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Francesco, la fratellanza e l’umanità disconnessa

Nel messaggio che Francesco ha inviato pochi giorni fa a La Civiltà Cattolica e Georgetown University in occasione di un seminario sulla civiltà dell’incontro, il papa ha sottolineato l’assurdità di questa nostra epoca. Nell’iperconnessione che viviamo, siamo tutti disconnessi. Così la connessione tecnica diventa strumento di una disconnessione conflittuale tra culture, popoli, individui e ognuno, afferma Bergoglio, lo può constatare nella sua quotidianità

Uno dei contributi più importanti e poco considerati di papa Francesco alla riflessione politico culturale sull’oggi è stato certamente il suo ripetuto riferimento al poliedro. Per Bergoglio una globalizzazione che potremmo definire piatta e che lui però ha opportunamente definito sferica per spiegare che annulla le differenze tra tutti i popoli (o individui) rendendoci tutti uguali, come nella sfera tutti i punti sono ugualmente distanti dal centro, è destinata a esiti o sviluppi infausti. Anche il localismo che contrappone questi popoli, o individui, ha lo stesso destino. Ecco allora il poliedro, cioè la globalizzazione rispettosa delle differenze, come nel poliedro, figura unica ma in cui tutti i lati sono diversi. Per alcuni questa figura spiega bene l’idea di “mano”, che è una ed è fatta da cinque dita, che sono tutte dita, ma tutte diverse.

Nel messaggio che Francesco ha inviato pochi giorni fa a La Civiltà Cattolica e Georgetown University in occasione del loro seminario sulla civiltà dell’incontro, il papa ha proseguito su questo solco sottolineando un’assurdità di questo nostro tempo: nell’epoca dell’iperconnessione, un’epoca nella quale tutti viviamo in costante e assoluta connessione, siamo però tutti disconnessi. Così la connessione tecnica diventa strumento di una disconnessione conflittuale tra culture, popoli, individui? Sembra proprio di sì e quel che Francesco coglie è così sorprendente perché ognuno lo può constatare nella sua quotidianità e questo rende fortissima la sua contro-deduzione: solo il dialogo può trasformare la competizione in collaborazione.

Così il dialogo è stato il cuore dell’incontro di cui L’Osservatore Romano e La Civiltà Cattolica hanno fornito ex-post qualche resoconto. Si comincia da alcune riflessioni del cardinale Ayuso Guixot che in Vaticano presiede il consiglio per il dialogo interreligioso e che si è chiesto se davvero l’enciclica Fratelli tutti possa essere definita “innovativa”.

«Cosa intendiamo per innovazione? Anche noi per primi, parlando della Fratelli tutti, ne applaudiamo le novità senza renderci conto che papa Francesco non ha fatto altro in realtà che ribadire e ricordarci una verità antica quanto il mondo e che è alla radice della nostra fede: siamo tutti fratelli e sorelle. Non è un’esortazione a diventarlo ma una realtà esistenziale che papa Francesco, con buona pace di tutti, dà per acquisita: siamo tutti fratelli, nessuno escluso!». E ancor più: “Mi viene da sorridere pensando allo stupore di alcuni dinanzi all’enciclica, il che ci fa capire in che situazione viviamo oggi. Se il mondo scopre e si stupisce solo oggi che siamo tutti fratelli e sorelle non siamo certo messi bene! L’enciclica ci stimola ad un rinnovato slancio d’amore, che sia capace di compassione, di tenerezza, di attenzione, di perdono, e che generi fraternità, spalancando il cuore alle esigenze del Vangelo».

Dunque è il catto-liberismo, quello che con i teocon ha aperto le porte all’idea che gli uomini siano in naturale e benefica competizione tra di loro rendendo insostituibile il mercato e la salubre legge della concorrenza umana ed economica a rendere impercettibile la fratellanza nei tempi recenti. Se la concorrenza è naturale per gli individui sarà naturale anche per i popoli, per le culture, per le religioni. Dunque ritengo sia quello della concorrenza il punto da indagare. Concorrere non vuol dire necessariamente sfidarsi a duello. Qui aiuterebbe molto la riflessione che svolse anni fa l’antropologo René Girard affermando che non è la concorrenza ma l’imitazione la molla che muove gli uomini, elaborandone la teoria del mimetismo. Se si dà un trenino a dieci bambini, ognuno di loro si dannerà l’anima per averlo tutto per sé, se gli si danno dieci trenini dopo pochi minuti saranno disinteressati al gioco. Dunque l’altro, che prendo a modello, desiderando determina i miei desideri! È il mimetismo che muove l’uomo e l’altro è decisivo nel determinare i nostri meccanismi e i nostri desideri. Così divengono molto più chiare, e non utopiche, le parole del cardinale Ayuso Guixot che ha saputo porre in rilievo il “lavorare insieme”.

Una fratellanza che tenga positivamente conto della molla mimetica non è sferica, non elimina le differenze: “Non è bene che l’uomo sia solo”, ha detto per indicare la verità più profonda dell’essere umano, “l’essere stato creato per uscire da se stesso, per incontrare l’altro”. Il mimetismo di Girard può essere distruttivo, violento, ma potremmo vedere un mimetismo positivo nella solidarietà creativa per contrastare la progressiva disumanizzazione di un mondo proteso a indifferenza e avidità: è questo il Dio che gioca con le nostre differenze di cui parlò nel suo testamento Christian de Chergè?

“La fraternità è la presa di posizione più efficace contro la “cultura dello scarto” e il Covid ha solo inasprito situazioni di sfruttamento che si protraggono da secoli”. Riferendo dell’intervento di un ospite musulmano si dà conto che “Sultan al Remeithi ha ricordato come nella coscienza islamica predominino due principi, quello della conoscenza e quello della giusta e pia cooperazione, che costituiscono la base per l’accoglienza da parte musulmana dell’esortazione alla fraternità globale di papa Francesco”.

Al termine dell’incontro padre Antonio Spadaro ha sottolineato: “È interessante come Fratelli tutti, in incontri come questo testimonia, venga metabolizzata e declinata nei suoi molteplici effetti culturali, sociali e politici, che investono l’intero mondo. È un tornare alle origini, cioè a un vangelo che fermenta il mondo, indifferentemente dalle culture di provenienza e dai credi religiosi. Penso che ci sia molto da riflettere sul fatto che il ripensamento, oggi, delle basi del vivere civile, nella pace e nella fratellanza, venga da un leader spirituale e non politico. E che susciti, in così diversi ambienti culturali, un così vivo interesse, partecipazione e affezione”.

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