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Meglio Nato che niente. Dove (non) può andare la difesa Ue

Attenzione Usa sulla Bussola strategica. Se ne interessano media e centri studi che sottolineano le diverse posizioni tra i 27 e la necessità di integrazione e coordinamento con l’Alleanza atlantica

La Bussola strategica dell’Unione europea deve trovare il consenso di tutti i 27 Stati membri – alcuni “costituzionalmente neutrali”, altri con “diverse posture costituzionali e militari” – ma c’è ottimismo per la realizzazione di “una cultura strategica comune”, che potrà nascere con lo slancio del documento recentemente presentato da Josep Borrell, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. È quanto ha dichiarato l’ambasciatore Pietro Benassi, rappresentante permanente d’Italia all’Unione europea e già sottosegretario con delega alla sicurezza durante il governo giallorosso guidato da Giuseppe Conte, alla CNN.

L’emittente americana, che ha sottolineato che quella di Benassi è opinione diffusa a Bruxelles, si è interessata agli sforzi europei verso una maggiore autonomia strategica intervistando una ventina di funzionari, diplomatici e politici. Il titolo è eloquente: “L’Unione europea si rende conto che non può contare sull’America per la protezione. Ora ha un progetto per una nuova forza militare congiunta” che dal 2025 potrebbe includere fino a 5.000 militari.

Per l’ex primo ministro finlandese Alexander Stubb il rinnovato entusiasmo di Bruxelles per la sicurezza è “tempestivo, importante e realistico”. Gli Stati Uniti “non sosterranno la sicurezza europea per sempre”, ha detto. E Se l’Europa vuole davvero proteggersi, “ha bisogno di capire che la linea tra guerra e pace è confusa: il soft power è stato armato ed è diventato hard power. Lo vediamo con i richiedenti asilo usati come armi. Lo vediamo con l’informazione, il commercio, l’energia e i vaccini usati come armi”.

C’è chi spinge, nota la CNN. Come la Francia di Emmanuel Macron, il Paese “più appassionato” alla faccenda che spera in un’intesa entro il primo semestre dell’anno prossimo, quando sarà presidente del Consiglio dell’Unione europea. E come i Paesi orientali come Polonia, Estonia e Lituania.

E c’è chi frena o potrebbe farlo. Come la Germania del prossimo cancelliere Olaf Scholz, con il ministero della Difesa che se finisse ai socialisti potrebbe essere meno disponibile a impegnarsi di quello francese.

C’è molta attenzione agli sforzi europei dall’altra parte dell’Atlantico. Lo dimostra l’articolo della CNN. Lo dimostrano due rapporti. Uno del Center for strategic and international studies, titolato “Europe’s High-End Military Challenges: The Future of European Capabilities and Missions”. L’altro della Rand Corporation: “European Strategic Autonomy in Defence”.

Il senso del primo – che analizzando anche la situazione militare italiano sottolineando però l’instabilità politica e le difficoltà dell’economia – è tutto racchiuso nel grafico qui sotto, che valuta le capacità di difesa europee nelle diverse regioni d’interesse.

E forse non è un caso, dunque, che le conclusioni del documento ruotino tutte attorno alla Nato. Primo: l’Alleanza dovrebbe rivedere la sua condivisione degli oneri guardando “maggiormente ai risultati, compresa l’analisi della capacità degli alleati di condurre missioni specifiche”. Secondo: “farebbe bene a modernizzare il suo Nato Defense Planning Process” comprendendo “più obiettivi nei domini emergenti” o dando “maggiore attenzione alle capacità che consentono l’integrazione multidominio”.

In questo senso, i Paesi più grandi come Francia, Germania, Regno Unito e Italia potrebbero servire come nazioni di riferimento. Terzo: migliorare le pratiche di finanziamento e approvvigionamento della Nato (anche a costo di prevedere una “Banca della Nato”) “possono contribuire ad aumentare la probabilità che gli obiettivi di capacità vengano raggiunti”. Quarto: la volontà politica, che, pur non rappresentando materiale della ricerca, è l’elefante nella stanza. Infatti, “se i partner europei e gli alleati degli Stati Uniti non hanno la volontà politica di usare il potere militare, allora nessun aumento della spesa o degli acquisti per la difesa migliorerà la loro capacità di contribuire alle missioni”.

Nella stessa direzione vanno le conclusioni della Rand: da una parte il dialogo tra Unione europea e Stati Uniti “potrebbe aiutare a evitare percezioni errate e ad affrontare le sfide comuni”; dall’altra “un approccio inequivocabilmente favorevole all’autonomia strategica europea nella difesa da parte degli Stati Uniti andrebbe a beneficio di tutti: l’Unione europea, gli Stati Uniti e la Nato”. Ma serve anche, secondo gli esperti, una “relazione costruttiva” tra Nato e Unione europea che prima “richiede una chiara articolazione delle ambizioni” della seconda “e un accordo sulle minacce e sulle aree di responsabilità”; e “ripristinare un rapporto costruttivo con il Regno Unito”, altra cosa che gioverebbe a tutti.

Sul rapporto tra Unione europea e Nato, a Bruxelles sembra aver avuto la meglio la linea sposata sin dall’avvio del dibattito dall’Italia, quella della piena sinergia, evitando duplicazioni e sovrapposizioni. Complice anche l’apertura degli Stati Uniti di Joe Biden, utilizzata per sanare la ferita prodotta dall’Aukus nei rapporti con la Francia, come sottolineavamo su Formiche.net.

L’obiettivo è intrecciare i dibattiti su Bussola strategica europea e Concetto strategico Nato, anche attraverso la dichiarazione congiunta attesa entro la fine dell’anno. Intanto, come spiegato, l’Italia si gode la sua centralità transatlantica, certificata anche, dalle colonne di Forbes, da Loren Thompson, esperto statunitense di sicurezza nazionale.

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