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Il (non) ritorno dello Jedi. Il Pentagono vuole un cloud multi-piattaforma

Amazon, Microsoft, Aphabet e Oracle sono state incaricate dalla Difesa di presentare i progetti multimiliardari per il Jwcc, che ha preso il posto di Jedi, affossato dopo il ricorso di Amazon in tribunale. E ora si va verso un cloud “multi-vendor, indefinite-delivery, indefinite-quantity”

Il Pentagono e le Big Tech provano a stringersi la mano. Con la richiesta ufficiale spedita venerdì ad Amazon, Microsoft, Alphabet e Oracle per chiedere di presentare il loro progetto multimiliardario per aggiudicarsi il Joint Warfighting Cloud Capability (Jwcc), la Difesa statunitense apre un nuovo capitolo nei rapporti con le aziende tech. A festeggiare è sicuramente quella di Jeff Bezos, che nel 2019 si è vista scartare a favore di Microsoft per il vecchio contratto, il Joint Enterprise Defense Infrastructure (Jedi), ora passato in cavalleria proprio per i ricorsi presentati da Aws (Amazon Web Services).

La società di Seattle denunciava un’ingerenza da parte della politica per far sì che non le venisse assegnato il progetto. Era il tempo dello scontro tra l’allora presidente Donald Trump e Bezos, proprietario tra l’altro del Washington post con cui il presidente era in uno scontro continuo. Per la paura di rimanere invischiato in un processo legale sfiancante, il Pentagono ha quindi preferito non far partire Jedi. Ideato nel 2017 con un pacchetto da 10 miliardi, questo avrebbe dovuto istituire un sistema unico di servizi e gestione dei dati sul cloud nell’arco di un decennio. A venire criticata era stata anche la scelta di affidare il progetto ad un’unica azienda.

Adesso si è voltato pagina. Il nuovo programma dovrà seguire la logica “multi-vendor, indefinite-delivery, indefinite-quantity”, con un valore non precisato e che potrebbe cresce nel tempo. La novità riguarda però l’apertura a più parti. Come riporta il Wall Street Journal, le quattro aziende tech scelte dal Pentagono hanno grandi possibilità di aggiudicarsi gli appalti miliardari nell’aprile 2022, periodo previsto per l’assegnazione. “Siamo sicuri che la nostra ricerca sul mercato sia stata esaustiva e abbia portato a una scelta finale equa e ragionevole”, fanno sapere dalla Difesa. A non essere specificato, invece, è il perché dell’esclusione di IBM, che non si arrende e, attraverso una nota, spiega come a prescindere dalla decisione continuerà a “perseguire opportunità per il Joint Warfighting Cloud Capablility”. Delle aziende selezionate, solamente Oracle ha rilasciato un commento. Dalle restanti (ancora) silenzio.

Se per Amazon si tratta di una rivincita, anche per Google l’opportunità è di quelle da non gettare via. Nel 2018, la società di Sundar Pichai finì al centro delle polemiche in quanto stava lavorando – sempre per conto del Pentagono – al Project Maven, il cui fine era quello di creare un cervello digitale in grado di analizzare i contenuti dei filmati dei droni. Il progetto non venne affatto condiviso dai lavoratori che non amavano lavorare su progetti militari e così Google si tirò fuori dalla corsa. Ora è arrivata la possibilità di rifarsi e aiutare il DoD “a modernizzare le operazioni seguendo il processo che abbiamo messo in atto per lavorare con i nostri clienti, inclusi i processi che abbiamo sviluppato riguardo i nostri principi di IA”, come ha scritto Thomas Kurian, CEO di Google Cloud. Tra questi, quello di non sfruttare l’intelligenza artificiale per la produzione di armi o oggetti simili che hanno la sola funzione di provocare danni alle persone.

Quindi, con il Jwcc il Pentagono vorrebbe compiere dei passi in avanti sotto tanti punti di vista, a iniziare dalla moralità nel raggiungere gli obiettivi prefissati. Il primo è sicuramente quello di dotare la Difesa degli strumenti ormai diventati imprescindibili per le operazioni militari del futuro. A essere contestato dai vari legislatori ed esperti era, non a caso, l’approccio antiquato del Pentagono. Con un solo fornitore risultava d’altronde impossibile garantire i risultati per il Dipartimento della Difesa. Allargare a più soggetti, invece, potrebbe essere il giusto modo per ottenerli più velocemente e con maggior successo, oltre che essere un modo per non scontentare nessuno e azzerare le lamentale da parte delle società escluse.

L’estate scorsa, quando era stato annunciato il nuovo progetto, le uniche prese in considerazione erano Amazon Web Services – che proprio qualche settimana fa ha sottoscritto un contratto in tema cyberspionaggio con il Regno Unito – e Microsoft, le sole ad avere i requisiti necessari. Le parole di John Sherman, Chief information officer della Difesa, spiegano come si è deciso di allargare la questione a più soggetti e non ne escludono il coinvolgimento di ulteriori.

Il cambiamento, per di più, mostra come al Pentagono stiano diventando sempre più esperti in materia di cloud. Come sostenne lo stesso Sherman durante la presentazione del Jwccla scorsa estate, l’esperienza di Jedi non è stata del tutto fallimentare ma ha aiutato a comprendere quali mosse bisogna evitare e quali invece sostenere per modernizzarsi. Testimonianza concreta sono l’implementazione di altri progetti come il Cloud One dell’Air Force o il miniCloud 2.0 della Defense Information Systems Agency, così come i quasi 400 milioni di dollari in più indirizzati dalla Difesa ai contratti cloud nel 2020 rispetto all’anno precedente.

Anche Microsoft lo scorso marzo aveva rifornito l’esercito americano di particolari cuffie che aumentavano la realtà, con i soldati in grado di ricevere più informazioni in tempo reale. Segno di come il Pentagono sia consapevole della necessità della svolta tech e, per arrivarci, prova a chiedere un aiuto alle grandi aziende.



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