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La scuola cattolica, se tra i banchi e la cattedra cova il male

Il romanzo, premio Strega (2018), La scuola cattolica di Edoardo Albinati diventa un intrigante film (2021), per la regia di Stefano Mordini. Ottime le soluzioni drammatiche, meno convincenti le posizioni ideologiche e dispiacciono i luoghi comuni che fanno della scuola cattolica il male. Il parere di Eusebio Ciccotti

Nel 2018 il romanzo “La scuola cattolica” di Edoardo Albinati vince il premo Strega. Lo scrittore Albinati (autore di romanzi, saggi e sillogi di poesie: tutti ricordiamo il suo bell’esordio “Il polacco lavatore di vetri”, 1989) conosce bene la scuola perché ci lavora da molti anni. Qui non possiamo fare il confronto tra testo letterario e il testo filmico La scuola cattolica (2021) del bravo regista Stefano Mordini, poiché ci manca la lettura dell’ipotesto. Rimaniamo nelle vesti dello spettatore, che non conosce il romanzo, e ha visto solo la sua “traduzione” in pellicola. Che è poi il maggior fine della recensione.

Il film racconta il noto caso del “massacro del Circeo” del 1975. La efferata violenza inflitta a due gioiose ragazze della periferia romana, Rosaria Lopez (19 anni) e Donatella Colasanti (17 anni), condotte, con inganno, in una villa del Circeo, da alcuni giovani della Roma bene. Poi sequestrate, torturate, drogate, sottoposte a sevizie sessuali sino a subire la morte per una delle due, Rosaria, mentre l’altra, Donatella, riuscì miracolosamente a sopravvivere poiché creduta morta. I tre violenti assassini erano Andrea Ghira (22 anni), figlio di un imprenditore edile; Angelo Izzo (20 anni) studente di medicina; Gianni Guido (19 anni) studente di architettura. Tutti e tre vicini ad ambienti neofascisti.

Nel film, ispirato al romanzo, i giovani sono studenti di un liceo cattolico, e alcuni di loro hanno problemi di relazione famigliare dovuti a seri conflitti psicopatologici. Come Angelo, mente del gruppo, sottoposto a frequenti punizioni dal padre, e, a sua volta, un violento, prigioniero del classico meccanismo circolare vittima/carnefice. Arbus, figlio di un docente universitario, rapido nel risolvere le equazioni di secondo grado senza averle studiate, non accetta un padre omosessuale che seduce i suoi studenti. “Pik” Martirolo, dilaniato da un inconfessato desiderio incestuoso verso la seducente madre, single, ex attrice; questa cederà al bel compagno di classe Stefano Jervi sotto i suoi occhi. Non manca lo studente ipercattolico, Gioachino Rummo, il cui padre vorrebbe avere i figli che gli manda il Signore, cui la sceneggiatura riserva il ruolo del bigotto.

La narrazione si serve della voce over di uno di loro, la memoria narrante, Edoardo (coincidente con lo scrittore Albinati), l’unico che cerca di mantenersi fuori dalle esagerazioni essendo scevro da sconquassi psicopatologici. Seppur, in un momento di indecisione esistenziale, assisterà a delle messe nere, rimanendone turbato.
Stefano Mordini che, da Provincia Meccanica (2010) a Pericle il nero (2016), ha sempre più indirizzato il racconto verso il procedere a intreccio, rivisitando il giallo, esistenziale, con soluzioni fotografiche espressioniste, costruisce i vissuti problematici di questi giovani, a scatola cinese, in modo credibile.

Il racconto filmico segue la tecnica del flashback a blocco, tornando indietro nel racconto tramite didascalie (“mesi” prima, “giorni” prima, “ore” prima del fatto criminoso), tecnica che dopo Tradimenti (1983, David Jones, su testo e sceneggiatura di Harlod Pinter), ha influenzato molta letteratura e cinema, al fine di tenere il destinatario legato al piacere del testo.

La parte più riuscita ci pare quella in cui i tre giovani seviziano le due povere ragazze, mostrando qui, Mordini, una notevole abilità nei tempi di taglio drammatico, con una direzione degli attori ineccepibile. Forse non erano necessari tutti quei nudi, anche se vi intravediamo un sottile rimando alla triade sesso-violenza-fascismo, del Salò (1975) di Pier Paolo Pasolini.

Non ci convincono alcuni luoghi comuni. Né l’idea che un liceo cattolico promuova i figli-asini di padri generosi in donazioni al preside-prete; né l’immagine del prete educatore sorpreso dagli studenti con le prostitute di strada; né le accartocciate e sarcastiche ricostruzioni del rito della messa. Come quella iniziale, offensiva, affidata a un montaggio didascalico e ideologico: dopo un rapporto sessuale orale accennato, si attacca con l’eucarestia ricevuta durante la messa. Anche la ricostruzione della vita scolastica appare piuttosto improvvisata: venti, tra attori e comparse, che fanno a malapena una classe, sarebbero la scuola. Rimpiangiamo Luciano Emmer e Gus Van Sant.

Il male, crediamo, non è né l’educazione cattolica né la scuola cattolica. Anche se, come direbbe il prete Morin (1962) di Jean-Pierre Melville, “la borghesia ha usato la Chiesa, ma noi ci ribelliamo a questo”. Siamo noi, quando ci allontaniamo dal messaggio del Vangelo e dall’etica, a trasformarci in mostri. Purtroppo, ancora oggi, assurdi epigoni dei tre del Circeo sono autori di torture sulle donne e femminicidi. Per educare i giovani e rendere giustizia a Rosaria e Donatella, La scuola cattolica va visto.

(Foto di scena @Claudio-Iannone)


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