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Cina vs Usa, cosa vuole (davvero) Biden. Lo spiega Shullman (Acus)

L’esperto dell’Atlantic Council, un passato alla Cia e nel governo Usa: il Partito comunista cinese ha influenza anche in Italia. Fra Washington e Pechino tensioni alle stelle, ma Xi non attaccherà Taiwan per un anno. Aukus? Anche l’Italia può dire la sua nell’Indo-Pacifico

David Shullman è senior director del Global China Hub all’Atlantic Council, ha lavorato per anni nella Cia e nel Consiglio dell’intelligence nazionale americano come esperto di Asia orientale. In uno scontro tra Cina e Stati Uniti che va sempre più polarizzandosi, spiega a Formiche.net, per la Casa Bianca è una buona notizia poter contare sull’Italia.

Cina e Stati Uniti sono ai minimi termini?

Un primo passo è stato fatto. Il summit virtuale della scorsa settimana rispondeva a una chiara esigenza: ripristinare la comunicazione strategica ai massimi livelli. La tensione è alle stelle, specialmente sull’autonomia di Taiwan. Bisognava inviare un segnale al mondo: i rapporti non degenereranno in un conflitto.

È un segnale credibile?

C’è una incomprensione di fondo fra le due parti. L’amministrazione Biden è convinta che si possa avere entrambe le cose: da una parte una relazione stabile con la Cina, dall’altra il pugno duro e una competizione intensa sul fronte economico, militare e dei diritti umani. Che l’America debba difendere i suoi interessi senza entrare in un terreno pericoloso.

E la Cina?

La narrazione cinese è opposta. Se l’America vuole cooperare di fronte a sfide comuni, come il cambiamento climatico, deve smettere di interferire nella politica cinese per l’Asia orientale e i diritti umani. Impossibile fare entrambe le cose.

Lei ha lavorato a lungo nell’intelligence. Le agenzie americane hanno espresso preoccupazione per la tendenza della Cina di auto-isolarsi e ridurre al minimo i canali con l’esterno. Perché la “sindrome bunker” fa paura?

Perché l’intelligence fatica a raccogliere informazioni sul campo, aumenta il rischio di un incidente. L’isolamento è reale e tocca tanti ambiti. Nella video-chiamata Biden ha chiesto a Xi di riaprire il Paese ai giornalisti americani. Questa chiusura della Cina sta vivendo un’involuzione dovuta alla pandemia: l’accelerazione può creare equivoci pericolosi, non solo fra i rispettivi governi ma anche fra cittadini cinesi e americani.

Durerà?

Difficile fare previsioni. Io credo che non sia un fenomeno di lungo periodo. La campagna del governo cinese contro l’“infiltrazione” delle idee democratiche occidentali rientra in una fase di isolamento dal mondo innescata dalle misure anti-Covid. Ma è anche il frutto di una delicata transizione politica per Xi, che dopo il plenum del partito deve pensare alla rielezione al Congresso e alle Olimpiadi il prossimo anno. È comprensibile che abbia deciso di non viaggiare ed essere meno presente sul piano diplomatico.

Gli allarmi non mancano. Come bisogna leggere la scoperta del lancio di due missili ipersonici cinesi la scorsa estate?

È la conferma degli allarmi lanciati dalla nostra intelligence sulla modernizzazione e l’aumento delle capacità militari dell’esercito cinese avviati ormai da anni. Oggi iniziamo a vedere i frutti di questo percorso e sono impressionanti, dalla tecnologia ipersonica al nucleare. Perfino il Pentagono è sorpreso: dobbiamo accelerare il passo e farlo con gli alleati, al più presto.

Da mesi si inseguono gli allarmi su una possibile invasione cinese a Taiwan. Credibili?

È sicuramente uno scenario più probabile di uno o due anni fa, non credo che uno scontro sia imminente. L’esercito cinese sta senza dubbio addestrandosi per essere pronto a un’invasione, ma ci sono forti disincentivi per procedere. È un momento delicato sul piano politico: se il piano non dovesse andare a segno, ci sarebbero enormi ricadute sulla credibilità e la legittimazione di Xi nel partito.

Aukus, il patto per i sottomarini nucleari fra Stati Uniti, Australia e Regno Unito, ha fatto infuriare Macron. L’Europa americani può ancora giocare un ruolo nell’Indo-Pacifico?

Non solo può, ma deve. Specialmente i Paesi, come l’Italia, che finora sono stati ai margini. L’Indo-Pacifico è ormai il centro della geopolitica mondiale, il futuro dell’economia globale. L’Europa non può permettersi di restare in disparte, e gli Stati Uniti non possono sfidare la coercizione economica, tecnologica e militare cinese senza i partner europei.

A suo parere l’Italia oggi è più allineata con gli Stati Uniti quando si tratta di Cina?

Sì. Credo che questa sia la speranza, almeno. E inoltre c’è più speranza di avere un dialogo senza che la Cina interferisca nella politica domestica dei Paesi europei e nel mondo. Avere un confronto su queste sfide è molto importante. Sappiamo che c’è molta influenza del Partito comunista cinese in Italia. Costruire insieme la resilienza democratica su questi temi è fondamentale.

 

 

(Ndr: La versione originale del testo nell’ultima risposta è stata sostituita con una versione letterale della trascrizione dell’intervista)

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