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Portuali in sciopero? Sono una minoranza ma la logistica va ripensata. Parla Barbera (Uniport)

Il punto sulle agitazioni della categoria dei portuali, riuniti in presidio nei porti di Genova e Trieste contro l’obbligo del green pass. “Hanno portato alla ribalta il vero problema dei porti: la mancanza di infrastrutture adeguate e l’intasamento del flusso”. Conversazione con Federico Barbera, presidente di Fise Uniport

Le parole d’ordine sono: “Sciopero a oltranza”. I portuali, stretti nel cordone della manifestazione, fanno rumore. Manifestano per “la libertà” di non esibire il green pass, nel primo giorno di introduzione dell’obbligatorietà del controllo delle certificazioni ai lavoratori da parte delle aziende. La minaccia delle ricadute sul mercato interno era pesante. Ritardi, disagi. Un intero settore, quello della logistica, completamente in ginocchio. Proprio nel momento della ripartenza. Tuttavia, la lettura di Federico Barbera, presidente di Fise Uniport, l’unione nazionale delle imprese portuali, ridimensiona le proporzioni del fenomeno.

Barbera, le immagini delle manifestazioni di Genova e Trieste sono eloquenti. Cosa sta succedendo?

Il vero problema è che un nucleo di persone, non molto ampio, non è rappresentativo di un’intera comunità come è quella dei lavoratori portuali. Proclamando lo sciopero a oltranza, hanno attivato l’attenzione su di loro, non tanto sul problema. A Genova poi, si è approfittato della questione green pass per chiedere il rinnovo dei contratti integrativi.

I portuali in sciopero, hanno permesso però, ai vaccinati, di lavorare ugualmente.

Infatti devo dire che questo è un aspetto che va sottolineato: i manifestati sono comunque stati corretti. Dal canto loro rivendicano la libertà anche a non lavorare, ma hanno consentito a chi aveva il green pass di svolgere normalmente il proprio mestiere. Ma questa manifestazione ha portato alla ribalta il vero problema dei porti.

Quale sarebbe?

Ce ne sono diversi, per la verità, A partire dal traffico insopportabile, varchi doganali inadeguati alle esigenze di un mercato sempre più in espansione. In più, le strutture stesse, dei porti italiani, rischiano di non essere più competitive. Il problema è che, qualora si decidesse di ampliarle, si rischierebbe di abbattere delle chiese del Cinquecento e dei monumenti storicamente rilevanti. Il punto è che non abbiamo, in Italia, città portuali, ma città coi porti.

Come ovviare a questa impasse?

Concependo dei porti sviluppati a mare. Esattamente come accade in altri Paesi europei, nostri diretti competitor. Da parte degli amministratori, sindaci in primis, occorre sottolineare con forza questa esigenza. Non possiamo più permetterci di avere delle infrastrutture inadeguate. Il mercato procede, e rischiamo di non essere al passo. Certo, occorrono investimenti cospicui e un’attenzione particolare alle concessioni demaniali. Tuttavia, con uno sforzo collettivo, penso sarà possibile.

Negli ultimi giorni, legato al tema degli scioperi dei portuali, si è parlato di pesanti ritardi. Secondo lei ci saranno?

È possibile, ma non tanto per gli scioperi dei portuali. Tanto più per le reali criticità che scontano i nostri porti. La logistica deve essere un volano di sviluppo per la Nazione. Se non riusciamo a competere con gli altri Paesi, in termini di efficienza del trasferimento delle merci, noi saremo sempre svantaggiati. Il valore del Made in Italy deve essere difeso. E la difesa del valore dei prodotti italiani, passa anche dal ripensare i porti.

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