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Quella pernacchia afgana di Putin all’Occidente

La riunione internazionale guidata dai russi con i Talebani pone un alternativa alla negoziazione di Usa e Ue. Dialogo diretto, pragmatismo, con buona pace dei diritti umani. Insieme alla Russia Cina, Iran, Pakistan e India

In Afghanistan la Russia continua a guidare i negoziati con i talebani scegliendo un formato sui generis: dialogare oggi, domani chissà. In quest’ottica si inserisce l’invito a Mosca da parte  governo russo delle delegazioni di Cina, Pakistan, Iran, Paesi dell’Asia Centrale e India. Obiettivo: stilare una road map comune con cui affrontare la presa del potere talebano.

Si tratta sostanzialmente di nazioni che hanno in comune una missione: evitare che l’economia afghana – nelle mani di jihadisti tendenzialmente digiuni di amministrazione pubblica – collassi definitivamente.

Non è l’unica cupa preoccupazione che toglie il sonno alle potenze radunate a Mosca. Se la crisi afgana non dovesse arrestarsi, il rischio di una guerra civile sarebbe tutt’altro che remoto. Con il risultato di fare di Kabul una nuova Damasco, e creare una reazione a catena nella regione tra instabilità, terrorismo e immigrazione.

Al di là del piano d’azione, a Mosca va soprattutto in scena la kermesse dell’ “anti-Occidente”. Il Cremlino offre un modello alternativo alle democrazie liberali (il dossier afghano è un paradigma). I russi, come i cinesi o i pakistani e le repubbliche centrasiatiche che confinano con l’Afghanistan, hanno necessità di parlare con i Talebani. Accettano il dialogo in un’ottica pragmatica, superando le ritrosie occidentali che chiedono garanzie sul rispetto dei diritti umani. Russia e Cina offrono un’alternativa: una soluzione realista (dettata anche dall’urgenza del dossier), che contrasta con l’indecisione di europei e americani, ancora insicuri su come interfacciarsi con i talebani.

Il forfait di Russia e Cina al G20-Afghanistan organizzato dall’Italia è di fatto già un giudizio su un formato ritenuto poco funzionale. Con questa lente è da leggere l’assenza dei rispettivi leader, Vladimir Putin e Xi Jinping, alla riunione di fine mese del Gruppo dei Venti. Il Covid – la scusa ufficiale per l’assenza– diventa una scusa funzionale (se è vero che il governo russo, senza troppi scrupoli e nel mezzo della pandemia, ha convocato una riunione sull’Afghanistan a Mosca).

Un canale sempre aperto – da Washington a Bruxelles passando per Roma (Putin si è sentito per tre volte con il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi), e al tempo stesso una strategia volta a minimizzare gli altri forum internazionali sull’Afghanistan.


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