Dietro il dialogo, la tensione. La videoconferenza tra Biden e Xi non scioglie il nodo nucleare: i due lanci di missili supersonici cinesi in estate hanno suonato un campanello d’allarme. Ma quanto è competitivo (davvero) l’arsenale di Pechino? L’analisi del generale Carlo Jean
Lo scorso agosto, la Cina ha fatto planare sulla terra, a velocità supersonica, oggetti in orbita bassa nello spazio. Gli Usa, colti di sorpresa, hanno affermato che si trattava di un esperimento di lancio di testate nucleari messe in orbita bassa e destinate a planare per colpire obiettivi sulla terra, manovrate da retrorazzi. La Cina ha smentito tale interpretazione, affermando che si trattava di esperimenti – effettuati nell’ambito del suo programma spaziale civile – di recupero di oggetti lanciati nello spazio, per poterli recuperare e riutilizzare.
I dubbi sulla natura e finalità dei due esperimenti, che hanno visti impegnati i lanciatori pesanti “Lunga Marcia-9”, rimangono. Malgrado le smentite, il Pentagono pensa che facciano parte del consistente ammodernamento dell’arsenale nucleare cinese. Secondo gli Usa, Pechino aumenterebbe il numero delle sue testate nucleari dalle 250 attuali a 700 entro il 2027 e a 1.000 entro il 2030.
Migliorerebbe anche la qualità dei vettori: i missili intercontinentali (Icbm) a combustibile liquido verrebbero integralmente sostituiti da altri a combustibile solido; sarebbero poi protetti da un attacco di sorpresa, sistemandoli in silos corazzati, già in corso di costruzione: verrebbe infine completamente attivata la “triade” nucleare (missili lanciati da terra e da sommergibili e bombardieri).
Taluni ritengono che, a programma ultimato, la Cina abbandonerà la strategia dichiaratoria basata sul “deterrente nucleare minimo” e il “no first use”, decisa nel 1964, dopo lo scoppio della prima bomba nucleare cinese.
Disporrà di un deterrente nucleare basato su di una sicura capacità di “secondo colpo”, quindi di deterrenza credibile nei confronti degli Usa, anche dopo aver subito un attacco di sorpresa (First Strike). Potrà garantire un “ombrello nucleare” a operazioni convenzionali aggressive, a Taiwan o nel Mar Cinese Meridionale, rendendo meno probabile l’intervento degli Usa, che Xi Jinping considera in inevitabile declino.
Delle 250 testate, oggi in possesso della Cina, un centinaio – tra Icbm e missili a bordo dei sommergibili “classe Jin” – è in grado di colpire gli USA, dopo aver superato le difese antimissili dell’Alaska e della California. Il “deterrente minimo” è tutt’altro che sicuro. Con il programma in corso lo diverrà. L’ammodernamento cinese riguarda sia la quantità delle testate, sia la qualità dei loro vettori.
Per inciso, il numero di quelle strategiche sia degli Usa che della Russia rimarrà fisso a 1.550, come previsto dal Trattato New START, che scade nel 2026, anche se il numero delle testate di ciascuna – incluse quelle sub-strategiche, quelle in stoccaggio e quelle in attesa di demolizione – supera le 6.000 per ciascuna. Tale disparità numerica delle testate è stata utilizzata da Pechino per rifiutare ogni negoziato di controllo delle armi nucleari. La Cina non potrà, comunque, acquisire una capacità di first strike, cioè di distruggere il deterrente americano o quello russo con un attacco di sorpresa.
La preoccupazione per gli esperimenti cinesi di armi nucleari plananti dallo spazio comunque rimane, se non altro perché dimostrano l’alto livello tecnologico raggiunto dalla Cina. Ciò ha indotto il gen. Mark Milley, CJCS, ad affermare che gli Usa sono fronteggiati a un nuovo “Sputnik moment”, cioè al timore di essere superati dalla Cina, come era avvenuto alla fine degli anni ’50, quando, dopo il lancio dello Sputnik, ritennero di essere stati superati dall’Urss. L’affermazione sembra esagerata. Forse è stata motivata dalla richiesta di altri fondi per la difesa. È esagerata anche perché quella utilizzata dai cinesi non è una tecnologia nuova. Era stata sviluppata da Mosca negli anni sessanta.
L’ingiustificato timore per le bombe plananti accelererà comunque il grandioso piano di ammodernamento nucleare di Washington (1,2 – 1,8 trilioni di dollari in trent’anni), deciso da Barack Obama dopo aver preconizzato, a Praga nel 2009, un mondo libero dal nucleare, fatto che gli fece attribuire, fra gli applausi generali, il Premio Nobel per la Pace. Renderà poi più difficile ogni negoziato di Controllo, Limitazione e Riduzione degli armamenti nucleari, sia offensivi sia, soprattutto, difensivi. L’Arms Control della guerra fredda entrerà definitivamente in crisi. Gli Usa, si sono ritirati nel 2002 dal Trattato Abm e nel 2018 da quello sulle armi intermedie o Euromissili (con gittata da 500 a 5.500 km).
La tecnologia utilizzata dall’Urss fu chiamata FOBS (Fractional Orbital Bombardament System). Il “fractional” fu aggiunto per rispettare formalmente, mentre in realtà si violava il Trattato sullo Spazio che ne vieta la militarizzazione, specie la collocazione in orbita di armi nucleari. Il Cremlino affermava che le orbite delle sue armi non erano complete, fatto che non sembra essere valido per gli esperimenti cinesi. Comunque, Mosca predispose 18 rampe di lancio di sistemi FOBS nel cosmodromo di Bajkonur. Divennero operative nel 1969 e furono ritirate nel 1983, allorquando fu smantellato il sistema antimissili USA Safegard, vietato dal SALT II.
I vantaggi di schierare armi nucleari in orbita e di farle planare per colpire obiettivi terrestri, consistono, soprattutto, nel fatto che esse consentono di neutralizzare le difese antimissili per tre motivi. Intanto, i tempi di preavviso di un attacco sono molto più ridotti rispetto agli ICBM.
Poi, le testate plananti sono più manovrabili in tutte le direzioni rispetto a quelle dei missili. Infine, specie nel caso della Cina, consentono di colpire gli Usa dal Polo Sud, evitando le difese antimissili dell’Alaska e della California (costate sinora ben 70 mld. $). Gli Usa dovrebbero costruirne altre in Australia e Colombia, con affidabilità molto ridotta, per la citata manovrabilità delle bombe plananti. Queste ultime, per converso richiedono a parità di carico utile lanciatori di maggiore potenza e hanno un minore livello di precisione (sembra che negli esperimenti cinesi, i materiali recuperati dallo spazio abbiano mancato per 40 km i loro obiettivi).
In conclusione, l’eventuale introduzione di FOBS negli arsenali nucleari non produrrà variazioni significative nei rapporti di forza fra le grandi potenze. Non è in condizioni di destabilizzare i sistemi dissuasivi in atto. Avrebbe, al riguardo, un impatto minore di quello delle armi convenzionali iper-veloci e di quelle cibernetiche.