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Sola e (in)Difesa. L’Europa del dopo Merkel vista da Lucas (Cepa)

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Il vicepresidente del think tank Usa Cepa: dopo Merkel un vuoto di leadership di massimo sei mesi, Russia e Cina già sorridono. Senza volontà politica non si farà la Difesa europea, solo la Francia spende abbastanza. Draghi? Ha ridotto i flirt cinesi, può prendere lui il timone della politica estera Ue

Tre mesi di limbo, ed è lo scenario migliore. Tanto durerà il vuoto lasciato nella politica estera europea dalla transizione di potere in Germania, dice a Formiche.net Edward Lucas, vicepresidente del Cepa (Center for european policy analysis) e tra le firme di punta dell’Economist. Mentre a Berlino si discute di coalizioni Semaforo e Giamaica, a Bruxelles si fanno i conti senza l’oste.

Non ci sarà più Angela Merkel a dirigere l’orchestra europea nei teatri dove sarà chiamata a suonare in questi mesi. Dalla riunione in corso del Consiglio per la Tecnologia e il Commercio fra Ue e Usa ai tavoli dove si deciderà il futuro della Difesa europea, la lista è lunga e la posta in palio altissima. “Il vero risultato delle elezioni in Germania è il più scontato: siamo orfani della leadership tedesca. Se siamo fortunati ci sarà un governo a Natale, altrimenti dovremo aspettare la primavera sprecando sei mesi. È il prezzo della democrazia, immagino”.

Un prezzo alto, perché il tempismo non è dei migliori. L’Est Europa rischia di tornare una polveriera con il ritorno delle tensioni fra Kosovo e Serbia e una guerriglia mai davvero archiviata nel Donbas. La vicenda Aukus, il patto militare fra Stati Uniti, Australia e Regno Unito per la fornitura di sottomarini nell’Indo-Pacifico, brucia ancora sull’orgoglio francese e il pericolo di una rappresaglia diplomatica non è certo scampato.

“La prima vittima del vuoto a Berlino sarà la sicurezza europea – nota Lucas, tra i protagonisti del Cepa forum, l’incontro annuale del think tank americano in corso questi giorni – i negoziati sulla Difesa europea sono all’anno zero”. E poco importa che a Bruxelles questa volta abbiano davvero messo nero su bianco un piano per un battaglione europeo, il primo nucleo della Difesa integrata che settant’anni fa sognavano De Gasperi e Pleven. Perché il vero nodo da sciogliere è un altro, spiega il giornalista. “Dobbiamo spendere di più nella Sicurezza. Questi sono fatti, il resto chiacchiere. C’è il fronte militare, ma anche le minacce digitali, la disinformazione online di Russia e Cina, l’instabilità in Nord Africa, una strategia per gli investimenti cinesi”.

Spendere di più, ma soprattutto spendere meglio. “Non attacchiamoci alla cifra del 2% del Pil sottoscritta dai Paesi Nato. “L’1% del Pil di un Paese come la Germania è più che sufficiente, ma se manca la volontà politica i soldi rimangono nel cassetto o, peggio, finiscono sprecati. Dalla Brexit in poi il budget europeo non è cresciuto come avrebbe dovuto, le minacce alla sicurezza però sì. In Germania servono infrastrutture per una mobilitazione veloce delle truppe al confine Est e contenere l’aggressività russa, se non funzionano i treni è difficile”.

Né aiuta l’ipotesi, non proprio lunare, di un ritorno in grande stile delle politiche di austerity a Berlino. “Oggi gli unici due Paesi europei che spendono risorse credibili per la Difesa sono Francia e Regno Unito. I Paesi nordici fanno il loro ma sono troppo piccoli. Il resto dell’Europa è assente”. Da un governo a guida Spd con liberali e Verdi Lucas non si attende grandi virate sul fronte esteri. “Certo, non sarà facile ritrovare la risolutezza di Merkel, specie vis-a-vis con la Russia. La cancelliera uscente parla russo, viene dalla Ddr e appartiene alla generazione di chi ha vissuto sulla sua pelle gli effetti del comunismo, nulla a che vedere con Scholz o Laschet. Il ministero della Difesa sarà fondamentale, se finisse in mano ai Verdi sarebbe una buona notizia per l’Europa”.

Mentre proseguono le trattative nel Bundestag, continua la supplenza al timone della politica estera Ue. “Non è detto che sia la Francia a salire in cattedra. La vicenda Aukus è stato un bagno di realtà, Macron ha capito di non essere alla guida di una superpotenza globale – chiosa l’esperto – intanto l’Italia è tornata a giocare da titolare. Draghi ha fatto un ottimo lavoro, riducendo i flirt con la Cina e ponendo le condizioni per la stabilità economica”.

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