Prende corpo la proposta del presidente dell’Inps di consentire l’uscita anticipata dal lavoro ma beneficiando, fino ai 67 anni, dei soli contributi versati, senza tenere conto del reddito. Ma dal Fondo monetario mandano un avviso all’Italia…
Che il definitivo accantonamento di Quota 100 fosse nei desiderata del governo di Mario Draghi era evidente. Troppi quei 18,8 miliardi a carico dell’Inps per sostenere le oltre 340 mila domande di uscita anticipata dal lavoro, da qui al 2030, grazie alla combinazione voluta dalla Lega, tre anni fa, di 62 anni di età da sommare a 38 anni di contributi. D’altro canto però, non si può precludere la possibilità di lasciare anzitempo il lavoro, seppur con un assegno più leggero. E allora, ecco la proposta che porta il nome di Pasquale Tridico, presidente dell’Inps e che vuole essere una specie di gemella diversa di Quota 100, peraltro in scadenza naturale a fine anno. Come a dire, il meccanismo è diverso, ma il fine lo stesso.
ADDIO A QUOTA 100. MA COME?
L’idea di Tridico, ascoltato in audizione alla Camera, è tutto sommato semplice: si va in pensione prima ma solo usufruendo dei contributi versati e non dell’ammontare del reddito (nel 1995, anno della riforma delle pensioni targata governo Dini, fu introdotto il meccanismo contributivo in parziale sostituzione del retributivo). Dunque, si potrebbe dare ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare prima del 1995 e ricadono dunque nel sistema misto, la possibilità di accedere alla pensione a 63-64 anni, beneficiando di una prestazione di importo pari alla quota contributiva maturata alla data della richiesta, per poi avere la pensione tutta intera al raggiungimento dell’età di vecchiaia. Insomma, in pensione prima ma con meno soldi, almeno temporaneamente.
I conti sono presto fatti. Premesso che i requisiti sarebbero essere in possesso di almeno 20 anni di contribuzione e aver maturato al momento della scelta una quota contributiva di importo pari o superiore a 1,2 volte l’assegno sociale, per le casse pubbliche il costo della misura sarebbe di circa 2,5 miliardi per i primi tre anni (l’esecutivo è pronto a mettere in pancia alla manovra in fase di scrittura fino a 5 miliardi di euro per finanziare il tutto) ma con i primi risparmi di spesa entro il 2028. Nel 2022, secondo i calcoli di Tridico, potrebbero accedere a questo strumento 50mila persone per una spesa di 453 milioni mentre nel 2023 potrebbero accedere 66mila persone per 935 milioni. Gli anni con il costo più sostenuto sarebbero il 2024 e 2025 con oltre 1,1 miliardi l’anno e 160mila uscite nel biennio (332mila dal 2022 al 2027).
LO STOP DEL FONDO MONETARIO
Attenzione però, perché c’è chi non è d’accordo con l’uscita anticipata dal mondo del lavoro, Quota 100 o altro che sia. Per esempio il Fondo monetario internazionale, che in un report rimasto nell’ombra fino a poco tempo fa è entrato a gamba tesa sulle pensioni italiane. L’organismo di Washington ha messo nel mirino il sistema previdenziale tricolore, tornando a respingere, per la salute dei nostri conti pubblici, le uscite anticipate. “Le misure per incoraggiare il pensionamento tardivo e gli strumenti per integrare i regimi pubblici possono sostenere l’adeguatezza delle pensioni” in linea con le esigenze del debito. La crisi del Covid potrebbe richiedere maggiori sforzi alle future riforme pensionistiche”. Insomma, un invito non celato ad archiviare del tutto strumenti come ad esempio Quota 100, ovvero l’uscita anticipata a 62 anni con almeno 38 anni di contributi. Ma anche la proposta Tridico.
OCCHIO AL PIL
Intanto c’è un problema nel problema. Come noto, il meccanismo contributivo poggia sui cosiddetti montanti che a loro volta sono agganciati all’andamento del Pil. In breve, se il Paese cresce, crescono i montanti, se invece il Pil rimane inchiodato o va sotto zero, come nel 2020, i montanti rimangono al palo e le pensioni si sganciano dall’economia reale.
Ora, nel 2020 la pandemia ha polverizzato oltre l’8% del Pil italiano, con ripercussioni inevitabili sui montanti. L’Istat ha precisato che il coefficiente del montante risulta inferiore all’unità, a causa della dinamica negativa del Pil nominale del periodo considerato. Pertanto, per le pensioni con decorrenza successiva al 1 gennaio 2022, i montanti contributivi accumulati fino al 31 dicembre 2020 non subiranno rivalutazioni.