Skip to main content

Enrico Letta tra il flop sulla legge Zan e un’agenda ballerina

Prosegue l’analisi politologica di Luigi Tivelli, scrittore ed editorialista, dei vari leader di partito. Oltre al problema di individuare un’agenda idonea a quello che può essere il primo o il secondo partito italiano, Letta deve impostare la “campagna” per le elezioni quirinalizie

Enrico Letta è stato chiamato a dirigere il Pd circa un anno fa a gran voce, quasi come non riuscendo nel conclave dei capi correnti e similari a individuare un nuovo leader di partito, si invoca un papa straniero, visto che si era ritirato da alcuni anni a tenere una sorta di scuola di politica a Sciences Po a Parigi. Non mi sembra che l’esordio sia stato dei migliori. Ricordo bene di aver ascoltato il suo primo intervento da leader appena insediato e che i due punti più significativi per la sua conduzione del Pd erano stati individuati nello Ius Soli e nel voto ai sedicenni.

Mi sembra che per una fase abbastanza lunga Enrico Letta, al di là dell’appoggio del Pd al governo Draghi, non sia riuscito a dettare allo stesso Pd un’agenda davvero rapportata ai veri problemi del Paese: l’agenda sembra infatti fatta essenzialmente, oltre che dallo Ius Soli e il voto ai sedicenni, dalla tassazione sulle eredità, dal sostegno alla legge Zan nella sua versione originaria e da poco altro. Del flop della sinistra e del Pd sulla legge Zan in Senato hanno parlato ampiamente le cronache. Nel caso poi si trattasse di una specie di prova generale in funzione di una possibile elezione del Presidente della Repubblica nel perimetro della sinistra, peggio non poteva andare.

Sulla scia del cosiddetto successo ottenuto dal Pd alle ultime elezioni comunali, sembra che l’agenda si sia un po’ arricchita, anche se non è ben chiaro quali siano gli altri punti, oltre a quella che sembra un’opzione per l’introduzione del voto di preferenza nelle elezioni politiche e ad una maggiore attenzione alle questioni sociali. Manca però il coraggio di chiedere una riforma più incisiva del Reddito di cittadinanza così come non è ben chiara la politica delle alleanze, visto che alcuni piccoli partiti che potrebbero essere naturali alleati del Pd come Italia Viva e Azione di Carlo Calenda (reduce dal grande successo alle elezioni comunali di Roma) sembrano in contrasto sia con altri punti dell’agenda in qualche modo dettata da Enrico Letta, sia con l’alleanza “strategica”, che sembra in qualche modo confermata dal Pd di Enrico Letta con i 5 Stelle, compagni di strada da cui i gruppi, diciamo così, più centristi, come Italia Viva e Azione, tendono a fuggire.

E qua viene un punto, che si identifica con un personaggio che rischia di intaccare l’agenda e la stessa leadership di Enrico Letta. Il punto è l’alleanza strategica con i 5 Stelle incarnata da uno strano personaggio del Pd romano da qualche giornale (a cominciare dal Corriere della Sera), ancora definito come grande stratega, come Goffredo Bettini. Per essere chiari e franchi come è nello stile di queste analisi politologiche dei leader, lo stesso grande stratega Bettini si era rivelato un po’ una sorta di stratega alla matriciana dal momento che aveva mandato a sbattere il povero Nicola Zingaretti, di cui era stratega primario e super consigliere. Bettini infatti, che ora sembra aver costituito una sua corrente nel Pd che tende ad intaccare la leadership di Enrico Letta, aveva individuato come grande leader di tutta la sinistra il buon Giuseppe Conte, dignitoso avvocato del popolo, ex premier con alterne fortune, ma onestamente non si vede come possa essere designato come leader dell’intera sinistra.

Mi sembra sia stata questa la ragione di fondo delle dimissioni dello stesso Zingaretti da Segretario del Pd. Ora, anche i bambini hanno capito che Conte potrà avere tanti ruoli ma non certo quello di leader dell’intera sinistra, e non si vede come colui che l’aveva individuato e osannato per tale ruolo, possa continuare ad essere definito “stratega” o grande stratega, (come pur continua a fare il Corriere della Sera, dedicandogli lunghe interviste  a periodi abbastanza ravvicinati). È da sperare che questo cosiddetto stratega non sia una spina nel fianco per Enrico Letta, al quale basterebbe sostenere che, dopo una performance di tal genere, chiunque dovrebbe al massimo tornare a fare il semplice militante e dismettere totalmente ogni veste da stratega. Sembra che le attenzioni di questo personaggio molto ingombrante soprattutto per il Pd romano si siano ora rivolte con forza, e con successo, al nuovo sindaco di Roma Roberto Gualtieri. Egli infatti ha passato anni precedenti più o meno lontani a condizionare sindaci del Pd, esercitando questa funzione soprattutto verso Walter Veltroni che sembrava valorizzarne il ruolo, non mi sembra con grandi successi.

Tornando ad Enrico Letta, oltre al problema di individuare un’agenda idonea a quello che può essere il primo o il secondo partito italiano, deve impostare la “campagna” per le elezioni quirinalizie. Per ora sembra attestarsi sulla linea della richiesta, con qualche insistenza, del rinnovo del mandato a Sergio Mattarella, il quale però sembra non ne voglia proprio sentire. La subordinata sta nella linea di chiedere che Draghi continui a governare da presidente del Consiglio ed evitare in ogni modo che lo stesso Mario Draghi sia coinvolto nei giochi per il Quirinale.

Quanto ai successi elettorali di Letta, occorre onestamente un caveat: “Il successo del Pd è maturato infatti nella condizione in cui sono andati a votare meno del 50% degli italiani, e a un corpo elettorale così ristretto ha corrisposto una quantità di voti ben più ristretta di quello che sembra il calcolo tramite le percentuali. Anche nello stesso collegio in cui Enrico Letta si è misurato, quello di Siena, il corpo elettorale si è rilevato veramente striminzito, non attingendo neanche al 30%, e, anche se la stampa sembra non tener conto di questi aspetti, si tratta indubbiamente di un successo dimezzato.

Da parlamentare di Siena poi Enrico Letta dovrà provare a ricucire il qualche modo le gravissime ferite inferte dai suoi predecessori esponenti del Ds o del Pd di Siena, o esponenti nazionali che hanno messo mano alla questioni del Monte dei Paschi, individuando nella figura di un esponente in qualche modo dei post comunisti di Siena, un ceo del Monte dei Paschi, nobilitato addirittura anche con la presidenza dell’Abi, che ha condotto allo sfascio la banca, con responsabilità non minori di esponenti nazionali e locali dei post comunisti. Chissà se Enrico Letta, da parlamentare di Siena ha una ricetta per la questione Mps: una ricetta che non spetta certo esclusivamente a lui individuare, ma per la quale avendo scelto di diventare parlamentare senese, dovrebbe almeno dare un contributo. Se affrontassimo questo problema il discorso sarebbe troppo lungo.

Non è finito poi dentro il Pd il gran ballo delle correnti, a mo’ di una sorta di Democrazia cristiana rivisitata, ma con correnti che non trovano l’insediamento sociale che avevano invece le correnti della democrazia cristiana, mentre hanno come minimo le stesse fibrillazioni e spesso avviano giochi analoghi. È da sperare che il successo, pur dimezzato, del Pd alle comunali dia al suo segretario nuovi e maggiori poteri per tenere sotto controllo i giochi correntizi.

×

Iscriviti alla newsletter