Vaccini, elezioni, Cop 26, sinodo di papa Francesco. Affermare che c’è un complotto dietro ogni prassi istituzionale vuol dire credere che tutte le forme di potere siano patologicamente segnate. Ma non è assolutamente vero. Il commento di Rocco D’Ambrosio, presbitero della diocesi di Bari, ordinario di Filosofia Politica nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Gregoriana di Roma
A detta di alcuni, forse molti – comunque un numero in crescita – c’è un complotto dietro (quasi) ogni evento pubblico: la pandemia, i vaccini, le elezioni politiche o quelle prossime del presidente, la stesura e attuazione del Pnrr, il sinodo di papa Francesco, il Meeting Cop 26, il riscaldamento globale e chi più ne ha, più ne metta. In casa italica gli autori si sprecano: i “poteri forti”, la massoneria, il Vaticano, i giornali, le Nazioni Unite, i padroni dei social e così via. In generale si può dire che un complottista è colui che “ritiene che dietro molti accadimenti si nascondano cospirazioni, trame e complotti occulti” (Treccani on line); alcune volte rasentando anche la più plateale stupidità. Comprendere le cause del suo pensare e operare, isolato o in gruppo, è un po’ difficile, visti i diversi risvolti presenti (psicologico, antropologico, etico, sociale e politico). La posizione non è affatto nuova nella storia, forse la novità oggi è la velocità con cui queste tesi complottiste si creano e si diffondono, grazie a media e social. Credo che la posizione complottista abbia alcuni elementi comuni, che si ripetono a prescindere da soggetti, gruppi, luoghi, tempi e temi coinvolti.
Innanzitutto, il complottista fa fatica ad accettare la complessità degli eventi e del mondo contemporaneo, per mancanza di strumenti conoscitivi e/o per stati emotivi quali sfiducia, paura, mania di persecuzione. Il mondo contemporaneo è complesso e, spesso, anche complicato. Complessa è ogni realtà che, per essere letta e compresa, ha bisogno di più parametri interpretativi. Posizioni complottiste – spesso in coppia con quelle integraliste, sovraniste, reazionarie, arroccate nella difesa, a qualsiasi costo, del proprio orticello – hanno poco rispetto della complessità e poca attenzione alla gradualità del ricercare, sapere e trasmettere, che è sempre un fatto collettivo e mai individuale. La complessità impone, mai come oggigiorno, di aver cura per le persone e amore per lo studio, insieme a tanta calma, pazienza, dialogo, coraggio e lungimiranza nello studiare quanto succede dentro e fuori di noi; impone anche più politica chiara ed efficace nel governare processi, sia globali che locali.
Credo che ai complottisti possa essere applicata l’analisi che Mounier proponeva per gli anarchici (non a caso, spesso, anche complottisti): il loro atteggiamento, con molte varianti, è sempre la miscela di tre atteggiamenti fondamentali quali “l’individualismo, la negazione totale e il disordine”. Alla luce di questi parametri, l’atteggiamento complottista si mostra essere più un problema antropologico che istituzionale. Infatti, è evidente che esistano poteri sani e poteri malati, poteri fondamentalmente sani con malattie di diverse intensità e poteri malati che hanno elementi sani e così via. Gli esempi potrebbero continuare all’infinito, perché infiniti sono i rapporti tra salute e malattia all’interno della stessa unità corporale, sia questa una persona fisica o un’istituzione. Affermare che c’è un complotto dietro ogni prassi istituzionale vuol dire credere che tutte le forme di potere siano patologicamente segnate. Ma ciò non è assolutamente vero. Il passaggio obbligato ritorna ad essere quello educativo: l’atteggiamento complottista può essere anche frutto di particolari impostazioni educative in materia di relazionalità e di esperienze negative nelle istituzioni; come dell’impotenza, determinate dalla crisi politica ed economica. Ci saranno, pure, dei complotti ma non si deve perdere mai la misura nel riscontrarli (il “metron” per i Greci). E aver una misura vuol dire avere una sana consapevolezza di cosa sia il bene personale e quello pubblico; quale sia l’origine, la finalità e le interconnessioni che il bene determini. Lo stesso dicasi per le situazioni negative.
Scrive Pascal nel famoso frammento sulla Sproporzione dell’uomo: “Tornato alla considerazione di sé, l’uomo esamini ciò che egli è rispetto a ciò che esiste; si consideri come sperduto in questo remoto angolo della natura, e da questa piccola cella dove si trova rinchiuso, voglio dire l’universo, impari a stimare la terra, i regni, le città e sé stesso nel loro giusto valore”.