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Perché Fortnite chiude e rinuncia al mercato miliardario cinese

Dopo due anni di prova, la versione cinese del videogioco non sarà più disponibile. La decisione è stata annunciata da Epic Games già due settimane fa ed è la conseguenza della stretta da parte di Pechino per contrastare la dipendenza diffusasi tra i più giovani

Tutto come previsto: da ieri la versione cinese del videogioco Fortnite ha smesso di funzionare. La notizia avrebbe fatto molto più rumore se non fosse già stata anticipata due settimane fa dalla società Epic Games, che dopo due anni di prova ha deciso di porre fine alle iscrizioni. Gli utenti cinesi lo conoscevano come Fortress Night, un nome appositamente coniato per il mercato locale. In realtà, non si trattava neanche di un videogioco ufficiale, bensì di un test. L’approvazione di tutti i videogiochi, infatti, deve arrivare dal governo centrale di Pechino. Grazie all’accordo siglato tra la società detentrice dei diritti del gioco e Tencent, azienda cinese leader dei videogiochi online, è stato possibile offrire al mercato cinese un’alternativa che, tuttavia, ne cambiava radicalmente alcune funzioni.

Anche se da parte di Epic Games non è arrivata alcuna spiegazione, è molto probabile che la decisione sia stata presa in virtù di questi piccoli ma essenziali cambiamenti nella natura del videogioco. Ad esempio, in Fortnite è possibile fare acquisti all’interno della piattaforma virtuale attraverso micro-transazioni, mai approvate dalle autorità cinesi. In questo modo, da un eventuale rinnovo della collaborazione tra Epic Games e Tencent sarebbero stati esclusi i ricavi generati da queste operazioni che nel mercato occidentale rappresentano un’importante fonte di guadagno.

Non solo però, perché le modifiche apportate da Pechino sui videogiochi occidentali non si fermano solamente a una questione normativa. L’approccio ai videogames da parte delle autorità cinesi è completamente differente rispetto al resto del mondo. L’utilizzo è subordinato a una serie di misure stringenti per combattere la dipendenza, che il PCC considera un problema culturale di primissimo ordine. La scorsa estate l’Economic Information Daily, gestito interamente dallo Stato, aveva posto l’attenzione sulle conseguenze che stava avendo la dipendenza da giochi online sulla popolazione più giovane, provocando un importante calo del valore azionario delle grandi società del settore in Cina. Non a caso si era arrivati a definire i videogiochi un “oppio spirituale”, parafrasando Karl Marx.

Proprio per questo, ad agosto, la National Press and Publication Administration ha annunciato delle limitazioni importanti per gli utenti al di sotto del 18 anni. Da quel momento, è consentito giocare solamente nel weekend – venerdì compreso – dalle ore 20:00 alle 21:00, con controlli ancora più serrati sulle società per vedere se rispettino le nuove regole. In precedenza, il tempo massimo consentito di fronte alle piattaforme virtuali era di 90 minuti. Anche Tencent si stava muovendo in questa direzione con l’introduzione del riconoscimento facciale per impedire ai più piccoli di giocare dalle 22:00 alle 8:00. I funzionari del governo di Pechino, dunque, si augurano che grazie all’insegnamento di “valori corretti” tra i giovani si possa instaurare “un’energia positiva”. Tra la popolazione c’è chi applaude alla decisione e chi, invece, la definisce “irragionevole”, denunciando l’entrata a gamba tesa della politica.

La stretta del governo cinese, d’altronde, non è nuova e rappresenta il proseguimento della lotta alle piattaforme digitali che Pechino ha iniziato già da diverso tempo. La guerra è stata dichiarata non soltanto ai vari Alibaba, Didi Global (che a luglio ha visto il suo titolo crollare a Wall Street dopo l’avvio di un esame di vigilanza da parte di Pechino sullo stato della sicurezza informatica) e, appunto, Tencent ma è stata allargata a tutti i giganti del tech, compresi ovviamente anche quelli occidentali – con una particolare attenzione a quelli statunitensi. Così, solo nell’ultimo periodo, a dire addio alla Cina sono stati prima LinkedIn e poi Yahoo: entrambe hanno riscontrato enormi difficoltà ad operare nel mercato cinese per via dei troppi controlli. Adesso è toccato a Fortnite, con modalità diverse ma con il medesimo risultato: le regole ferree allontanano le grandi aziende tech dalla Cina.

 

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