A tre mesi dal congedo dal Dis, l’ex 007 del Sismi Marco Mancini tiene una lezione sul Segreto di Stato all’Università di Pavia. Nessun riferimento alle polemiche politiche, anche se non mancano cenni alla sua vicenda personale. Dal caso Abu Omar al Copasir, ecco di cosa (non) si è parlato
Marco Mancini non sceglierebbe Antigone, “la morale non c’entra con il rispetto della norma”. L’integrità dello Stato viene prima di tutto. Anche al prezzo, se necessario, della verità. A pochi mesi dal pensionamento che ha chiuso anticipatamente una lunga carriera nell’intelligence, prima nel Sismi di Nicolò Pollari, poi come dirigente del Dis, Mancini riappare dietro a una cattedra universitaria.
In un’aula dell’Università di Pavia, invitato da Alessandro Venturi, professore di Diritto pubblico e amministrativo nell’ateneo lombardo, l’ex 007 tiene una lezione sul “Segreto di Stato”. È la prima volta che parla in pubblico da quando ha lasciato il suo ufficio a Piazza Dante. La prima da quando è scoppiata la polemica politica sul suo incontro in Autogrill insieme all’ex premier Matteo Renzi, nel dicembre del 2020. Un episodio che ha riaperto il dibattito sull’opportunità per un agente in servizio di incontrare politici e sulla necessità di un’autorizzazione ufficiale da parte dei suoi dirigenti (nel caso specifico, il direttore generale del Dis).
Mancini è un “veterano” dei Servizi. Protagonista di vicende che hanno segnato la storia dell’intelligence italiana. Fra le altre, il salvataggio della giornalista Giuliana Sgrena nel 2003, rapita in Iraq e liberata con un’operazione in cui ha perso la vita l’agente del Sismi Nicola Calipari. Prima ancora l’impegno come brigadiere dei Carabinieri nella squadra del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Un agente segreto di grande esperienza, apprezzato da alcuni, criticato da altri.
Oggi rompe il silenzio di fronte a un centinaio di studenti, in presenza e collegati online, per parlare di un argomento che ha toccato da vicino i suoi 37 anni di carriera nei Servizi segreti italiani. Si può dire in effetti che Mancini, a suo modo, abbia fatto “giurisprudenza” sul segreto di Stato. È il caso del rapimento nel 2003 di Abu Omar, l’imam della Moschea di Milano accusato di terrorismo e prelevato dalla Cia con la collaborazione dell’intelligence italiana.
Allora fu proprio la Corte Costituzionale ad annullare una sentenza in appello a nove anni per Mancini perché “l’azione penale non poteva essere proseguita per l’esistenza del segreto di Stato”. Incalzato da uno studente, Mancini si limita a dire che “tutte le sentenze vanno rispettate”, ma spiega anche: “Se non si conosce il contenuto del segreto di Stato, come si fa a sapere con certezza cosa sarebbe successo senza quel segreto?”.
Dopotutto è una prerogativa prevista dalla legge, dice Mancini. L’istituto del segreto di Stato è definito nel dettaglio dalla più grande riforma dell’intelligence italiana, la legge 124 del 2007, oltre che dalla giurisprudenza della Consulta. “Lo Stato è come una persona che guarda, osserva, tace e si rifiuta di riferire certe notizie per la sua salvaguardia, nel rispetto delle norme che si dà”.
La lezione di Mancini viaggia in punta di diritto, da un comma all’altro. Ogni tanto inframezzata da una precisazione, “non sto parlando di cose che mi riguardano personalmente”. Anche se a tratti riaffiora un filo di criticismo. “Sono grato al mio Paese per il servizio, è stata un’avventura meravigliosa – confessa agli studenti, per poi tirare una stoccata a chi non lesina critiche al suo “periodo in attività” – forse si dovrebbe tacere quando non si conosce”.
“Tacere”, appunto. È quel che lo Stato chiede con il segreto previsto dalla legge quando la verità mette a rischio la sua sicurezza. “Spesso la violazione del segreto di Stato è un reato più grave di quello confessato”, dice Mancini. Anche per questo, ricorda, c’è solo un organo che può infrangere quel muro del segreto di Stato: la Corte Costituzionale. Neanche il presidente della Repubblica ha diritto a rivelare segreti di Stato, spiega l’ex agente, e lo stesso vale per il Parlamento.
“Il segreto di Stato è opponibile anche al Copasir (il comitato parlamentare di controllo dei Servizi, ndr)”, dice Mancini, che dal comitato bipartisan di Palazzo San Macuto, oggi presieduto dal senatore di Fdi Adolfo Urso, è stato audito pochi mesi fa (scelta contestata dal responsabile Sicurezza del Pd e componente del comitato Enrico Borghi). Comitato che comunque resta “una struttura parlamentare importante, una garanzia democratica, talmente importante che il presidente è affidato dalla legge all’opposizione”.
Certo, non è facile capire quando il ricorso al segreto di Stato si trasforma in una censura o in una limitazione delle garanzie democratiche, fanno notare dubbiosi due studenti all’ex Sismi. Il sequestro di persona, ad esempio, può davvero essere coperto da quel segreto?
Lui risponde che le garanzie ci sono. “Se si ritiene che siano stati compressi dei diritti costituzionali, si raccolgono le firme e si va davanti alla Corte Costituzionale”. “I Nar, le Brigate rosse, il terrorismo sono state sconfitti con la democrazia, grazie a strumenti del sistema politico e giudiziario”. A volte senza raccontare tutta la verità. “È anche questa una forza dello Stato – sospira Mancini – si deve fidare dei propri funzionari, sapere che quando è necessario eserciteranno il silenzio”.