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Spazio all’Italia nell’area Mena. L’incontro Fico-Chollet a Washington

Il presidente della Camera è stato ricevuto dal consigliere del dipartimento di Stato americano, che nelle ore successive l’incontro ha raccontato la visione dell’amministrazione Biden per il Mediterraneo allargato: meno soldati, più diplomazia (per concentrarsi sulla Cina). Occasione per il nostro Paese, a partire da Libia ed Etiopia

Ha fatto tappa anche al dipartimento di Stato la visita ufficiale a Washington di Roberto Fico, presidente della Camera dei deputati, che in occasione della Giornata dell’Unità Nazionale e delle forze armate ha partecipato alla cerimonia dell’alzabandiera all’ambasciata italiana negli Stati Uniti e ha reso omaggio ai caduti deponendo una corona sulla tomba del milite ignoto al Cimitero monumentale di Arlington (qui su Formiche.net la presentazione del viaggio con incontri e temi).

Il presidente della Camera, ed esponente di spicco dell’ala sinistra del Movimento 5 Stelle, ha incontrato mercoledì Derek Chollet, ascoltatissimo consigliere del dipartimento di Stato. Nell’incontro si è parlato, ha comunicato il diplomatico americano, dei prossimi passi in Afghanistan, delle prossime elezioni in Libia (e dunque dell’imminente conferenza di Parigi che l’Italia co-presiede con la Francia) e dell’“esemplare guida italiana del G20”. “L’Italia è nostro partner vitale e fidato e apprezziamo profondamente il suo sostegno”, ha aggiunto.

Quaranta minuti di incontro, secondo quanto appreso da Formiche.net. Molto franco e per nulla istituzionale, nonostante da una parte del tavolo ci fosse un diplomatico e dall’altra la terza carica dello Stato. Si è parlato anche di Accordi di Abramo e di Iran. Ma soprattutto di Etiopia, su cui da parte americana è emersa una sensibilità altissima in questo momento, con l’Italia interlocutore cruciale.

È interessante notare che cosa accadeva nelle ore precedenti e in quelle successive l’incontro al dipartimento di Stato tra Fico e Chollet.

Jeffrey Feltman, inviato speciale degli Stati Uniti per il Corno d’Africa, stava raggiungendo la capitale etiope Addis Abeba, minacciata dall’avanzata dei ribelli, per portare avanti sul campo gli sforzi diplomatici di Washington per il cessate il fuoco. Sulla stessa linea l’Italia che, si legge in una nota della Farnesina, “fa appello a tutte le parti coinvolte nel conflitto affinché cessino immediatamente le ostilità e auspica l’avvio di negoziati seri e credibili, a tutela del popolo etiope e per evitare un ulteriore peggioramento della crisi umanitaria già in essere”. Lo stesso comunicato sottolinea la “profonda preoccupazione” italiana “per il deteriorarsi della situazione in Etiopia di questi ultimi giorni, che rappresenta un serio rischio per la stabilità del Paese e di tutta la regione”.

Poche ore dopo l’incontro con Fico, invece, Chollet ha partecipato a un incontro del Center for a New American Security, think tank di cui in passato è stato fellow, per la presentazione di un rapporto sulla strategia statunitense nel Medio Oriente. Il documento e le sue parole dicono molto della visione dell’amministrazione di Joe Biden per la regione. Il titolo dice molto: When less is more. Tre gli interessi fondamentali per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti in Medio Oriente: antiterrorismo, non proliferazione nucleare e mantenimento delle principali rotte di navigazione. Il rapporto evidenzia poi come concentrarsi su questi obiettivi anche come strumenti non militari potrebbe liberare risorse militari per contrastare la Cina. In un passaggio si legge della necessità di “aumentare la condivisione degli oneri con gli alleati e i partner per monitorare e mantenere il passaggio sicuro intorno a punti sensibili come Bab el-Mandeb e lo stretto di Hormuz per ridurre la dipendenza dalla presenza navale permanente degli Stati Uniti” – in entrambi i teatri citati l’Italia è presente, rispettivamente con una base a Gibuti e con la missione Emasoh.

“La visione” – Chollet parla di visione, non di strategia – “di questa amministrazione è che la forza militare non è l’unico mezzo con cui gli Stati Uniti saranno in grado di raggiungere i loro obiettivi”, ha detto. “Se i nostri numeri militari possono cambiare un po’ qua e là, il nostro impegno diplomatico, il nostro impegno politico, il nostro impegno economico semmai, si stanno soltanto intensificando”.

Come raccontato su Formiche.net, gli Stati Uniti stanno chiedendo agli alleati di gestire le crisi in atto in Africa e Medio Oriente perché non intendono più spendere troppo nel coinvolgimento per governare quei processi. Allo stesso tempo, però, hanno necessità di stabilità. Ecco cosa ha scritto Emanuele Rossi su queste pagine.

Fondamentalmente per Washington è necessario evitare il contagio: il golpe sudanese viene trattato alla stregua della crisi del Tigray: anche lì gli americani fanno pressioni dirette e chiedono coinvolgimento agli alleati per fermare la guerra. In quell’aerale dove continuità e stabilità sono alla base del pensiero americano, il Sudan e l’Etiopia si vanno a sommare al Mali e al Ciad, alla Nigeria per metà in mano all’Is, al Nordafrica debolissimo (in Libia, ma anche in Tunisia, Algeria e Marocco): condizione inaccettabile per una potenza che intende governare quelle dinamiche da remoto per concentrarsi su altro.

E a giudicare dalle parole di Chollet dopo l’incontro con Fico – “l’Italia è nostro partner vitale e fidato” – sembra proprio che il nostro Paese possa rappresentare un interlocutore cruciale per gli Stati Uniti nell’area Mena (o Mediterraneo allargato). Anche perché più fidato di altri.

(Foto: Twitter @CounselorDOS)

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