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Tech e non solo, ora un ponte fra Europa e Usa. Parla Corazza (Parlamento Ue)

“Siamo democrazie liberali minacciate dai regimi non liberali tramite disinformazione, pratiche commerciali sleali, furto di tecnologie, cyber-attacchi”, dice il capo dell’ufficio in Italia del Parlamento europeo. E “serve unire le forze”

“Ciò che mi piace di più del Consiglio per la tecnologia e il commercio fra Ue e Usa (Tcc) è che mette al centro commercio e tecnologia, che sono i veri punti di forza delle democrazie occidentali”, dice Carlo Corazza, capo dell’ufficio in Italia del Parlamento europeo, a Formiche.net.

Dopo la prima riunione del Consiglio commercio e tecnologia inaugurato da Stati Uniti e Unione europea il 29 settembre, Antony Blinken, segretario di Stato americano, è parso molto ottimista: abbiamo dimostrato di lavorare “più vicini che mai insieme” per affrontare “molte questioni e sfide che hanno un impatto reale e diretto sulla vita dei cittadini sia negli Stati Uniti sia in Europa”, ha detto durante un punto stampa a Pittsburgh, città della Pennsylvania che ha ospitato l’evento.

Martedì i rapporti con gli Stati Uniti saranno tema di discussione durante la plenaria di Strasburgo. Le distanze con gli Stati Uniti dopo Aukus, Afghanistan e Nord Stream 2 sono state quantomeno ridotte?

Il Parlamento europeo è molto positivo su questo tema e segue un approccio chiaro: siamo democrazie liberali e, anche in quanto tali, siamo minacciati dai regimi non liberali tramite disinformazione, pratiche commerciali sleali, furto di tecnologie, cyber-attacchi. Serve unire le forze.

Che cos’è cambiato in questo senso con il passaggio da Donald Trump a Joe Biden?

L’approccio di Trump era unilaterale, con tratti di antagonismo verso l’Unione europea. Con Biden, invece, sono tornati multilateralismo e consapevolezza che l’Occidente ha necessità di coordinarsi.

Lo sguardo statunitense sempre più rivolto all’Asia deve preoccupare l’Unione europea?

Anche l’Europa guarda con molta attenzione all’Asia. Abbiamo accordi molto importanti con Vietnam, Singapore e Thailandia, per esempio. Teniamo molto a giocare il ruolo di partner economico e commerciale alternativo alla Cina. Ovviamente l’Unione europea ha interessi più diretti nel vicinato e siamo consapevoli di avere alcune priorità geostrategiche diverse da quelle degli Stati Uniti. Ma il problema Cina è ben chiaro, soprattutto al Parlamento europeo. La vicenda dell’accordo sugli investimenti Cai, che è stato congelato, è un esempio dell’impegno del Parlamento sui diritti umani e su certe pratiche commerciali.

Com’è cambiato il rapporto tra Unione europea e Cina negli ultimi anni?

Negli ultimi tre anni in particolare l’Unione europea ha compiuto un’evoluzione molto marcata rispetto sulla Cina. E non soltanto perché l’hanno chiesto gli Stati Uniti, come nel caso eloquente del 5G. Infatti, c’è una maggiore sensibilità su certi temi, come la violazione dei diritti umani o la reciprocità. Ci si sta rendendo sempre più conto che quello cinese non è mercato come gli altri. Certi Stati membri, però, continuano ancora a mettere in primo piano gli interessi commerciali rispetto alla difesa dei nostri valori e interessi di lungo termine.

Che cosa può deve fare ora l’Unione europea?

Se vogliamo essere presi ancora più sul serio dall’amministrazione statunitense, dobbiamo dotarci di una strategia europea su politica industriale, difesa e sicurezza, anche cibernetica.

In che direzione?

Verso una maggiore integrazione. Sono vent’anni che in questa materia non facciamo quei passi decisivi che, invece, abbiamo fatto nello Spazio, dove abbiamo realizzato infrastrutture fisiche europee, investito assieme in ricorda, costituito un bilancio di fatto comune. Chi avrebbe avuto soldi per fare Galileo? Neanche la Germania. Ma soprattutto: serviva un Galileo tedesco? No, serviva europeo. E l’abbiamo fatto. Siamo una potenza spaziale che Stati Uniti e Cina prendono sul serio.

Può essere quello il modello?

Non c’è dubbio. Dobbiamo sviluppare capacità fisiche comuni, cominciando dalle navi che pattugliano il Mediterraneo, per esempio. O anche dal lavoro assieme per evitare standard diversi che mettono a rischio l’interoperabilità.

Il prossimo semestre, quello della presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, sarà decisivo?

Può esserlo. Ma anche la Francia deve capire ciò che vuole fare. Spinge verso la difesa comune ma è anche un Paese che ha alcune reticenze. Non possiamo permetterci di perdere altro tempo.

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