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Tutte le ombre sulle brillanti prospettive della Nadef

I rischi che non ricevono una compiuta trattazione nella Nadef riguardano principalmente il brusco risveglio dell’inflazione, le reazioni delle autorità monetarie e dei mercati finanziari, il ripristino futuro dei vincoli del Patto di Stabilità e l’impatto effettivo che potrebbero avere le riforme che si possono realizzare alla luce dei tanti condizionamenti che sono già emersi nel dibattito politico

L’ultima Nota di Aggiornamento del Def (Nadef) si distingue dalla precedente per il tono più positivo nel rappresentare l’andamento dell’economia nell’anno in corso e nel prossimo triennio, e per la dovizia di particolari con cui si sofferma sui fattori trainanti nelle prospettive di crescita e di finanza pubblica. Si prospetta per il medio termine, e non solo per il biennio 2021-2022, un quadro di crescita sostenuta del Pil, degli investimenti e dell’occupazione con un limitato riequilibrio dei conti pubblici. I fondamenti di questo sviluppo sono individuati negli impulsi provenienti dalla spesa pubblica, dal Pnrr, dalla continuazione dell’accomodamento monetario e dei mercati finanziari, nonché dalla ripresa dell’economia mondiale e degli scambi. Su questa favorevole congiunzione di eventi si fonderebbe anche il lento rientro dagli attuali vistosi squilibri nella finanza pubblica. Non intaccherebbe questo quadro nemmeno la considerazione di alcune possibili deviazioni in senso sfavorevole rispetto allo scenario di base assunto a riferimento. Pur non peccando di quell’eccesso di ottimismo dei governi precedenti alla pandemia nel delineare le prospettive risultanti dalla loro strategia economica, l’impostazione del governo attuale non fuga, tuttavia, alcune ombre di non poco conto nell’affrontare le sfide dei prossimi anni.

I rischi che non ricevono una compiuta trattazione nella Nadef riguardano principalmente il brusco risveglio dell’inflazione, le reazioni delle autorità monetarie e dei mercati finanziari, il ripristino futuro dei vincoli del Patto di Stabilità e Crescita, di cui peraltro l’Italia chiede la modifica in senso permissivo, e l’impatto effettivo che potrebbero avere le riforme che si possono realizzare alla luce dei tanti condizionamenti che sono già emersi nel dibattito politico. Non che la Nadef non ne tratti, ma li considera o mostra di considerarli come fattori che non modificano in misura significativa le sue prospettive nel medio termine. Su questi punti il governo non sembra consapevole della possibilità di dover fronteggiare brutte sorprese.

La prima sorpresa si sta vedendo sul versante dell’inflazione, benché le principali autorità monetarie, la Fed e la Bce, si affannino a ripetere che si tratta di un fenomeno transitorio. La fiammata dei prezzi, iniziata nel secondo trimestre dell’anno, si sta rivelando più intensa ed estesa di quanto atteso. È iniziata con la ripresa della domanda mondiale di prodotti petroliferi e primari, che ha spinto la quotazione del petrolio fino a un picco di 80 dollari a barile. Si è quindi estesa ai prezzi dei prodotti industriali, segnando nell’area dell’euro un +9,8% (al netto delle costruzioni) da inizio d’anno fino a luglio. In Italia sono saliti più della media dell’area (10,5%) e hanno continuato a salire ad agosto, portando il rialzo al 12,1%. Insignificante, invece, l’aumento dei prezzi dei servizi (0,5%) nei primi due trimestri, principalmente per la debolezza della domanda, ma vi sono segnali che nei mesi successivi stia riprendendo con il recupero del settore.

L’inflazione alla produzione si è riflessa in misura modesta su quella al consumo fino a settembre (2,4%), mantenendosi poco al di sotto dell’incremento medio nell’area dell’euro (2,7%), pur segnando un rapido aumento in pochi mesi. Vi è tuttavia un potenziale d’inflazione che si è accumulato a monte, che non tarderà a scaricarsi al livello dei consumi in un contesto di abbondante liquidità, perduranti strozzature nell’offerta di prodotti di base, di componenti elettronici e di lavoro, nonché di rapido ritorno della domanda rimasta repressa per parecchi mesi. Lo si vede già negli USA, dove l’inflazione al consumo in soli quattro mesi ha raggiunto un picco del 5,4% a giugno e luglio (su base annua) ed è scesa appena al 5,3% ad agosto.

La reazione delle autorità monetarie americane come delle europee è stata fino ad oggi di tranquillizzare gli operatori e i mercati sottolineando il carattere temporaneo dei forti aumenti, ma hanno anche dato qualche segnale di una maggior cautela nel loro accomodamento. La Fed ha fatto intendere che entro la fine dell’anno ridurrà gli acquisti di titoli pubblici e che potrebbe anticipare al prossimo anno un primo ritocco ai tassi d’interesse. La Bce, pur rimanendo ferma nel continuare il suo piano di acquisti fino alla scadenza del marzo prossimo, ha programmato un riesame della sua politica monetaria entro fine anno.

In un panorama così incerto appare azzardato ipotizzare nella Nadef una tendenza a un aumento lieve del deflatore del Pil e di quello dei consumi, ossia dall’1,5% dell’anno corrente al 1,6% nel prossimo, e di seguito una discesa fino al 2024. Né appare realistico avere in programma un quadro in cui il rialzo dell’inflazione sia altrettanto lieve, con entrambi i deflatori appena un decimale al di sopra del tasso del 2022, ovvero all’1,7% nel 2024. Secondo questo programma le pressioni sui prezzi dovrebbero estinguersi rapidamente e non lasciare strascichi sulle politiche macroeconomiche. Coerentemente, è ipotizzato che la spesa per interessi sul debito pubblico scenda dal 3,4% del Pil nel 2021 al 2,5% nel 2024 in entrambi i quadri, tendenziale e programmatico.

Un simile scenario sconta un atteggiamento molto accomodante delle autorità monetarie e dei mercati finanziari insieme a una crescita sostenuta del Pil in termini reali e una modesta inflazione. Invero, un panorama decisamente favorevole, con cui è difficile essere d’accordo nell’attuale fase economica all’interno come in Europa e negli Stati Uniti.  Si è in realtà in piena transizione verso nuovi assetti produttivi e mutazioni nei comportamenti delle imprese di fronte all’incalzare delle spinte tecnologiche. In fasi del genere è improbabile che i processi di rinnovamento si svolgano in maniera ordinata e senza tensioni o intoppi, e che i mercati non ne tengano conto continuando a finanziare investimenti ed innovazioni a condizioni così favorevoli come le attuali. Né si può contare che l’atteggiamento del governo dell’economia nell’eurozona resti a lunga così tollerante.

Lo si vedrà presto in occasione delle discussioni sul Patto di Stabilità e Crescita, che per accordo generale tra i paesi è stato sospeso fino al prossimo anno. La Commissione Europea, nel frattempo, si è impegnata a presentare le sue valutazioni in merito entro la fine dell’anno e raccomanda politiche di bilancio differenziate secondo l’intensità degli squilibri di finanza pubblica in ciascun paese. Nei paesi con il debito pubblico più elevato in rapporto al Pil è necessario perseguire una politica di bilancio prudente, concentrando le risorse sugli investimenti e frenando la spesa corrente.

L’Italia sembra attenersi a questa linea a livello programmatico, prevedendo una piccola riduzione in valore assoluto delle spese correnti nel prossimo biennio (meno di 1%) e una loro ripresa nel 2024, mentre in rapporto al Pil la diminuzione sarebbe più consistente per effetto dell’attesa espansione del prodotto interno. Al contrario, verrebbe dato più spazio alla spesa per investimenti pubblici, che salirebbe in tre anni dal 2,9% al 3,4% nel 2024. Proprio per continuare a utilizzare nel triennio la spesa pubblica in funzione di sostegno della crescita economica non è programmato un più rapido percorso di abbassamento verso i livelli pre-pandemia dell’incidenza del debito pubblico.

Alla fine del 2024 il debito scenderebbe al 146,1% del Pil rispetto al 136% del 2019, come risultato principale dell’espansione del reddito stimolata dall’intervento pubblico. Tra questi stimoli il governo conta meno sull’impatto delle riforme, perché ritiene che gli effetti saranno ritardati e diluiti nel tempo oltre l’orizzonte temporale a cui si riferiscono i suoi programmi. È un riconoscimento tardivo di una realtà messa in evidenza dagli analisti sin dalla pubblicazione del DEF. Non è soltanto questione di cadenza temporale, in quanto rileva soprattutto la consistenza d’impatto delle riforme. La Nadef elenca una lunga serie di provvedimenti in cantiere che saranno specificati negli allegati alla legge di bilancio.

La prima riforma varata, quella della giustizia, non sembra, tuttavia, incidere profondamente in senso migliorativo, perché accorcia perentoriamente i tempi dei procedimenti civili senza sanzionare le inosservanze, scoraggia dal ricorrere alla giustizia facendo leva su soluzioni extragiudiziarie, investe principalmente nella quantità di nuove risorse umane assegnate alla giustizia, non responsabilizza i magistrati per i ritardi e la qualità delle prestazioni, ed attenua l’effetto dissuasivo delle pene o sanzioni per i reati e gli illeciti nelle attività economiche. Lo sviluppo di una sana economia, invece, si fonda sull’osservanza delle regole e sulla punizione delle deviazioni, come si osserva in molti casi nell’esperienza americana. Bisogna quindi chiedersi se le altre riforme in programma, compresa quella fiscale, saranno di analoga caratura?

Il debito pubblico rimarrà ancora per anni un grande peso sulla strategia economica dei governi, un peso che sarà sostenibile fin quando i mercati finanziari riterranno che l’espansione economica del Paese possa assicurare il servizio del debito nel tempo. Se tuttavia durante il decennio le condizioni dei mercati mutassero in senso sfavorevole, o se l’inflazione andasse oltre il margine di tolleranza e i tassi d’interesse reali tornassero su valori positivi, o se i termini del Patto di Stabilità non fossero resi più flessibili come chiesto dall’Italia, il governo dovrebbe accelerare il passo nel rientro dal debito, mirando a un consistente saldo primario nel bilancio pubblico e frenando la spesa corrente. In questa evenienza il rischio di dover ricorrere a un maggior sostegno dei paesi partner s’ingrandirebbe e con esso la possibilità di vincoli alle sue scelte di politica economica.

Sarebbe, invece, più saggio prevedere nel prossimo bilancio alcuni meccanismi di salvaguardia, onde assicurare il rientro dai disavanzi e dal maggior debito anche durante la prossima fase del contendere politico in vista delle elezioni del prossimo biennio.


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