La banca accusa l’azienda automobilistica di non rispettare gli accordi di un contratto del 2014 e chiede che paghi 162 milioni di dollari. “Se non ritira la causa, le metterò solo una stella nella recensione su Yelp”, replica Musk a Jamie Dimon. L’ultimo episodio di un rapporto tra due CEO che proprio non si amano
Il patron di Tesla Elon Musk e il CEO di Jp Morgan, Jamie Dimon, non provano neanche a nascondere la reciproca antipatia. Contro ogni regola (non scritta) del settore finanziario, la scorsa settimana la banca di New York ha deciso di portare l’uomo più ricco del mondo, e in particolare la sua casa automobilistica, in tribunale per una questione che risale a sette anni fa. Come riportato dal Wall Street Journal, infatti, nel 2014 Jp Morgan aveva portato a termine un’operazione per conto di Tesla, che ora dovrebbe versare 162 milioni di dollari nelle casse della banca.
Per essere più precisi, l’azienda si sarebbe rifiutata di pagare l’extra che la banca ha imposto sul prezzo inziale. Jp Morgan aveva infatti acquistato da Tesla dei warrant all’interno di un pacchetto che comprendeva una serie più ampia di azioni. Il contratto prevedeva che, se le azioni fossero state scambiate a un prezzo superiore rispetto a quello pattuito una volta che i warrant sarebbero scaduti – a giugno scorso –, l’azienda di Musk avrebbe dovuto pagare, in contanti o tramite azioni.
“Ha avuto diverse occasioni per adempiere ai suoi obblighi contrattuali”, fanno sapere da Jp Morgan, rammaricati che la faccenda si debba concludere in tribunale. “Se non ritira la denuncia, le darò una stella su Yelp”, ha ribattuto con una punta di ilarità Musk riferendosi alla piattaforma che raccoglie le recensioni dei clienti sulle attività commerciali. “È il mio ultimo avvertimento!”.
Ironia a parte, il dissidio tra i due è evidente. Quello di cui si lamenta l’imprenditore sudafricano sono gli aggiustamenti di prezzo imposti dalla banca, avvenuti in tempi “irragionevolmente rapidi” e mossi da uno spirito opportunista. Per Tesla, nessun altro istituto di credito lavora come Jp Morgan. E non si tratta di un complimento.
Nel contratto, però, era stato stabilito che la banca potesse rivedere il prezzo nel momento in cui l’azienda automobilistica avesse deciso di annunciare una vendita o altre transazioni in grado di influenzare il valore dei warrant. L’episodio su cui si basa il cambio in corso della banca, dunque, fa fede a un tweet di Musk del 2018 con cui annunciava che avrebbe tolto dalla borsa Tesla a 420 dollari per azione, un chiaro riferimento a 4:20, numero “sacro” dei consumatori di marijuana.
Così, Jp Morgan ha abbassato il prezzo dei warrant per poi rialzarlo quando ha compreso che l’operazione non sarebbe andata a buon fine, senza però riportarlo ai livelli decisi quattro anni prima. “Le altre banche possono aver rifiutato di modificare i warrant per motivi economici che non hanno nulla a che fare con i termini contrattuali o la ragionevolezza degli adeguamenti di Jp Morgan”, è stata la risposta dell’istituto alle accuse di Musk. A giugno del 2021, tuttavia, il prezzo delle azioni era salito al di sopra di quello iniziale.
Tesla, dunque, si rifiuta di pagare oltre quello che aveva stabilito nel 2014 e, per vincere in tribunale, si è affidata al noto avvocato del foro newyorkese, Alexander Benjamin Spiro, già difensore di Musk due anni fa, quando lo scagionò dall’accusa di diffamazione mossa da Vernon Unswort.
Nel corso degli anni sono stati compiuti dei tentativi per cercare di risanare la situazione tra Tesla e Jp Morgan ma, per resistenze da entrambe le parti, non si è mai arrivati a una pacificazione. Anzi, Tesla ha sempre cercato di rivolgersi ad altre banche e Jp Morgan, alla fine, ha deciso di chiudere completamente i rapporti. Sono cinque anni che gli investitori della più importante tra le Big Four cercano di evitare qualsiasi tipo collaborazione con Tesla. Da quando si era occupata dell’IPO dell’azienda nel 2010, la banca si è vista sempre superata dalle varie Morgan Stanley, Goldman Sachs o Bank of America.
Il sentore, quindi, che non ci fosse buon feeling già all’epoca era presente. Basti pensare che nell’ultimo decennio Tesla si è rivolta a Jp Morgan per servizi dal valore di 15 milioni di dollari, contro i 90 milioni di dollari di fee grarantite a Goldman Sachs. Anche quando alcuni consiglieri fidati di Musk hanno suggerito di rivolgersi alla banca, data la sua partnership con altre aziende leader come Maserati e Jaguar Land Rover, l’imprenditore ha storto il naso preferendo non ascoltarli.
Non che Jp Morgan si sia comportata in modo differente. Il dubbio se investire o meno in modo massiccio nel mercato delle automobili elettriche era grande, data la diffidenza sulla durata a lungo termine del valore del settore. Eppure, non avrebbe fatto mancare il suo appoggio a Rivian Automotive, una delle rivali principali di Tesla.
La diatriba è diventata sicuramente molto avvincente per chi la racconta, meno per i diretti interessati. Non è assolutamente usanza per i banchieri esporsi in maniera così netta nei confronti di un’azienda, per paura delle conseguenze che possono derivarne. Evidentemente per Jamie Dimon si tratta di un’eccezione alla regola. Poco importa se Musk lascerà la famigerata stellina su Yelp.