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Meno servizi, più industria. Se l’economia cinese cambia pelle

Secondo l’economista Chen Long, il rimbalzo del Pil post-pandemico ha spostato il baricentro dell’economia del Dragone, sempre meno appesa alla fornitura e al consumo dei servizi. Ma l’imprenditore e saggista Alberto Forchielli ha i suoi dubbi. Mentre la Fed avvisa gli Usa…

Qualcosa è cambiato per sempre in Cina. La grande pandemia, che proprio nell’ex Celeste Impero ha avuto origine, ha messo in seria discussione l’equilibrio economico basato sui servizi. Non c’è solo di mezzo il virus, ma anche la devastante crisi immobiliare innescata da crack di Evergrande, il lockdown energetico e una ripresa che sembra avere il fiato sempre più corto. Lo dicono i numeri: se nel primo trimestre del 2021 Pechino aveva messo a segno una crescita del 18,3%, ecco che nel secondo trimestre il tasso ha ripiegato al 7,9% per poi ridursi ancora al 4,9% tra luglio e settembre.

QUALCOSA È (FORSE) CAMBIATO

Questo rimbalzo ora affievolito unito al fattore edilizio ed energetico ha avuto come prima conseguenza quello di spostare il baricentro dell’economia cinese, sempre più appesa all’industria e sempre meno ai servizi. Di questo è convinto Chen Long, economista dell’Università di Pechino e in forza alla Gavekal Dragonomics. “Molte cose sono cambiate dall’inizio della pandemia”, ha messo in chiaro Long, intervenendo in un dialogo con Bill Bishop sulla testata Sinocism.

“Il settore dei servizi cresceva molto più velocemente prima della pandemia. Ma oggi risulta fortemente sotto-performante, mentre il settore industriale, che al contrario stava rallentando da molti anni, ha improvvisamente iniziato a sovra-performare. Quindi, fondamentalmente, dal secondo trimestre dello scorso anno, abbiamo un’economia cinese che si sta allontanando da un’economia guidata dai servizi, in favore di un’economia più industriale”.

Il cambio di paradigma è, secondo Long, netto, anche perché produrre meno servizi vuol dire maggiore difficoltà nel soddisfare la domanda globale.  “Siamo dinnanzi a una completa inversione di tendenza dal 2010, o addirittura dal 2005. L’intero equilibrio cinese si è in qualche modo invertito nell’ultimo anno o giù di lì, proprio quando la Cina ha iniziato a uscire dalla pandemia, ad aprile o maggio 2020. Tutto questo ha colto di sorpresa il mondo, ma soprattutto il governo cinese”.

I DUBBI DI FORCHIELLI

Sulla questione, Formiche.net ha sentito il parere di Alberto Forchielli, imprenditore, economista e fondatore di Mandarin Capital Partners, il più grande fondo di private equity sino-europeo. “Ad essere onesti non sono d’accordo, in Cina è cambiato poco, al massimo sono cresciute di più le esportazioni perché la domanda domestica si è fermata con la pandemia. Ma ora che la pandemia finirà allora in Cina i servizi riprenderanno quota e tutto verrà di nuovo bilanciato. Dunque mi pare un errore parlare di ritirata dei servizi”, spiega Forchielli. “I cinesi saranno semmai in grado di produrre praticamente tutto e lo spazio per le aziende occidentali sarà sempre più ridotto”. Basti pensare che “nel 2020, l’Europa ha comprato 380 miliardi di euro di beni cinesi, a fronte dei 202 miliardi venduti alla Cina. Questo disavanzo si bilancerà con i servizi”.

L’economista poi allarga lo spettro della sua analisi alla crisi immobiliare. “Pechino ha detto che non avrebbe aiutato le grandi aziende del mattone, questo è vero. Ma non li fa nemmeno fallire, fa sì che possano ripagare il debito estero e dare le case ai clienti che le hanno pagate. E poi scusi, è stata la stessa Pechino a mettere i colossi dell’immobiliare in queste condizioni, dunque ora non può certo affossarli. Al massimo li tiene a bagnomaria”.

IL MONITO DELLA FED

Chi di certo è preoccupato è la Federal Reserve, la banca centrale americana, che nel sul ultimo Financial Stability Report, diffuso nella notte italiana, ha messo in guardia gli Usa dagli effetti della crisi immobiliare cinese. La Fed spiega come l’attuale stretta regolatoria impressa dalle autorità cinesi sul settore immobiliare e su altre attività economiche con una forte esposizione debitoria potrebbe tracimare nel campo della finanza e creare un’improvviso crollo dei prezzi immobiliari e della propensione degli investitori a puntare sulla Repubblica popolare cinese.

“Data la dimensione dell’economia cinese e del suo sistema finanziario, come anche i suoi estesi rapporto commerciali col resto del mondo, gli stress finanziari in Cina potrebbero danneggiare i mercati finanziari globali attraverso un deterioramento della propensione al rischio, e porre rischi alla crescita economica globale, oltre che impattare sugli Stati uniti”.



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