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Big tech. Ue chiamata alla sfida tra tensioni interne e pressing Usa

La collaborazione tra Bruxelles e Washington è richiesta a gran voce, ma pesano gli scontri interni. Il caso Paesi Bassi, che giocano un ruolo centrale nella partita dato il loro interesse a evitare una legislazione più severa per le numerose società tech sul territorio

La paura di una nuova tensione tra Bruxelles e Washington in tema di regolamentazione digitale è stata scongiurata, almeno al momento, dal passo indietro sulla digital tax da parte di alcuni Stati europei. Le divergenze, in ogni caso, restano e sono profonde. I nuovi criteri del Digital Markets Act proposti dall’eurodeputato tedesco Andreas Schwab, che riserverebbero un trattamento più severo alle aziende statunitensi, non soddisfano affatto l’amministrazione di Joe Biden che chiede meno disparità. Tra i sostenitori della linea europea, ci sono Germania ma soprattutto Paesi Bassi, che giocano un ruolo centrale nella partita dato il suo interesse a evitare una legislazione più severa per le numerose società tech sul suo territorio. “Brexit è stata la conseguenza di uno spostamento di aziende fintech più o meno grandi nei Paesi Bassi, che ne hanno giovato a livello economico”, spiega a Formiche.net Rachele Giafranchi, che lavora in una società di software aziendale, originaria di Boston con sede anche ad Amsterdam.

Gianfranchi è convinta della necessità di un accordo che sigli la collaborazione tra Stati Uniti e Unione europea, che “hanno un incentivo a lavorare insieme, anche se con sistemi politici instabili. Né l’amministrazione americana, con il rischio di filibuster, né l’Unione europea, con Brexit e la rottura con alcuni Paesi, possono farle dormire serene. Ma qualsiasi siano le incomprensioni, Stati Uniti e Unione Europea hanno l’interesse di difendere i valori democratici”. Non a caso, il progetto del cloud europeo condiviso che vuole portare l’Unione europea a una indipendenza digitale, livellando il divario con le aziende statunitense che forniscono tali servizi, è aperto a tutti i suggerimenti purché nel rispetto dei valori democratici e, quindi, della salvaguardia dei dati.

Su questo l’Unione europea trova sì una sponda da parte degli Stati Uniti, pronti a dare il loro contributo, ma apre anche una serie di problematiche non di poco conto. In primis, dove verranno elaborati questi dati, con alcuni Paesi che preferirebbero rimanessero in Europa. “Regolamentare la tecnologia è molto difficile perché i tempi sono generalmente molto lunghi, mentre la tecnologia ha uno sviluppo superiore”, spiega Gianfranchi. “È molto difficile pensare di frenare le Big Tech. Può sembrare strano, ma se Amazon sigla un accordo con tre agenzie di alta sicurezza – il riferimento è all’accordo siglato tra Aws e le tre agenzie di spionaggio britanniche, da quasi un miliardo di dollari – è preferibile far utilizzare quei dati a chi lo sa fare piuttosto che lasciarli alla mercé del mondo criminale”.

Un tema caldo in casa europea, che “si sta concentrando molto sui fake data. Ci sono piattaforme che utilizzano le informazioni per verificare e in caso rimuovere le notizie fuorvianti rispetto ai fatti reali. Lo abbiamo visto nelle ultime elezioni, siccome siamo subissati di informazioni che arrivano da ovunque. E, se non sai come informarti, rischi l’effetto contrario”. Anche su questo, c’è da registrare il malcontento dei vari editori dei giornali europei che si sono visti accomunati alle Big Tech.

Quella tra Washington e Bruxelles, dunque, appare come “una partnership necessaria e inevitabile quanto complessa da realizzare”, dice Gianfranchi. “Vedo difficile come si possa riuscire a farlo su questioni così sensibili, ma l’obiettivo è positivo. La legislazione prevede di proteggere il consumatore dalla gestione di informazioni delle quali lui non ha conoscenza. Il principio fondamentale è di renderlo cosciente e educarlo a comportamenti digitali sani”. Alla base, infatti, resta un’educazione digitale differente tra Stati Uniti e Unione europea. Qui da noi, “si è sensibilizzato il singolo al valore dei propri dati. Ci son altre iniziative europee sul fair data, un movimento interessante che parte dal mondo della ricerca per la trasmissione dei dati incentrato su un processo di FAIRification: findable, accessible, interoperable e reusable”.

Sulla regolamentazione digitale, perciò, “l’Unione europea è più avanti degli Stati Uniti”. I passi avanti dopo la riforma delle telecomunicazioni e dell’alta tecnologia “sono evidenti. L’obiettivo di Bruxelles è di combattere quelle aziende che per la loro dimensione hanno la possibilità di muoversi sul mercato in maniera anticoncorrenziale rispetto alle aziende medio piccole”. Qui entrano in gioco i Paesi Bassi, un centro tecnologico europeo d’avanguardia che “favorisce proprio questo tipo di aziende, degli unicorni nel mercato”. Se la riforma del Dma proposta da Schwab dovesse allargarsi anche alle aziende europee, sulla lista nera ci finirebbero anche quelle olandesi e l’interesse per il governo di Mark Rutte è che ciò non avvenga. La richiesta di Paesi Bassi, Francia e Germania, infatti, è chiara e chiede più potere decisionale alle autorità nazionali, ma il loro sostegno al Dma è fuor di dubbio. 

Le ragioni della posizione olandese, più di quella tedesca e francese, sono da ritrovare nel suo legame con il digitale che fa sì che i Paesi Bassi, “più che un ambiente che accoglie le Big Tech, favorisce culturalmente lo sviluppo di startup, per lo più incentrate a garantire servizi al cliente piuttosto che ad altro”. Anche per questo, sempre insieme a Berlino e Parigi, aveva fatto la voce grossa per un irrigidimento delle regole sul controllo per acquisizioni e fusioni da parte di Google e Facebook.

Oltre che da Uber, il massimo esempio di aziende tech olandesi lo troviamo in Booking.com, la piattaforma di viaggi fondata nel 1996 che ha rivoluzionato il settore turistico e non solo. Partita da una stanza di Twente, oggi conta un fatturato di circa 8,5 miliardi di euro e solo ad Amsterdam offre lavoro a 5.500 persone. “Quello su cui guadagna molto l’Olanda è un dumping fiscale. Se sei un’azienda ci sono talmente tante cose favorevoli che conviene stabilizzarsi qui rispetto che altrove. I Paesi Bassi attirano di più e finché verranno lasciati muoversi così liberamente avranno successo”.

Questi sono un paradiso fiscale per tale attività, che di conseguenza stanno attente a non inimicarsi le istituzioni per paura di eventuali ritorsioni. Il caso di Booking.com emerso durante la pandemia spiega nel modo migliore che cosa si stia intendendo. Il crollo economico iniziale causato dal Covid-19 aveva portato l’azienda a richiedere i sussidi governativi previsti dal pacchetto economico Now e la proposta venne accettata da parte delle istituzioni. Allo stesso modo, l’azienda non ha battuto ciglio quando gli sono stati richiesti in seguito alla sua decisione di riservare una serie di bonus per i suoi top manager. Il periodo di ripresa ha fruttato parecchio alle aziende immobiliari e Booking.com non poteva esserne esente. Così, il dibattito pubblico si è incentrato sull’eticità della scelta dell’azienda di aumentare gli stipendi quando, solo pochi mesi prima, aveva richiesto aiuto statali. Proprio per “la questione sociale che ci viene posta”, l’azienda ha deciso di rimborsare tutto il denaro ricevuto. Come essa, più dell’80% delle aziende olandesi è stato richiamato dal governo a restituire quanto ricevuto.

Questo è soltanto un esempio di come i Paesi Bassi trattino le proprie aziende e di come quest’ultime preferiscano – non senza qualche lamentela – venire incontro alle richieste delle autorità. “Si è innescato un circolo vizioso: il capitale umano che arriva dagli altri Paesi trova un posto favorevole per realizzare la sua idea, per cui è facile trovare un investimento. Il capitale umano crea attività, che richiede manodopera e si innesca un processo positivo”. Poi, se mai qualcuno dovrebbe fallire, non sarebbe un problema. “C’è una cultura del fallimento differente dall’Italia, dove a volte è visto come uno stigma. Qui, invece, viene messo in conto. Si impara e si cerca di non replicare gli stessi errori”.

Per cercare di arrivare a un’intesa totale tra Stati Uniti e Unione europea, il ruolo di Amsterdam potrebbe essere determinate. La Brexit le ha dato un’ulteriore spinta nel diventare la nuova Gran Bretagna, data la diffusione dell’inglese e la tassazione favorevole, anche se rimane il suo poco peso dato che nell’Ue la propria voce conta a seconda della base che si rappresenta. L’Olanda, con i suoi 17 milioni di abitanti, rimane ancora un Paese piccolo da questo punto di vista.

La visione olandese, però, non può essere ignorata. Allo stesso modo, Bruxelles sta cercando di attuare una legislazione per uniformare i livelli di fiscalità per le grandi aziende all’interno del proprio territorio e scongiurare episodi di concorrenza sleale tra Stati membri. Perché venire nei Paesi Bassi conviene e non solo per la mentalità imprenditoriale. Secondo Tax Justice Network, si tratta del quarto paradiso fiscale al mondo. Anche per risollevare la propria immagine, il governo olandese si è detto subito favorevole alla minimum tax sulle grandi aziende. “Tutti devono pagare le tasse”, ha dichiarato Hans Viklbrief, sottosegretario uscente. Per lui l’evasione ha un riflesso negativo sulle persone che “quando aprono il giornale leggono ogni giorni di una grande società che non paga”. Qualora si riuscisse ad attuare la percentuale del 15%, nei Paesi Bassi “arriveranno tanti soldi” recuperati dall’evasione, seppur il rischio che non sia così sia concreto: “Probabilmente troveranno di nuovo delle scappatoie”, ha infatti dichiarato Arjan Lejour, professore all’Università di Tillburg. Non mi illudo che siano scomparse, nonostante le parole ruggenti dei politici”.

Se la tassazione è buona per le multinazionali, di pari passo è “altamente penalizzante per il reddito personale. L’aliquota del 52% si innesca su un salario annuale di circa 50.000 euro”. Gianfranchi non si riesce a spiegare il perché di tale differenza, ma è certo che “per mantenere una serie di servizi sociali che non amplino le disuguaglianze, c’è un livellamento generale”. Forse la spiegazione è da ritrovare nella natura calvinista intrinseca nel pensiero comune. “L’olandese non ostenta, c’è un certo orgoglio nel vivere in maniera essenziale e resistere alle condizioni avverse. Ma questo non toglie che la fiscalità olandese sia tanto conveniente per un’azienda quanto non lo è per il singolo”.

I problemi per l’Europa, quindi, sono doppi ma appartengono entrambi alla stessa matrice. La frammentarietà europea non permette di attuare lo stesso trattamento alle aziende tech sul territorio e impedisce di raggiungere un accordo con gli alleati. “Dobbiamo allearci con parti del mondo che hanno valore. Nel panorama mondiale, l’egemonia americana ed europea sta scomparendo” di fronte alla crescita demografica ed economica di altre realtà, come Cina e India. Collaborare sembra essere l’unica strada percorribile ma anche la più tortuosa. Il primo grande passo da compiere per l’Unione europea è il Dma, ma prima vanno convinti gli Stati membri e, solo dopo, sperare che piaccia anche al di là dell’Oceano.

(Foto: Andrea Caramelli)

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