Se c’è ancora tempo per cambiare, si diano segni chiari per la riforma che il Paese si aspetta. E se si vorrà dare qualche risposta propedeutica alla riforma che verrà, lo si faccia sostenendo nettamente i salari e i giovani che lavorano. L’opinione di Raffaele Bonanni, ex leader della Cisl
Un vecchio adagio di campagna dice: “un po’ ciascuno non fa male a nessuno”. È quello che si può dire riguardo alla collocazione degli 8 miliardi da destinare all’alleggerimento del fisco, prima della riforma annunciata dal governo qualche giorno fa dai partiti della composita maggioranza di governo. C’è da dire, che la valutazione che non faccia male a nessuno, più che riferirsi ai contribuenti ed agli interessi generali del paese, non ha fatto certamente male ai partiti in quanto ciascuno ha onorato la propria bandierina piantata prima del compromesso trovato.
A penare, ancora una volta, sono stati gli interessi del Paese, al netto dell’interesse di tenere in piedi la coalizione di governo. Aver fatto una piccola confusa cosmesi all’attuale impianto fiscale che fa acqua da ogni parte, e confermando criteri e filosofie di approccio che hanno dato vita per lunghissimi anni a deficienze e contraddizioni, ed alla vigilia annunciata di una riforma futura, non fa altro che confermare l’idea di un fisco regolato ad immagine e somiglianza di quello iniquo e nocivo allo sviluppo che subiamo da lustri e lustri. Ed invece bisogna dare subito l’idea di un sistema che cambia radicalmente, ancor più considerando che il Paese ha esigenza di darsi obiettivi di cambiamento da associare al Pnrr, ponendosi da ora l’obiettivo di finanziare la riforma con tagli vigorosi di spesa pubblica improduttiva, e dalla resa economica ottenibile dalla transizione energetica e digitale.
In ogni caso per esprimere una valutazione sul senso e portata dell’accordo tra i partiti della maggioranza, occorrerà aspettare l’attuazione di tutte le disposizioni relative alle decisioni prese, tutte da valutare sul campo concreto, quando toccheremo con mano prossimamente il riassetto delle detrazioni fiscali con il superamento degli 80 euro mensili del bonus mensile inaugurato dal governo di Matteo Renzi per i lavoratori dipendenti. Infatti la ricollocazione di più di 15 miliardi di euro; molto più di quelli utilizzati per modificare l’assetto delle aliquote, può cambiare sensibilmente costi, vantaggi e svantaggi, per gran parte delle fasce dei contribuenti coinvolti dalla revisione delle aliquote irpef, e di quelli che garantirà alle famiglie il cambiamento delle detrazioni per i figli a carico dell’assegno unico.
Dunque, quello che non emerge, è filosofia di fondo che deve farci giungere al cambiamento di logica sul come concepire la leva fiscale per pesare molto meno su lavoratori e ceti produttivi tutti, e per attrarre investitori stranieri ed italiani, per generare sviluppo e non frenarlo come avviene ormai da troppo tempo con carichi spropositati fiscali. Per poter competere con i paesi concorrenti, e per per assicurarci quote sufficienti di mercato, le tasse d’impresa devono ridursi significativamente, così per i salari anche con tax free per la parte legata alla produttività. Ma dentro il disordine del fisco in Italia, c’è un problema grande che pare nessuno vuol vedere: a contribuire equamente per le casse dello Stato con il sistema progressivo, è solo una minoranza degli italiani.
Ai poveri veri si aggiungono eserciti di soggetti infedeli che evadono ed eludono gli obblighi fiscali, risultando essi stessi poveri. Poi anche una importante parte di quell’area vasta di contribuenti non soggetti al prelievo alla fonte, che gode oggettivamente di un regime più flessibile, che poi nella sostanza pesa meno sui loro prelievi. Infatti, se analizziamo i dati dei consumi, gli stili di vita ed i conti correnti bancari, troviamo un’altra Italia rispetto a quello che taluni prospettano. Ed allora, se c’è ancora tempo per cambiare, si diano segni chiari per la riforma che il Paese si aspetta. E se si vorrà dare qualche risposta propedeutica alla riforma che verrà, lo si faccia sostenendo nettamente i salari ed i giovani che lavorano, che sono i più svantaggiati di tutti, abbandonando la deriva pericolosa per l’economia e la coesione sociale, di spremere chi lavora, per sostenere chi si copre dietro la povertà per ottenere redditi e bonus a scapito di tutti e soprattutto di chi ha davvero bisogno.