Per garantire il successo della transizione energetica, digitale ed ecologica l’Unione Europea dovrà ridurre le dipendenze esterne, diversificare le fonti di approvvigionamento e ricorrere a soluzioni circolari. Con un occhio anche alla sostenibilità delle forniture… ecco la posizione dell’Europarlamento
Non è un segreto ormai che la dipendenza dell’Unione europea sulle importazioni delle materie prime critiche rappresenti una delle vulnerabilità più scoperte nell’attuale fase di transizione e di crisi delle catene logistiche globali. Litio e cobalto per le batterie elettriche, gallio e silicio metallico per i semiconduttori, terre rare per i magneti permanenti, platinoidi per le celle ad idrogeno.
La pandemia da Covid-19 ha certamente catalizzato l’attenzione dei policymaker europei su una questione di importanza cruciale per i desideri di decarbonizzazione del continente e per una maggior sovranità tecnologica europea. Due desideri che si costruiranno sull’impennata nella domanda di materiali – solo per l’Ue si parla di 18 e 5 volte quella attuale di litio e cobalto, due volte quella di terre rare entro il 2030. E le stime al 2050 sono ancor più ampie. Un evidente mismatch tra domanda e offerta che rischia di far deragliare le ambizioni europee.
Nel settembre 2020 la Commissione aveva annunciato il suo Action Plan, in seguito alla pubblicazione della Lista dei 30 materiali critici essenziali per la manifattura di tecnologie digitali e verdi, strutturato su quattro grandi linee d’azione: la diversificazione delle forniture con partnership strategiche con i paesi ricchi di risorse, la creazione dell’European Raw Materials Alliance (Erma), la mappatura delle potenzialità minerarie europee e l’investimento in R&D, specialmente per quanto riguarda il business circolare.
Un’impostazione che, nonostante dimostrasse l’accresciuta vocazione geopolitica della Commissione, aveva tuttavia raccolto alcuni malumori specialmente dalla società civile, dal momento che la voce dell’industria europea sembrava essere stata preponderante nel dettarne interessi e priorità. Perché la questione della sicurezza dell’approvvigionamento e della stabilità dei prezzi poneva l’Ue in una traiettoria di aspra competizione per accaparrarsi le risorse del futuro ad ogni costo – ambientale e sociale. In chiara contrapposizione agli obiettivi di una transizione verde, equa e digitale stabiliti dall’ambizioso European Green Deal.
Ed è in questa luce che si deve leggere l’intervento del Parlamento europeo, ed in particolare l’iniziativa dell’europarlamentare Hildegard Bentele (Epp), autrice del report dopo più di un anno di lavori A European strategy for critical raw materials sotto l’egida della Commissione Itre (Industry, Research and Energy). La plenaria di Strasburgo ha infatti votato, con un risultato schiacciante, la relazione dell’eurodeputata con 543 voti favorevoli, 52 contrari e 94 astensioni. 81 gli emendamenti finali, che riguardano sfide e opportunità dell’autonomia strategica e resilienza Ue, closing mineral loops in un’ottica circolare e forniture domestiche e diversificazione.
Alla base del report vi è, in chiara sintonia con la Commissione europea, la consapevolezza della portata della sfida. «Non stiamo parlando di cacao o caffè», ha tuonato la relatrice durante il dibattito precedente alla votazione, “ma di terre rare, litio, bauxite, tantalo e altri 25 minerali critici che sono assolutamente essenziali per le tecnologie rinnovabili, per maggiore efficienza energetica, la mobilità elettrica e le applicazioni digitali”.
Il che le distingue dalle più classiche commodities, per le quali esistono un mercato consolidato negli stock exchange, catene di fornitura più o meno solide e volumi di produzione che non giustificano – seguendo la metodologia europea – particolari preoccupazioni sul lato dell’offerta. D’altronde sono la Strategia Industriale europea, quella Digitale e lo stesso Green Deal che rilevano l’importanza di questi elementi, cruciali abilitatori della moderna tecnologia, e che in qualche modo sconfessano “l’idea che i settori siano tutti uguali, che i chip di patatine siano uguali ai chip degli elaboratori elettronici”, come scriveva qualche tempo fa su Limes Alessandro Aresu. Nulla è strategico se tutto è strategico. E questo vale soprattutto in un mutato contesto internazionale. “Quella che chiamo geopolitica delle catene del valore», ha affermato nel suo intervento Thierry Breton, “sta avvenendo: le nostre dipendenze sono diventate strumenti geostrategici utilizzati contro di noi”.
Serve dunque stabilire priorità d’investimento e strategie a lungo termine, come serve tuttavia un nuovo approccio all’approvvigionamento nell’Unione europea che sappia conciliarne interessi e valori. Il documento chiede essenzialmente di promuovere una fornitura autonoma e sostenibile di materi prime critiche puntando su diversificazione, riciclo e approvvigionamento interno. Una strategia che si focalizzi innanzitutto sull’economia circolare. “L’unica strada per l’autonomia strategica” ha affermato l’eurodeputata del gruppo dei Verdi, Sara Matthieu, portavoce dell’opinione del comitato sull’ambiente (Envi), “è di riparare, riciclare e promuovere il design ecosostenibile». Ma con soluzioni alternative: perché da solo il riciclo non riuscirà a contenere il futuro aumento della domanda nel breve-medio termine, seppur servirà anche per «migliorare la sicurezza delle forniture e ridurre la dipendenza strategica” dell’Ue, ha rimarcato Breton. Creare un mercato secondario per le materie prime, ricorrendo alle cosiddette “miniere urbane” di prodotti tecnologici, sarà un passo cruciale oltre ad intensificare i controlli sulle esportazioni di rifiuti.
E su questa posizione si trovano d’accordo quasi tutti gli europarlamentari. Tuttavia, il piano della Commissione non basta. “È arrivato il momento di garantirci una supply chain più stabile”, ha proseguito Bentele, proponendo di rafforzare ulteriormente Erma con una maggiore coordinazione tra gli stakeholders dei Paesi membri, nuove iniziative sul riciclo e garantire che negli accordi commerciale internazionali vengano considerati l’impatto ambientale delle importazioni e la responsabilità sugli aspetti sociali, di sicurezza dei lavoratori nei siti coinvolti come standard essenziali. E poi un aspetto controverso, quello delle attività minerarie sul territorio europeo. Qui l’equilibrio tra le priorità politico-strategiche e quelle legate alla sostenibilità ambientale si fa più difficile.
Breton aveva già ricordato che sia la Commissione che il Parlamento avevano discusso le possibilità di esplorare fonti di approvvigionamento interno attraverso progetti minerari europei (sono in corso valutazioni in Spagna, Ucraina e Svezia). Ma la possibilità di vedere miniere di terre rare in europea ha rappresentato la linea di faglia dell’approccio del Parlamento, come dimostrato dall’opinione di Matthieu, nel suo intervento: “Non possiamo avere miniere e allo stesso tempo riserve naturali protette […] Non c’è supporto tra i cittadini europei per queste misure”, puntando il dito contro alcuni suoi colleghi, “convinti che si possa conciliare la domanda di risorse e la biodiversità: stanno sognando”. Dunque, la possibilità che l’effetto Nimby (“Not in my Back yard”) possa essere d’intralcio a questo possibile pilastro della strategia europea è concreto. Ma anche contradditorio.
“Se ci ritiriamo in un attitudine votata all’ostruzionismo [di queste iniziative]”, ha argomentato Bentele, “l’aumento dell’estrazione delle materie prime critiche nei paesi del terzo mondo continuerà, con i rischi che questo comporta”. Dagli standard sociali e ambientali, fino alla politicizzazione dell’accesso ai materiali come strumento di “pressione geopolitica”. Il Green Deal, dunque, non solo come progetto europeo, ma anche volano per disseminare “buoni esempi di estrazione sostenibile che possa stabilire criteri globali”. In questo senso, il rapporto evidenzia anche come i materiali critici dovrebbero ottenere maggiori opportunità di finanziamento nell’ambito dei Piani nazionali di ripresa e resilienza, oltre che vedersi riconosciuti un tavolo sul regolamento della tassonomia europea e a riunire gli sforzi dei 27, attraverso l’impiego degli Ipcei e dello stoccaggio strategico.
Insomma, serve costruire un quadro politico coerente che permetta di conciliare le differenti sfide che la materialità della transizione pone di fronte all’Unione Europea. “Il nostro Green Deal”, ha concluso Bentele, “deve essere robusto in termini di politica industriale, politica ambientale e dobbiamo essere noi stessi eticamente integri”.