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L’Antitrust non molla le Big Tech Usa. Cosa c’è dietro la maxi multa a Google e Apple

Si tratta del massimo della pena. Alle due aziende vengono contestate la mancanza di informazioni necessarie a rendere consapevole l’utente e l’uso dei dati per fini commerciali. Ancora una volta, sono le società tech Usa a finire nel mirino europeo

L’utilizzo “non sempre trasparente” dei dati degli utenti a fini commerciali è costata a Google e Apple una multa di dieci milioni di euro ciascuno. A infliggergliela è stata l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato italiano, che ha deciso di usare la mano di ferro nei confronti delle due aziende: l’ammontare della sanzione, infatti, è il massimo consentito dalla legislazione in vigore. Sono due le violazioni del Codice del Consumo riscontrate dall’Antitrust. La prima riguarda la mancanza di informazioni, che quando ci sono non appaiono né chiare né immediate, mentre la seconda le “pratiche aggressive” inerenti all’acquisizione e all’utilizzo dei dati dei consumatori.

“L’Autorità ha ritenuto che esiste un rapporto di consumo tra gli utenti e i due operatori, anche in assenza di esborso monetario, la cui controprestazione è rappresentata dai dati che essi cedono utilizzando i servizi di Google e Apple”, si legge in una nota dell’Autorità di Piazza Verdi.

Quello che l’Autorità contesta all’azienda di Sundar Pichai è il basare l’attività economica attraverso un’ampia offerta di prodotti e servizi su Internet (che spaziano dalle tecnologie per le pubblicità online, ai cloud computing, ai software e agli hardware) incentrata sulla raccolta dati degli utenti. Questi, quando configurano il proprio account Google, sono costretti dal sistema ad accettare le condizioni che gli vengono sottoposte, come se fossero già preimpostate proprio per questo. Le informazioni mancanti che denuncia l’Antitrust sono considerate fondamentali per l’utente. Senza queste, infatti, non è in grado di decidere con la dovuta consapevolezza.

Allo stesso modo, mentre un utente sta creando un account Id, Apple non gli fornisce alcuna indicazione su come verranno raccolti i suoi dati e quale utilizzo se ne farà per gli scopi commerciali. Anzi, gli spiega la necessità di fornirli per migliorare la sua esperienza con i servizi. In sostanza, Apple raccoglierebbe i dati sfruttando i propri dispositivi e, pur non cedendoli a parti terze, promuoverebbe comunque i suoi prodotti – o quelli di altri – sulle sue piattaforme aumentando le vendite e quindi i ricavi.

Per quel che riguarda, invece, le “pratiche aggressive” portate avanti da Google, queste vanno ritrovate sempre nel momento della registrazione di un account. Se il consumatore acconsente alla pre-attivazione del proprio profilo – indispensabile per procedere – cede automaticamente i propri dati a Google, che li riutilizza per i propri fini commerciali senza chiedere di volta in volta all’utente se sia d’accordo o meno. Per Apple la questione è leggermente differente, anche se la sostanza non cambia. L’utente non ha la possibilità di scegliere anticipatamente la condivisione dei propri dati per l’attività commerciale, venendo così fortemente condizionato nella scelta.

Come era facilmente previsto, i due colossi del tech non ci stanno a passare per i cattivi e promettono di presentare ricorso. “Crediamo che l’opinione dell’Autorità sia sbagliata”, spiega in un comunicato l’azienda di Tim Cook. “Da tempo”, continua, l’azienda è “impegnata nella protezione della privacy” delle persone registrate sulla piattaforma. “Lavoriamo con il massimo impegno per progettare prodotti e funzionalità che proteggano i dati. Diamo a tutti gli utenti un livello di trasparenza e controllo all’avanguardia nel settore”, conclude Apple, così da “scegliere quali informazioni condividere o meno, e come vengono utilizzare”.

Dello stesso identico avviso anche Google, che attraverso un portavoce fa sapere come l’azienda segua “pratiche eque e trasparenti per fornire ai nostri utenti servizi utili, così come forniamo informazioni chiare sul loro utilizzo. Offriamo alle persone la possibilità di gestire le proprie informazioni con strumenti semplici, anche per limitare l’uso dei dati personali, e lavoriamo con impegno per essere pienamente conformi alle norme per la protezione dei consumatori. Non siamo d’accordo con la decisione dell’Autorità e faremo ricorso”.

La notizia non farà certo piacere a Washington, che già si è esposta sulla troppa attenzione rivolta dall’Europa alle proprie aziende tech. Il tutto, poi, arriva pochi giorni dopo la maxi multa comminata sempre dall’Antitrust e che ha coinvolto Amazon (68,7 milioni di euro) e, di nuovo, Apple (134,5 milioni di euro). In quel caso, le due aziende hanno sottoscritto un accordo che viola le regole italiane ed europee sulla concorrenza, a danno di consumatori e rivenditori. Dal sito italiano di Amazon erano stati esclusi i rifornitori che non si erano affiliati ad Apple. In questo modo, la vendita di tutti i prodotti con la mela e quelli con marchio Beats erano stati riservati ad Apple e ai soli rivenditori autorizzati sulla piattaforma di e-commerce. Anche per risolvere tale questione, neanche a dirlo, si dovrà attendere l’esito dei ricorsi dato che entrambe le aziende sono pronte ad andare in tribunale per dimostrare le proprie ragioni.

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