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Lega nel Ppe, Draghi al Quirinale. Giorgetti dà la linea

In un’intervista nell’ultimo libro di Bruno Vespa, il ministro dello Sviluppo economico e numero due della Lega a tutto spiano. Salvini? Basta western, deve puntare all’Oscar: Lega nel Ppe e tanti saluti ai tedeschi di Afd. Draghi? Al Quirinale

Giancarlo Giorgetti senza freni. Matteo Salvini? “Scelga fra film western e film drammatico”. La Lega? “Nel Ppe”. Mario Draghi? “Potrebbe guidare il convoglio anche dal Quirinale”. È un’intervista che farà parlare di sé quella rilasciata dal numero due della Lega a Bruno Vespa all’interno del nuovo libro “Perché Mussolini rovinò l’Italia (e perché Draghi la sta risanando)” in uscita il 4 novembre per Mondadori Rai Libri.

Si allunga la schiera di chi tifa per un trasloco del premier sul colle più alto. Dopo gli endorsement di Salvini, della leader di Fdi Giorgia Meloni e l’apertura di Giuseppe Conte, ecco aggiungersi il ministro dello Sviluppo economico: “Già nell’autunno del 2020 dissi che la soluzione sarebbe stata confermare Mattarella ancora per un anno. Se questo non è possibile, va bene Draghi”.

“Sarebbe un semipresidenzialismo de facto, in cui il presidente della Repubblica allarga le sue funzioni approfittando di una politica debole”, dice Giorgetti. La vera apertura, però, arriva sul fronte europeo. Giorgetti rispolvera un vecchio cavallo di battaglia: l’ingresso della Lega nel Partito popolare europeo (Ppe). “Se vuole istituzionalizzarsi in modo definitivo, Salvini deve fare una scelta precisa. Capisco la gratitudine verso la Le Pen, che dieci anni fa lo accolse nel suo gruppo. Ma l’alleanza con l’AfD non ha una ragione”. Dopotutto, la “svolta europeista”, ammesso che ci sia stata, è “un’incompiuta”.

Salvini, dice a Vespa Giorgetti, “Ha certamente cambiato linguaggio. Ma qualche volta dice alcune cose e ne fa altre. Può fare cose decisive e non le fa”. Fra queste, c’è il percorso che potrebbe portare la Lega fuori dalle secche sovraniste a Bruxelles e socchiudere, se non aprire le porte dei popolari. Operazione delicata, che “regge se la Cdu non si sposta a sinistra”, puntualizza il ministro. Presto per dirlo: la cancelliera Angela Merkel è in uscita e la leadership dei democristiani tedeschi vive un limbo, in attesa delle dimissioni di Armin Laschet da segretario dopo una disastrosa campagna elettorale. “Armin Laschet, il candidato sconfitto alle elezioni, è un’espressione della nomenklatura del partito. C’è fermento, gli elettori chiedono una partecipazione dal basso, ci si aspetta che si guardi a destra più che a sinistra. La Cdu deve ricrearsi una natura liberale, moderata e conservatrice. Anche guardando al Partito popolare europeo”.

“Io non ho bisogno di un nuovo posto. Io voglio portare la Lega in un altro posto”, chiosa il numero due di Via Bellerio. Che prende in prestito una metafora cinematrografica per descrivere le acque in cui naviga la Lega di Salvini. “Matteo è abituato a essere un campione d’incassi nei film western. Io gli ho proposto di essere attore non protagonista in un film drammatico candidato agli Oscar”. Il “Capitano” è di fronte a un bivio: “È difficile mettere nello stesso film Bud Spencer e Meryl Streep. E non so che cosa abbia deciso”, scherza Giorgetti. Ma neanche troppo…

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