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Zero-trust. Se l’Ue si spacca sulle big tech

Francia e Germania guidano i Paesi che vogliono un allentamento delle misure per puntare sulla fusione di aziende leader dell’industria europea, così da poter competere sul mercato globale. Sei Stati membri, però, sono contrari e avvertono Bruxelles: “Non è il modo giusto per affrontare nuove sfide”

“Se vogliamo la sovranità tecnologica, dovremo adattare la nostra legge sulla concorrenza, che forse è stata troppo focalizzata sul consumatore e non abbastanza sulla difesa delle eccellenze europee”. Le parole del presidente francese Emmanuel Macron rimbombano a più di un anno di distanza. Vennero pronunciate in occasione di una conferenza virtuale con la cancelliera Angela Merkel, in cui i due capi di Stato chiesero a gran voce all’Europa di puntare sui propri giganti industriali per la ripresa post pandemia. “Abbiamo visto come gli altri, che siano gli Stati Uniti, la Corea del Sud, il Giappone o la Cina, hanno fatto molto affidamento sulle [aziende] leader globali e credo che questo approccio sia la risposta necessaria”, gli fece eco la cancelliera. “Non dobbiamo avere paura delle eccellenze globali, ma dobbiamo lavorare per loro”.

La pretesa di Parigi e Berlino di puntare sulle aziende europee per arginare lo strapotere di Usa e Cina mal si sposava con la linea dura di Bruxelles e le sue regole sulla concorrenza. Ed oggi, lo scontro in casa Ue appare ancor più acceso. In una lettera firmata congiuntamente da Danimarca, Finlandia, Irlanda, Paesi Bassi, Romania e Svezia, pubblicata da Politico, si legge come questi sei Stati chiedano a Bruxelles di prestare particolare attenzione alla revisione delle regole, per non cedere alla tentazione di alimentare le grandi aziende con sussidi statali. In questo modo, infatti, si rischierebbe di asservirle in modo eccessivo.

“L’allentamento delle nostre regole, come alcuni suggeriscono (Germania e Francia su tutti, ndr), non è il modo giusto per affrontare nuove sfide”, scrivono le delegazioni, e rischia di provocare “effetti negativi sulla concorrenza, sui mercati e sulla crescita del mercato unico, nonché una dannosa corsa ai sussidi che avvantaggia pochi e danneggi molti”.

Quello su cui i sei Stati chiedono riflessioni accurate è il tema delle fusioni. Questo non rappresenterebbe ai loro occhi “una soluzione per affrontare gli sviluppi globali o rafforzare la competitività dell’Ue”. Il ministro olandese per gli Affari economici e per il Clima, Stef Blok, è entrato ancor più nello specifico sottolineando come l’intervento dell’Ue con i propri sussidi dovrebbe riguardare solo casi estremi, come di fronte a un fallimento.

La frattura interna sembrerebbe, dunque, piuttosto grande e complessa da sanare. La posizione intransigente di Francia e Germania affossa le sue radici nella mancata fusione tra Alstom e Siemens, che nel 2017 avevano annunciato un memorandum of understanding per la costruzione di “un nuovo colosso europeo nel settore ferroviario”.

Due anni dopo, però, tutto è stato bloccato dalla decisione della commissaria Margrethe Vestager, che ha ritenuto la fusione “incompatibile” con le regole del mercato europeo, andando a discapito delle aziende del settore più piccole. Le due aziende “non erano disposte ad affrontare i nostri gravi problemi di concorrenza”, spiegò in un comunicato stampa la Commissione. Soprattutto, però, l’attenzione di Bruxelles era indirizzata al consumatore che, in virtù di fusioni simili, si ritroverebbe a pagare prezzi più alti.

Anche Parigi e Berlino concordano con gli economisti quando sostengono che un mercato dominato da poche aziende leader provocherebbe un aumento dei prezzi, che d’altra parte garantirebbero alle società maggiori investimenti e una maggiore forza per competere con le altre realtà mondiali. Eppure, per Francia e Germania si tratta dell’unica via per tenere testa alla concorrenza.

Proprio il giorno prima che la Commissaria Vestager bloccasse l’accordo Alstom-Siemens, il ministro dell’Economia tedesco Peter Altmaier aveva presentato un piano europeo per rafforzare le aziende leader del continente. La Strategia industriale nazionale 2030 venne redatta dal ministro con “molto amore e riflessione” per evitare che l’Europa si trasformasse in un “laboratorio di sviluppo” per le aziende straniere. Per il ministro della CDU, quindi, lo Stato dovrebbe comprendere quali siano i settori strategici e puntarci senza remore, mostrando un supporto attivo. Nel caso tedesco, questi erano stati trovati nell’industria automobilistica, in quella chimica, GreenTech, aerospaziale, bellica, ottica e della stampa 3d. Le società apertamente coinvolte, invece, rappresentavano le solite eccellenze come BASF, Thyssenkrupp, Deutsche Bank e, appunto, Siemens.

Da allora non è stato compiuto alcun passo in avanti, anche perché gli Stati sono rimasti fermi nelle loro posizioni. Data la loro importanza per l’industria europea, Germania e Francia rivestono un peso diverso nella discussione in corso ma non sono le uniche voci fuori dal coro. La questione, infatti, interessa più Stati europei.

Nel passato recente, ha anche coinvolto il nostro Paese con il caso Fincantieri-Stx, finito sotto il giudizio (negativo) delle regole anti trust europee. Promosso dal presidente Macron e dall’allora premier Paolo Gentiloni, Fincantieri avrebbe acquisito il 50% dei Chantiers de l’Atlantique, con una ulteriore concessione dell’1% da parte francese per una gestione decennale da parte del gruppo italiano. Le preoccupazioni di Bruxelles in merito alla fusione erano le stesse di quelle presentate a Francia e Germania per l’accordo Alstom-Siemens, seppur il banco sembrerebbe esser saltato anche per via di alcuni dubbi dell’Eliseo, all’epoca in rapporti non idilliaci con il governo Conte I.

A rimanere è l’arretratezza europea in tema di concorrenza. Le regole che Bruxelles vorrebbe imporre non corrono al passo con i tempi. L’unità che spesso viene ribadita da più parti riguarda, dunque, anche i settori chiave dell’Ue: fino a quando saranno in competizione tra di loro, sostengono gli esperti, l’Europa non può sperare di competere con le altre potenze industriali. La scelta di fronte cui si trova Bruxelles è chiara: continuare secondo una logica di salvaguardia della competizione interna, oppure aprirsi ai nuovi scenari e provare a competere sul mercato mondiale. In quest’ultimo caso, però, le teste da convincere non saranno poche.



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