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Che Cina esce dal Plenum? Le prospettive di Le Corre (Harvard)

La Cina, gli Usa e l’Europa davanti alla rivoluzione storica di Xi Jinping. Conversazione con Philippe Le Corre (Kennedy School-Harvard) sul futuro di Pechino. Evergrande, Olimpiadi, rapporti commerciali e pace sociale

Quello concluso oggi, giovedì 11 novembre, è il sesto Plenum del 19esimo Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc), da cui il segretario, il capo dello Stato Xi Jinping, è stato incoronato come leader della “nuova era” dalla “rivoluzione storica” redatta sui cento anni del Partito/Stato. Il documento era già pronto da tempo, studiato nei minimi dettagli, e attendeva solo il voto — scontato — dei 370 partecipanti: “Una risoluzione sui grandi risultati e sull’esperienza del comunismo cinese nei suoi primi cento anni”, come lo ha comunicato Pechino. La Repubblica popolare si trova davanti a un momentum che resterà impresso nella sua esistenza; dopo Mao Zedong e Deng Xiaoping, anche Xi cambierà la storia.

Come sarà la Cina dopo questo momento storico, che arriva mentre manca solo un anno al 20esimo congresso del PCC? Xi Jinping sembrerà più forte che mai, sia ideologicamente che in termini di presa del suo potere, con la sua squadra sempre più stretta attorno a lui, secondo Philippe Le Corre, senior research fellow alla Kennedy School dell’Università di Harvard.

“Allo stesso tempo — continua — potrebbe essere un colosso con i piedi di argilla: l’economia sta diventando traballante e questo potrebbe avere conseguenze dirette sul suo governo. Lui e i suoi soci sono molto preoccupati di preservare la pace sociale (da qui l’idea di ‘ridistribuzione’ e ‘prosperità comune’ per compiacere il cinese medio). Ma ci sono molte tensioni nella società cinese, e il partito non può trovare tutte le risposte”.

Ieri il colosso del real estate Evergrande è stato di nuovo inadempiente sui pagamenti degli interessi agli investitori internazionali ed è tutto pronto per un fallimento storico. Quanti altri Evergrande possono rovinare i piani di Xi Jinping? “In realtà non è questa la cosa principale, mettere ordine fa parte del piano di Xi, sebbene adesso naturalmente si trova davanti alla necessità di rimborsare molte persone che si sono viste portare via le loro proprietà o risparmi da questi sviluppatori immobiliari, non solo Evergrande ma anche gli altri”, spiega Le Corre.

Ciò che conta di più è la crescita del Pil, la coesione sociale e una vera “redistribuzione” tra ricchi e poveri. “Prima di tutto — continua il docente — le Olimpiadi di Pechino devono, ripeto devono , avere successo (per il Partito) e per preparare il 20esimo congresso del Pcc. Per non parlare del Covid, visto che la Cina finge di continuare questa politica ‘Zero Covid’: per quanto tempo può essere sostenuta?”.

Cosa cambierà (e cosa no) della politica estera Xi? “Probabilmente non cambierà molto: tensioni e tensioni, solo per giustificare il potere e la politica rinascimentale-nazionalista di Xi. Anche se nutro qualche speranza sul vertice virtuale con Joe Biden”.

La prossima settimana, anche se non è stata fissata una data specifica, i due leader si parleranno: tra i temi di contatto messi in agenda quelli che riguardano i cambiamenti climatici e la necessità di ridurre l’inquinamento, ma secondo Le Corre il vertice sarà privo di contenuti e principalmente simbolico. “La scena interna negli Stati Uniti rimane molto anti-cinese. In soli tre o quattro anni, la Cina è diventata il nemico numero uno (prima, erano solo il Pentagono e la Cia a dirlo). C’è qualche lieve speranza sul fronte europeo, ma solo lieve”, spiega il docente di Harvard.

In che senso ”lieve”? “Non credo che i leader dell’Ue vogliano alienarsi gli Stati Uniti sulla questione della Cina. E la Cina non è diventata più morbida in Europa. Solo la parte commerciale sembra disposta a fare affari con la Cina, ma anche quella comunità è divisa (per esempio la camera di commercio dell’Ue in Cina)”

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