Dalla Germania emerge un dato. Al momento le carte sono coperte, ma la realtà dell’Eurozona è sempre più a macchia di leopardo. Occorreranno pertanto delle norme in grado di adattarsi alle multiformi situazioni che dovrebbero regolare. Questione di semplice buon senso: ancor prima di ragionamenti economici e finanziari. Il commento di Gianfranco Polillo
Ci sono voluti due mesi, ma alla fine il “semaforo” è entrato in funzione: pronto a dirigere il traffico della politica tedesca. Nel dare l’annuncio, c’era soddisfazione sul volto di herr Olaf Scholz, capo dell’Spd nonché vice presidente del governo ancora in carico e quindi cavalier servente per anni di Frau Merkel. La quale, al termine di una lunga e prestigiosa carriera, può finalmente lasciare ad altri l’incombenza di governare il più forte Paese europeo. Ed incidere sui destini di tutto il continente.
Circa 60 giorni, contro i 6 mesi che si resero necessari per giungere alla formazione dell’ultimo governo di Grosse Koalition o della GroKo come si dice normalmente, dopo le ultime elezioni. Quelle del 2017. Allora Angela Merkel fu costretta ad una lunga ed involuta spiegazione per giustificare il valore di una complicata mediazione, tra forze politiche opposte, per giungere al necessario compromesso. Oggi uno Scholz, disteso e sorridente, può invece dire che Socialdemocratici, Verdi e Liberali (il rosso, il verde ed il giallo del semaforo) sono pronti a governare: per “rafforzare la coesione sociale e per rendere migliore il Paese”.
Sarà così? Lo si scoprirà solo mangiando il budino. Intanto le premesse ci sono tutte: a partire dalla composizione del futuro governo. Vi entreranno tutti i leader dei tre schieramenti, a partire dallo stesso Scholz, ovviamente, che prenderà il posto di Angela Merkel. Annalena Baerbock, leader dei Verdi, dovrebbe assumere la guida degli Esteri. Robert Habeck, l’altro coordinatore della stessa formazione politica, prendersi cura del riscaldamento globale e della transizione ecologica.
Si parla di riunire in un’unica struttura il Ministero dell’economia e dell’ambiente. A Christian Lindner, infine, capo dei liberali ed alfiere del rigore finanziario, il ministero delle finanze. La squadra di governo, sarà quindi completata dall’attento dosaggio tra i nuovi alleati. Sette ministri andranno ai Socialdemocratici, cinque ai Verdi e quattro ai Liberali. Il tutto governato da una sorta di algoritmo per tener conto dei risultati alle ultime elezioni. Che hanno visto i Socialdemocratici raggiungere il 25,7 per cento dei voti (contro il 24,1 dei popolari di Angela Merkel), mentre i Verdi avevano spuntato un 14,8 per cento ed i Liberali l’11,5 per cento.
Poche, in definitiva, le sorprese circa la ripartizione degli incarichi di governo. Nulla a che vedere con alcune novità contenute sul programma. Tra le quali spicca l’ipotesi di legalizzare il consumo della cannabis. Proposta che farà, ovviamente, discutere. Si punta, comunque, ad “una distribuzione controllata” riservata “agli adulti ai fini di consumo in negozi provvisti di licenza”. Così vi sarà “un
controllo della qualità”, evitando la contaminazione con altre sostanze. Sarà inoltre garantita la protezione dei minori. All’origine di una simile scelta la netta percezione di un mondo – quello degli stupefacenti – che, ogni giorno che passa, sembra sfuggire sempre più ad ogni tentativo di controllo sociale.
Sullo sfondo, tuttavia, lo sviluppo di quella pandemia che incute una crescente preoccupazione. Le parole del ministro della Salute Jens Spahn che, nell’ evocare uno scenario di morte di tipo malthusiano, hanno lasciato il segno. Non è un caso se tra i primi punti del programma è prevista la costituzione di una squadra di crisi permanente e di un gruppo di esperti della cancelleria per affrontare la situazione con la
necessaria energia. Dopo le incertezze più recenti, che hanno determinato quella forte recrudescenza che oggi fa evocare gli scenari più inquietanti.
Andrà comunque superata. Per questo il neo governo già pensa al futuro. La chiave di volta sarà la reflazione dell’economia. Basata sulla transizione ecologica, la digitalizzazione, l’aumento dei consumi interni, grazie alla crescita di salari e pensioni ed una diversa politica per l’immigrazione. Nel dettaglio tutto ciò dovrebbe significare l’uscita dal carbone entro il 2030, in anticipo rispetto al 2038. E lo sviluppo delle fonti rinnovabili fino all’80 per cento del consumo di elettricità contro l’attuale obiettivo del 65 per cento.
Il salario minimo garantito dovrebbe aumentare a 12 euro l’ora, contro l’attuale soglia di 9.60 euro. Si dovrebbe poter votare da 16 anni per le elezioni federali e le europee. Mentre sarà tolto il limite per i migranti ammessi nel quadro della riunificazione delle famiglie dei profughi.
Proposte realistiche, salvo possibili controindicazioni dei benpensanti. La Germania, com’è noto, è il principale finanziatore di tutta l’Eurozona.
I crediti accumulati, sotto l’ombrello della “posizione patrimoniale netta sull’estero” ammontano ad oltre il 60 per cento del Pil (dati del 2020) e sono in continua crescita. Si tratta di oltre 2 mila miliardi di euro (più del Pil italiano) che coprono oltre il 70 per cento dei debiti dei 12 partner dell’Eurozona, da tempo in sofferenza. Tra cui Spagna e Francia che, da soli, sono titolari di oltre la metà del debito complessivo. È evidente che un’ipotesi di reflazione della principale economia dell’Eurozona non può che essere accolta con favore. Se, in Germania, l’avanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti dovesse diminuire, dando più spazio alle esportazioni degli altri partner, soprattutto se più indebitati, a guadagnarci sarebbe la stabilità dell’intera Eurozona.
Il vantaggio della stessa Germania consisterebbe nella riduzione del rischio derivante da un’esposizione creditizia così elevata, grazie alla maggior crescita degli altri partner dell’Eurozona. Il debito estero greco continua ad essere pari al 175 per cento del Pil, idem quello irlandese. L’esposizione del Portogallo è pari al 106,4 per cento del Pil e quello della Spagna all’85,5. L’insieme di questi Paesi, compresi Cipro il cui debito estero è pari al 136.7 per cento del Pil, sono gli stessi che, in passato hanno goduto dei finanziamenti del Fondo salva stati, compreso l’Esm, il Meccanismo europeo di stabilità. La stessa Francia presenta un’esposizione debitoria pari al 30,6 per cento del Pil. L’insieme di questi dati mostra quanto sia fragile l’intera struttura finanziaria dell’Eurozona. Finché la politica monetaria della BCE resta accomodante, tutto ciò non traspare. Ma i possibili cambiamenti sono da tempo all’orizzonte.
È alla luce di queste considerazioni che deve essere valutata la figura di Christian Lindner, il futuro ministro delle finanze. Nel corso della campagna elettorale si era accreditato come il più accanito difensore della politica del rigore e dell’intangibilità delle regole del Patto di stabilità. Ma un conto è parlare ai propri elettori, un altro esercitare le responsabilità di una carica così delicata, come quella che gli è stata attribuita.
Del resto è bastata la sua nomina per far insorgere esponenti illustri del mondo accademico, come Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’economia, che insieme ad Adam Tooze, storico dell’economia e professore alla Columbia University, ha firmato un articolo sul settimanale Die Zeit dal titolo: “Sarebbe un errore concedergli il suo desiderio”. Ovvero avere Lindner ministro delle Finanze. “Sarebbe disastroso per l’Italia. Sarebbe un male per l’Europa. E sarebbe un male per la Germania”. Difficile dar loro torto, anche se, come si è detto, vi sono Paesi che stanno peggio dell’Italia, la quale può vantare un credito estero di quasi 40 miliardi di euro, pari al 2,4 per cento del Pil, ed in continua crescita: essendo il quarto Paese creditore, dopo Germania, Olanda e Belgio.
Non resta quindi che stare a vedere. Al momento le carte sono coperte. Un dato, tuttavia, sembra emergere. La realtà dell’Eurozona è sempre più a macchia di leopardo. Occorreranno pertanto delle norme in grado di adattarsi alle multiformi situazioni che dovrebbero regolare. Questione di semplice buon senso: ancor prima di ragionamenti economici e finanziari. Le lacrime da coccodrillo versate sulla Grecia, qualcosa dovrebbero insegnare.