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Gli sberleffi Grillo-Conte sono un problema per il Pd. E per il Paese

Si pongono due problemi riguardo le convulsioni a cinque stelle. Il primo è tutto politico e concerne il futuro della legislatura e il modo in cui il perimetro della sinistra si presenterà agli elettori. Il secondo è sociale: il ribellismo dei Vaffa day, ora in disuso, è sempre pronto a riemergere e saldarsi con spinte antisistema. Il mosaico di Fusi

Beppe Grillo che sbertuccia Giuseppe Conte (“È bravissimo nei penultimatum”) riguardo la “non irreversibilità” – il linguaggio già spiega tutto – del diniego di partecipare ai talk show annunciata dall’ex premier, non è solo l’irrefrenabile battuta di un uomo di spettacolo che non sa trattenere la lingua. Oltre i dissensi politici e personali tra i due, e anche al di là del merito stesso della questione, quello sberleffo squaderna in modo palese l’incompatibilità di due versioni del MoVimento che continuano a convivere sotto lo stesso tetto ma sono destinate inevitabilmente a confliggere e deflagrare già adesso in occasione delle votazioni per eleggere il nuovo presidente della Repubblica e in maniera definitiva quando si apriranno le urne delle elezioni politiche.

Grillo e i suoi seguaci rimangono legati all’immagine di una forza politica che rifugge gli schemi di Palazzo e si rivolge all’elettorato con parole d’ordine proiettate sul grande schermo del futuro: la proposta di reddito universale fa testo. Conte sta cercando di trasformare un impulso di pancia in una strategia di testa, intento a capitalizzare sul terreno politico ciò che rimane di una suggestione palingenetica inserita a forza negli schemi della politica politicante.

Si tratta di due atteggiamenti che più diversi di così non potrebbero essere e che tuttavia contraddittoriamente continuano a segnare la traiettoria sempre più caotica di una forza politica che è tuttora la prima in termini di seggi parlamentari ma che è destinata ad un ridimensionamento crudele (gli ultimi sondaggi, sempre da prendersi con le molle, la danno in caduta all’11 per cento col rischio di ritrovarsi ad una sola cifra) che si è già palesato nell’ultima tornata amministrativa.

E’ inutile oltre che fuorviante soffermarsi a chiedere chi dei due sia nel giusto e abbia più benzina nel serbatoio ideologico-tattico. Il punto vero è l’incompatibilità tra le due posizioni e la rottura nel consenso che è destinata a provocare. Qualcosa del genere era già avvenuta nel corso del governo gialloverde, laddove il M5S aveva dimezzato la sua forza a favore del centrodestra a trazione salviniana. Ora sembra che un travaso, di dimensioni assai più ristrette, stia avvenendo a favore del Pd. A rimanere nel recinto pentastellato sono sempre meno, e l’emorragia non sembra destinata a fermarsi. I leader dei Cinquestelle accusano Renzi di volerli distruggere: ma forse a impensierirli dovrebbero essere i pericoli di implosione interna più che le manovre piratesche e guascone del capo di Iv.

Le difficoltà grilline si riflettono anche e soprattutto fuori dal perimetro del MoVimento, e riguardano gli alleati: in sostanza il Pd. Al momento sia assiste al curioso fenomeno per cui mentre il Nazareno cerca di puntellare in ogni modo una leadership come quella di Giuseppi continuamente pencolante (basta ricordare la vicenda dei capigruppo), il Fondatore nonché Elevato e sempre Garante non perde occasione per picconarlo. L’aiutino o aiutone esterno è certamente importante, ma è complicato immaginare che possa sorreggere una impalcatura che non riesce a sostenersi da sola.

In sostanza si pongono due problemi riguardo le convulsioni a cinque stelle. Il primo è tutto politico e concerne il futuro della legislatura e il modo in cui il perimetro della sinistra si articolerà e si presenterà agli elettori. Letta può giustamente puntare a drenare i voti grillini in libera uscita, ma il rischio è che la gran parte di essi o resterà in qualche misura legata al nocciolo duro, seppur rimpicciolito, del brand (Travaglio sostiene che Conte è l’unico ad avere i voti), oppure si rifugerà nell’astensione. In ogni caso il campo largo che è il pilastro della narrazione del segretario Pd  potrebbe subire una miniaturizzazione che ne affosserebbe le potenzialità.

Il secondo è di natura sociale. Il ribellismo insito nei Vaffa day ora in disuso ma sempre pronto a riemergere e saldarsi con le spinte antisistema per esempio dei No Vax, era stato incanalato dal M5S e in qualche nodo istituzionalizzato. Ora che quella miscela mostra i suoi limiti, è possibile che saltino gli argini e si determini una tracimazione che può avere effetti nefasti sulla coesione sociale. Il nodo è capire chi possa raccogliere quella eredità e e se esistano le condizioni per volgerla in positivo e sostenere gli sforzi di Mario Draghi. E nel frattempo decifrare quale sarà la scelta di Conte (uguale a quella di Di Maio?) per il Quirinale. La ciurma ondeggia incontrollabile, e il capitano ha una bussola con l’ago impazzito.

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