sciroppo.