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Il Pci, la Cia e la parabola americana. Analisi di Mayer

Accanto al rigetto della socialdemocrazia e al mancato superamento del centralismo democratico è il profilo identitario del Partito comunista italiano che non ha retto alla realtà dei fatti. L’analisi di Marco Mayer

Marco Minniti ha dedicato un bell’articolo sulla rivista cartacea Formiche ad Aldo Moro ed Enrico Berlinguer, i due protagonisti della politica italiana degli anni settanta.

L’ex ministro mette in particolare evidenza il tentativo del leader del Pd di mutare la collocazione internazionale del partito: “A Berlinguer si deve il forte tentativo di collocazione del partito all’interno della cornice europea e atlantica…dall’eurocomunismo all’ intervista rilasciata a Pansa sul cosiddetto “ombrello protettivo della Nato”.

L’anno scorso il mio insegnamento di Storia dell’Intelligence alla Magistrale in Studi Internazionali della Link Campus ha approfondito la lettura da parte della Cia di alcune vicende italiane di quel periodo. Uno dei gruppi di studio era focalizzato su Pci, Nato e rapporti con Mosca. Il focus dell’esercitazione didattica non era rivolta all’analisi dei fatti in quanto tali, ma alla loro percezione a Langley e negli Stati Uniti.

Gli allievi hanno attinto agli archivi digitali di Cia e Fbi  dove – a differenza che in Italia – le fonti declassificate si possono consultare con grande facilità. Condivido volentieri con i lettori alcune delle informazioni raccolte, con l’avvertenza che alcune risultanze potrebbero essere in parte smentite da una ricerca storica approfondita.

Sul rapporto con Mosca abbiano preso le mosse da un convegno dell’Istituto Gramsci del maggio 2000. Una relazione dello storico Roberto Gualtieri, oggi sindaco di Roma, aveva notevolmente ridimensionato il significato dell’intervista con Belinguer sulla Nato.

All’epoca del convegno del Gramsci Pansa si arrabbiò moltissimo come si deduce da un una intervista a Repubblica: “L’Unità di ieri – scrive –  “era conosciuta e condivisa dai vertici dell’ Urss”. Insomma, un finto strappo. “Berlinguer-Nato, Mosca sapeva”, titola il quotidiano. È andata così, Giampaolo Pansa? “Macché”, risponde il giornalista, condirettore dell’ Espresso. “Il titolo dell’ Unità è quasi grottesco. Non rende giustizia né all’ articolo, né a Berlinguer, che ritenevo fosse una delle loro icone e che ora tocca a me, mai iscritto al Pci, difendere”.

Adottare un approccio critico che ne sottolinei le luci e le ombre è il miglior omaggio che si può fare alla memoria dei grandi leader politici, si chiamino Berlinguer o Moro , Spadolini o Bettino Craxi.

Nella ricerca che ho svolto con gli allievi la Cia conferma il valore della presa di distanza da Mosca in un file del 25/10 1968 in cui si ipotizzano le reazioni sovietiche al dissenso del Poi sull’invasione dell’armata rossa a Praga.

Le valutazioni della Cia non sono il Vangelo, ma – qualora validate -– sono diverse da quelle di Marcello Flores che in occasione del 50esimo anniversario della primavera di Praga ha dichiarato all’Huffington Post: “Quanto poi al Partito comunista italiano, non si può parlare di sottovalutazione , ma di una distanza tanto più marcata quanto più forte era il legame con l’Urss” .

Il testo della Cia del 1968 formula tre ipotesi su come Mosca avrebbe potuto reagire al dissenso dei comunisti italiani: tagliare i finanziamenti diretti e indiretti al Pci, denunciare il partito di grave deviazionismo, favorire una scissione del partito.

In un secondo file del 1970 la Cia affronta il tema della successione a Longo sostenendo che la partita è molto incerta. Numerosi quadri (soprattutto coloro che gli analisti americani definiscono “the party veterans”) preferirebbero Giorgio Amendola. La nomina di quest’ultimo favorirebbe il riavvicinamento del PCI al PCUS, mentre Berlinguer (dal 1969 vicesegretario del partito) è percepito come uno dei dirigenti più critici dell’invasione militare del Patto di Varsavia

Quando Enrico Berlinguer verrà scelto come segretario (nel marzo del 1972) per la CIA è un segno indica che l’influenza sovietica sul PCI sta diminuendo. Sottolineano che è la prima volta che viene scelto un segretario che ha apertamente criticato Mosca prima di essere nominato perché Berlinguer non ha cambiato opinione rispetto alla simpatia politica – espressa pubblicamente – per Dubcek e la primavera di Praga.

In un appunto di qualche anno successivo (7 febbraio 1975) il direttore della Cia William Colby comunica a Henry Kissinger – Consigliere per la Sicurezza Nazionale, che fonti della Cia avrebbe segnalato subito dopo il 1968una diminuzione dei sostegni finanziari diretti e indiretti da Mosca al Pci. .

La Cia stima che nel 1974 i fondi non dichiarati del Pci ammontino a circa 7 milioni e mezzo di dollari rispetto ai 16 milioni ricevuti nel primo anno dal finanziamento pubblico ai partiti. L’andamento ondulatorio dei finanziamenti sovietici al Pci tra il 1968-1974 sarebbe comunque inferiore al passato (negli anni ‘50 secondo la Cia ammontavano a 11 milioni di dollari all’ anno) e oscillerebbe tra i 4,5 milioni e i 7,5 milioni di dollari all’anno.

Nello stesso appunto Colby comunica a Kissinger, che con la nuova legge sul finanziamento pubblico i fondi sovietici al Pci potrebbero diminuire. Conferma (informazione ben nota a tutta la sinistra italiana) che al centro delle relazioni con Mosca c’è è Armando Cossutta, il brillante leader politico milanese da sempre “innamorato” dell’ Urss. Nei suoi annuali pellegrinaggi (testuale) a Mosca egli incontra sempre personalità molto importanti del Pcus, quali Suslov, Ponomarev e talvolta lo stesso Brezhnev..

Nel 1975 un elemento che ricorre nel materiale esaminato dai miei allievi è che Berlinguer ha abolito l’ufficio politico del partito e ha escluso Cossutta dalla segreteria nazionale del partito. Per gli analisti della CIA questi sono segni di un lento, ma ulteriore allontanamento del Pci da Mosca.

La Cia da importanza al voto del Pci sulla legge sul finanziamento pubblico perché è un segno di integrazione del partito nel sistema politico italiano. Sino ad allora la sua la posizione era sempre stata contraria. Per questo la direzione nazionale del Pci decise, di dedicare una sessione del Comitato Centrale alla legge sul finanziamento pubblico.

A questo proposito posso dire “io c’ero” perché fu la prima (e l’ultima) volta che partecipai al Cc come osservatore della Fgci. I lavori furono aperti da una relazione di Cossutta e conclusi da Berlinguer dopo due giorni di discussione. Ecco un passaggio di Berlinguer:

“È urgente dare inizio a una fase in cui si metta fine ai finanziamenti occulti. Noi siamo stati favorevoli al finanziamento pubblico dei partiti. Ma esso deve rappresentare l’inizio di una effettiva moralizzazione, di una effettiva condizione di indipendenza, per tutte le forze politiche”

Oltre a riferirsi agli scandali delle forze politiche di maggioranza (ed anche alcuni amministratori locali del PCI) ricordo benissimo che il messaggio era in buona parte rivolto all’interno: da ora in avanti il finanziamento pubblico ci consentirà di operare senza bisogno di finanziamenti stranieri.

[…]

Dopo la morte di Berlinguer nel 1984– la Cia espresse sul futuro del Pci al governo una valutazione più cauta, un aspetto che meriterebbe di essere approfondito .

In Italia l’opinione pubblica (gli iscritti al PCI compresi) dovranno aspettare una dozzina di anni per disporre avere un quadro informativo sui finanziamenti sovietici. Mi riferisco alla pubblicazione del libro ‘”L’oro di Mosca” di Gianni Cervetti e i successivi studi essa ha innescato.

Il saggio di Cervetti racconta dei finanziamenti diretti e indiretti del Pcus al Pci , una pratica iniziata dopo la fine della guerra e durata sino al 1980, e in misura più ridotta e con altri canali, sino alla Bolognina (12 dicembre 1989). Negli ultimi anni i fondi di Mosca avrebbero privilegiato – a quanto pare – le componenti più conservatrici e filosovietiche del partito.

Sul piano politico Francesco Cossiga definì quello dei finanziamenti del PCUS al PCI “un putiferio inutile, un rimasuglio di guerra fredda sopravvissuto alla fine dei blocchi e strumentalmente usato da Dc e Psi: perché sarebbe stato “assai strano che l’Urss non avesse finanziato i comunisti italiani” visto che i “partiti occidentali erano finanziati soprattutto dagli Stati Uniti”.

Non so se Cossiga avesse ragione. Per quanto si debba tener conto del bipolarismo Usa/Urss è giusto mettere sullo stesso piano gli aiuti finanziari di una Stato democratico con quelli di un regime totalitario?

Ciò che mi interessa mettere in rilievo è la contraddizione tra le dichiarazioni pubbliche dei vertici del Pci al Comitato Centrale (a cui come ho detto ho personalmente partecipato) e i comportamenti pratici emersi soltanto molti anni dopo. Cervetti ha raccontato che tra il 1974 e il 1980 passano sei anni in cui i finanziamenti da Mosca continuano ad arrivare (Aggiungo all’ insaputa del 99% degli iscritti e dell’opinione pubblica).

È questa contraddizione che meglio di altre fa emergere –a mio avviso – il vero punto debole del pensiero e dell’azione politica di Enrico Berlinguer. L’ipocrisia dimostrata da un gruppo molto ristretto di dirigenti sui finanziamenti di Mosca contrasta in modo macroscopico con la presunta diversità dei comunisti italiani teorizzata da Berlinguer.

Accanto al rigetto della socialdemocrazia e al mancato superamento del centralismo democratico è il profilo identitario del Partito che non ha retto alla realtà dei fatti. Peccato. Senza il mito di una impossibile diversità antropologica, morale o “religiosa” dei comunisti Italiani la coraggiosa sfida di Berlinguer ai massimi vertici del Pcus ci avrebbe potuto lasciare una eredità politica migliore, più laica e pertanto più feconda.

Come ho accennato all’inizio ricordare le ombre dei leader e non solo le luci è il modo migliore per ricordarli. E’ anche un esercizio importante per interpretare il ruolo di una sinistra adulta. Una sinistra che non si nutre di nostalgie verso antiche credenze, una sinistra che non può più rinchiudersi negli angusti confini nazionali e neppure in quelli europei. Una sinistra che la prima volta è obbligata a tradurre i propri ideali non solo nelle società in cui opera, ma nel vivo delle sfide globali del nostro tempo, a partire dalla salute e dal cambiamento climatico.

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