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Perché i ballottaggi non sballottano il governo. Parla Pregliasco (Youtrend)

Intervista al co-fondatore di Quorum e Youtrend: le amministrative non terremoteranno il governo, ma le tensioni accumulate nei partiti rischiano di uscire fuori. Il centrosinistra ha più da perdere, il centrodestra ha già incassato una delusione e vorrà dimenticare presto. Non è detto che ci riesca

Un equilibrio precario, ma stabile. Il governo Draghi non rischia davvero con queste amministrative, dice a Formiche.net Lorenzo Pregliasco, direttore e co-fondatore di Youtrend e Quorum. Ma le tensioni accumulate nei partiti, soprattutto in un centrodestra scottato dalla delusione alle urne, sono destinate a venire fuori, prima o poi.

Pregliasco, chi ha più da perdere dai ballottaggi?

A mio parere il centrosinistra. I risultati positivi del primo turno lo danno per favorito nelle grandi città, dovrà rispettare le aspettative.

Torino e Roma, nelle grandi città la partita è aperta?

Ai ballottaggi la partita è aperta per definizione, sono un’elezione nuova, da conquistare. Il centrodestra li affronta in salita. Al primo turno non è riuscito a mobilitare una parte di elettorato, soprattutto nelle periferie di Roma e Torino che avevano votato Cinque Stelle nel 2016 e Salvini nel 2019.

Dove sono finiti quei voti?

Nell’astensione, ma non solo. Sui ballottaggi peseranno i voti degli esclusi. Saranno decisivi per Lo Russo a Torino ma soprattutto per Gualtieri a Roma. L’ex ministro sa di dovere il suo vantaggio al voto favorevole di gran parte degli elettori di Calenda e Raggi.

Che effetto ha avuto il primo turno sulla campagna elettorale delle ultime due settimane?

Il primo turno ha fotografato i blocchi di partenza. A Torino il centrodestra si attendeva un vantaggio di Damilano, oggi si trova a inseguire Lo Russo. Complice la difficoltà nel compattare una coalizione di elettorati diversi. Uno più borghese, liberale, moderato, che vive in centro, l’altro più arrabbiato, nelle periferie, che ha ingrossato le fila dell’astensionismo.

C’è da attendersi una nuova astensione record?

Sì, probabilmente inferiore al primo turno. Non sorprende: a Roma, ad esempio, più del 40% degli elettori al primo turno ha scelto candidati che non sono arrivati ai ballottaggi. Un’astensione così alta ci interroga sulla natura stessa delle elezioni. Prendo un dato: a Torino Lo Russo ha preso due punti percentuali in più di Fassino nel 2016, ma con 20.000 voti in meno.

C’è un filo rosso fra astensione e proteste no-green pass?

Onestamente credo di no. Non è mancata un’offerta politica per i no-green pass e anche per i no-vax, alcune liste hanno avuto percentuali interessanti, penso a Trieste. Resta da scoprire quanto il centrodestra incamererà questa componente. Inutile negarlo: gli occhiolini di Fdi e Lega a questa piazza li ha posti un po’ fuori sintonia con l’elettorato moderato.

Il caso dell’eversione nera può avere un impatto alle urne per il centrodestra?

Sì, ma limitato. Sugli elettori di Calenda che, al secondo turno, faticano a convergere sul centrodestra. O ancora, in senso opposto, sul compattamento del centrosinistra a Roma.

Chi ha più da perdere fra Salvini e Meloni?

Entrambi escono piuttosto male dalle amministrative. Le tensioni nella coalizione hanno causato ritardi nella scelta dei candidati. Fdi è cresciuta molto nelle città ma ha avuto risultati al di sotto delle aspettative. Ne cito uno: il 17% della lista a Roma. È un buon risultato, non sufficiente per lanciare un’opa sull’elettorato grillino incamerato da Salvini tre anni fa.

La scommessa di Meloni su Michetti è un rischio per le sue ambizioni da futura premier?

Ci sono due lati della medaglia. Da una parte la scelta di candidati civici significa non intestarsi davvero una loro eventuale sconfitta. È anche vero che nelle cinque grandi città al voto il centrodestra giocava su un terreno molto sfavorevole. Anche quando la coalizione ha vinto le elezioni nazionali o europee come nel 2018 e nel 2019, queste città hanno favorito il centrosinistra.

Le metropoli sono davvero indicative di un trend nazionale?

Ecco, questo è un punto imoportante. La risposta è no: gran parte della popolazione italiana vive in piccoli e medi centri. Qui, come nelle periferie che hanno disertato in massa le urne, si giocherà la partita per le elezioni politiche.

Ora uno sguardo alla Lega. Tornerà ad essere Lega nord?

Un bel dilemma. La verità è che il voto amministrativo scontenta tante “linee” politiche, non solo quella di Salvini. La Meloni non è riuscita a completare il takeover del centrodestra, e anche profili moderati di Lega e Fdi vedono i loro candidati faticare alle urne.

Insomma, la leadership di Salvini non vacilla ancora.

Mi sembra che la domanda sia piuttosto un’altra: può la Lega sacrificare Salvini senza rinunciare al tempo stesso al dna di partito nazionale? È un interrogativo con cui Zaia, Giorgetti e altre prime file del partito devono fare i conti.

I Cinque Stelle escono comunque ridimensionati dalle amministrative o possono ancora dimostrarsi “indispensabili” per il centrosinistra?

Escono molto ridimensionati, i numeri parlano da soli. Prendiamo Roma, dove la Raggi ha preso il 19% dimezzando i consensi: nella storia nessun sindaco uscente che si è ricandidato ha preso così pochi voti.

A Napoli però sono stati decisivi.

Hanno dato un contributo importante, forse non indispensabile. E a Milano hanno incassato una delusione cocente, rimanendo fuori dal Consiglio comunale, superati perfino da un ex come Paragone.

Ma il voto locale è un tallone d’Achille del Movimento, o no?

È vero. Il Movimento ha un passato di risultati deludenti alle amministrative cui sono però seguiti risultati nazionali molto diversi. Nel 2017 dopo il voto nelle città molti hanno previsto la fine dei Cinque Stelle, che un anno dopo alle nazionali hanno preso 11 milioni di voti, primo partito nazionale.

Quindi il trend non deve preoccupare?

Non c’è dubbio: il trend segnala un declino che Conte fatica ad arginare. Dall’estate del 2019, quando ha formato il governo Conte-bis, il Movimento ha perso il suo dna di rottura con il sistema, e la sua natura alternativa al Pd. Oggi è un partito di governo, semi-populista e di centrosinistra, con uno spazio elettorale drammaticamente ridotto.

Queste elezioni possono avere un impatto sulla tenuta del governo e sulla “tregua” fra partiti imposta da Draghi?

Non credo che il voto impatterà sul governo, non in modo determinante almeno. Anche se, sotto il pressing dei risultati, la Lega decidesse di uscire dalla maggioranza, Draghi potrebbe contare su una coalizione ampia in Parlamento.

 

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