A quattro giorni dalla rottura delle trattative con il Tesoro, il ceo di piazza Gae Aulenti chiude a una riapertura del confronto e costringe lo Stato a rimanere azionista del Monte dei Paschi. Ora l’imperativo per Daniele Franco e Mario Draghi è incassare la proroga dall’Ue. La Borsa, comunque, non ci sta
Addio al Monte dei Paschi. A meno di 72 ore dalla rottura delle trattative al ministero dell’Economia tra l’azionista Tesoro e i vertici di Unicredit, da piazza Gae Aulenti arriva il triplice fischio. La banca milanese che per molti osservatori rimane il candidato naturale per rilevare Mps, si tira fuori dai giochi. E, almeno a sentire il ceo Andrea Orcel, che l’8 novembre verrà ascoltato in commissione Banche insieme al numero uno di Rocca Salimbeni, Guido Bastianini, è più un addio che un arrivederci.
UNICREDIT SALUTA SIENA
L’occasione per sbattere la porta è arrivata con la presentazione dei conti trimestrali del gruppo. Poche parole che, oltre a colpire il titolo Mps (-1%) hanno mandato in naftalina una delle operazioni industriali più attese dell’anno, dettate dalla necessità per lo Stato italiano azionista al 64% di Siena dopo il salvataggio del 2017 (5,4 miliardi) di uscire dal capitale, come chiesto peraltro dall’Europa. E invece no, pare proprio che dentro la banca più antica del mondo lo Stato ci debba rimanere per un pezzo.
Mps “non farà parte della nostra strategia futura”, ha spiegato il banchiere agli analisti accorsi per commentare i conti. “Non abbiamo raggiunto un accordo che soddisfacesse parametri concordati. Il tutto deve avvenire solo alle giuste condizioni, non è un fine in sé e per sé”, dal momento che “il maggior valore che possiamo creare è organicamente.” Per tutti questi motivi, nonostante le discussioni con il Mef siano “state lunghe e dettagliate, alla fine abbiamo preso atto che i parametri, quelli definiti inizialmente nel memorandum of understanding, non potevano essere rispettati”. Così “si sono interrotte le negoziazioni.”
Insomma, game over. “La finestra di opportunità che si era aperta per un’intesa con Mps per noi al momento è chiusa. Per rispetto di Mps non posso commentare sul suo futuro, ma come italiano e come gruppo che ha significative attività nel Paese, spero in un esito il più positivo possibile”
PALLA AL TESORO
E adesso? A Via XX Settembre l’imperativo è sempre quello, comprare tempo dall’Europa. Il ministro Daniele Franco punta dritto a una proroga di 18-24 mesi, il tempo necessario a mettere in sicurezza un aumento di capitale market friendly (non meno di tre miliardi), ripulire i bilanci del Monte da 6,1 miliardi di costi legali, girare le filiali del Sud al Mediocredito centrale, gestire gli esuberi e scaricare 4,7 miliardi di Npl nella società del Mef, Amco. Operazioni in serie e dell’esito incerto, che a conti fatti rendono poco proficuo per lo Stato rimanere azionista di controllo di Mps.
L’ALLARME DEI SINDACATI
Chi è preoccupato sul serio sono i lavoratori del credito. “La chiusura, arrivata stamattina, da parte dell’amministratore delegato di Unicredit, Andrea Orcel, sul dossier Mps ci preoccupa perché, al momento, non ci sono alternative per rilevare il gruppo Mps, l’unica sarebbe il fondo Apollo, che è un fondo speculativo e che non avrebbe un atteggiamento morbido per quanto riguarda i dipendenti”, ha avvertito il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, durante la trasmissione Coffee Break su La7.
“L’Unione europea concederà la proroga allo Stato italiano, per restare ancora nell’azionariato di Monte dei Paschi, se a chiederla sarà il premier Mario Draghi. In ogni caso, per restare di proprietà del Tesoro servono soldi, almeno 3 miliardi di euro entro l’anno. E comunque, “in tema di aiuti di Stato alle banche l’Italia è l’ultima in Europa con soli 14 miliardi di euro spesi per i salvataggi: il nostro Paese ha speso l’1,5% del pil contro il 5,9% della Germania, il 4,4% della Spagna e una media europea del 4,6%. Se fallisce una banca le ripercussioni pesantissime colpiscono i dipendenti e la stessa clientela oltre alle economie dei territori.”