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Pensioni, la normalità si chiama Fornero. La versione di Cazzola

Sono propenso a ritenere che a livello politico l’intesa si troverà essendo il campo di gioco sostanzialmente ristretto ad un problema tecnico ed economico. Chi resta col cerino in mano acceso sono i sindacati. Il commento di Giuliano Cazzola

“Il tema delle pensioni è oggetto di discussione della legge di bilancio, quota cento non verrà rinnovata ma occorre assicurare una gradualità nel passaggio verso la normalità”. Sono parole di Mario Draghi dette nella “solennità” di Bruxelles col tono di chi prende un impegno serio con i propri interlocutori. Questa dichiarazione che rompeva, su questo tema spinoso, un silenzio impenetrabile durato mesi è suonata in Italia come un rivolgimento improvviso di un “comune sentire” che in Italia aveva preso piede nell’opinione pubblica e che ormai era divenuto un fatto pacifico: la riforma Fornero è stata sbagliata di sana pianta; è una legge che condanna i lavoratori a godersi il riposo terreno poco prima di quello estremo; con quota 100 e le altre misure adottate dal governo Conte 1 si erano aperte prospettive di liberazione ed equità e si era in via di superamento della “legge Fornero”.

Non è un caso che gli acerrimi avversari di quella riforma – Matteo Salvini in testa che con la connivenza dei media era riuscito a lucrare consenso con le sue critiche insensate e disoneste alle norme del 2011 – si sono sempre opposti , anche con minacce “insurrezionali”, al suo “ritorno’’. Invece, parafrasando alcuni versi della “canzone del Piave” potremmo dire oggi “come un singulto in quell’autunno nero/ Salvini mormorò ritorna la Fornero’’. In verità la riforma del 2011 non era mai stata abolita (Salvini in campagna elettorale aveva annunciato che in caso di vittoria, il primo provvedimento del governo sarebbe stato un decreto di “cancellazione’’ di quella normativa raccolta in due articoli del decreto Salva Italia), ma solo derogata in via sperimentale e temporanea attraverso due misure: quota 100 ovvero la possibilità di andare in quiescenza sommando 62 anni di età e 38 di versamenti contributivi (fino a tutto il 2022); il congelamento rispetto all’adeguamento automatico all’incremento dell’attesa di vita del requisito contributivo ordinario per il trattamento di anzianità a 42 anni e 10 mesi e a un anno in meno per le donne fino a conclusione del 2026. Quest’ultimo dispositivo – che ha determinato un numero di pensionamenti più elevato della stessa quota 100 – è sempre rimasto in ombra e probabilmente continuerà indisturbato a produrre indisturbato i suoi guasti anche dopo la “cura” Draghi.

Pertanto è bene prendere nota di un po’ di filosofia dell’assurdo nel bailamme di questi giorni. Salvo un improvviso ravvedimento operoso del governo, verrà chiusa la porta prospiciente sulla via più importante (quota 100) mentre resterà aperta ancora per anni l’uscita secondaria; e in tanti usciranno da lì. Tornando al nodo gordiano della questione, Draghi in un Paese di “barbe finte” è sembrato essere rivoluzionario ricordando semplicemente come stanno le cose: scadute le deroghe per di più dopo una sperimentazione assai discutibile, si torna alla “normalità” ovvero a quanto è sopravvissuto della riforma Fornero. Al dunque, nella maggioranza, la discussione – a pensarci bene – si riduce ad un solo aspetto: quale gradualità adottare (attraverso le quote e il rafforzamento dell’Ape sociale per le categorie disagiate) per salire dai 62 anni di età che vengono meno a fine anno ai 67 anni di ordinanza. “Questo di tanta speme oggi mi resta!”. Dovrebbe recitare il leader della Lega. Ma Salvini riuscirà ad uscirne in qualche modo usando la tecnica collaudata di mentire, trasformando una sonora sconfitta in una mezza vittoria: la solita tattica di anticipare i punti di caduta (in verità abbastanza scontati) per intestarseli come frutto di una eroica resistenza contro coloro che volevano “tornare alla Fornero”.

Sono propenso a ritenere che a livello politico l’intesa si troverà essendo il campo di gioco sostanzialmente ristretto ad un problema tecnico ed economico. Chi resta col cerino in mano acceso sono i sindacati i quali si erano spinti più avanti di tutti – incoraggiati a suo tempo – dal governo Conte 2 e dall’allora ministro Nunzia Catalfo che fosse necessaria una riforma che superasse del tutto quella del 2011. Ed infatti loro ci hanno provato. Però – come quel personaggio di Carosello che non aveva mai usato la brillantina Linetti – anche loro hanno commesso un errore non da poco: hanno sbagliato direzione. Invece di un “ritorno al futuro” la loro macchina del tempo li ha riportati indietro di trent’anni. Hanno proposto una riforma “abrogativa” di tutte quelle intervenute in tutto questo tempo (al netto persino delle controriforme). La trojka al vertice delle confederazioni storiche non sta dando gran prova di sé. Hanno detto che si mobiliteranno. Draghi ha rappresentato quale dovrebbe essere la reazione a questi annunci bellicosi, quando ieri si è alzato e ha lasciato la riunione.


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