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Berlino dovrebbe ringraziare la Bce. E su Unicredit-Mps… gli scenari di Messori

L’economista e saggista dopo l’attacco frontale delle banche tedesche alla politica monetaria di Christine Lagarde. L’approccio espansivo ha permesso all’economia tedesca di evitare pericolosi squilibri. E comunque le decisioni sui tassi spettano a Francoforte e non a Berlino. Mps? Ricapitalizzare e vendere, dubbi sull’operazione di sistema con più banche stile Fondo Atlante

La Germania e le sue potenti banche, Deutsche Bank e Commerzbank su tutte, possono anche provare a impallinare Christine Lagarde e la sua politica monetaria. Ma alla fine, tassi e stimoli all’economia sono e rimangono un affare di Francoforte e non certo di Berlino. Il problema è semmai capire i futuri movimenti dell’Eurotower, ora che l’inflazione nella zona euro si è impennata al 2,8% nell’ultimo trimestre del 2021. Formiche.net ne ha discusso con Marcello Messori, economista, saggista e già direttore della Luiss School of European Political Economy. Ma soprattutto, gran conoscitore del mondo bancario.

Il numero uno di Deutsche Bank, anche a capo dell’associazione delle banche tedesche, ha chiesto alla Bce di porre fine quanto prima alla politica monetaria ultra-espansiva, rea di surriscaldare i prezzi e dunque l’economia. Che i tedeschi non abbiano mai amato politiche accomodanti è noto, ma non le pare una richiesta fuori luogo?

Anche se è del tutto legittimo che un attore finanziario esprima le proprie valutazioni sulle politiche economiche attuate nei mercati di riferimento e anche se è opportuno che i responsabili di politica economica valutino con attenzione le aspettative degli intermediari, le scelte di politica monetaria non spettano alle banche commerciali. Pertanto, più che esaminare nel dettaglio quale sia la posizione di Deutsche Bank, è interessante riflettere su tre aspetti che riguardano il futuro dell’euro area.

Decide Francoforte. Di quali aspetti parla?

Il primo aspetto parte dalla constatazione che, nel rispondere alla pandemia, i responsabili europei di policy non si sono limitati a rafforzare la preesistente politica monetaria già molto espansiva ma hanno anche incentivato politiche fiscali nazionali espansive e – soprattutto – hanno varato politiche fiscali europee ultra-espansive, sebbene temporanee. Ciò ha permesso di superare il vincolo che, fra la fine del 2011 e la primavera del 2020, ha caratterizzato la Bce: essere il solo giocatore europeo a reggere il gioco del contrasto rispetto a tendenze recessive.

Quale l’effetto di una simile postura?

Ne deriva che, se le politiche fiscali accentrate a livello europeo assumessero carattere permanente e accompagnassero l’uscita dallo shock pandemico con un’intonazione espansiva, si creerebbero spazi per graduali aggiustamenti sia della politica monetaria sia delle politiche fiscali nazionali, specie nei paesi ad alto debito.

E gli altri due aspetti, quali sono?

Il secondo aspetto riguarda l’effettiva necessità di utilizzare, già nel breve termine, questi spazi di aggiustamento. Si tratta di un aspetto complesso anche perché travalica i confini europei. Sono infatti convinto che il tasso statunitense di inflazione non sia solo temporaneo ma riguardi anche il medio periodo. In quest’ottica, penso che la Federal Reserve stia compiendo scelte corrette di aggiustamento graduale che mirano a combinarsi con l’evoluzione della politica fiscale. Il problema è che, nel breve-medio periodo, un anno, le scelte della Fed porteranno anche a innalzamenti nei tassi di interesse di policy e, di conseguenza, a uno spostamento verso l’alto della curva dei tassi di interesse.

Dalle scelte della Fed, però, potrebbe derivarne un’influenza su quella della Bce. Come la mettiamo?

Se – come è molto probabile – tali movimenti influiranno anche sui tassi europei di interesse, la Bce non potrà evitare qualche aggiustamento della sua politica monetaria. Data la complessa transizione dell’economia europea e le più contenute tensioni inflazionistiche, sarebbe però inappropriato se la Bce modificasse l’intonazione espansiva della sua politica monetaria in modo precoce. Per evitare effetti negativi sullo sviluppo europeo, l’inevitabile ridimensionamento indotto dall’esterno dovrà perciò essere compensato da una politica fiscale ancora espansiva.

Messori, manca il terzo punto…

Ci stavo arrivando. Il terzo aspetto, che sfata radicate convinzioni di economisti tedeschi, riguarda gli effetti della lunga fase di espansione della politica monetaria nell’area euro. Ritengo infatti che la Germania sia stata una delle economie che più ha beneficiato di tale politica anche se alcuni intermediari finanziari tedeschi sono stati negativamente colpiti dai tassi negativi di interesse. Detto in modo molto sintetico: la mia tesi è che l’espansione della politica monetaria della Bce abbia permesso di limitare la grave carenza di domanda aggregata e abbia, quindi, ridotto il pesante divario negativo fra investimenti aggregati e risparmi aggregati che ha pesato e continua a pesare sull’area e – in particolare – sulla Germania.

Berlino dovrebbe ringraziare la Bce, insomma.

D’altronde, è proprio tale divario a essere la causa  di fondo dei bassi tassi di interesse che  hanno inciso sugli equilibri di quegli intermediari (come le assicurazioni tedesche del ramo vita) pronte, nel passato, a garantire modesti ma positivi tassi di rendimento ai sottoscrittori di attività di lungo periodo. Solo un rilancio degli investimenti, che può essere agevolato anche da politiche fiscali espansive, è in grado di dare soluzione a un problema che viene erroneamente attribuito alla sola politica monetaria della Bce.

Nonostante tutto, per Christine Lagarde, avere le banche della prima economia europea contrarie alla sua azione può essere un problema. Che cosa dobbiamo aspettarci? Visto e considerato che l’Ue tra poco dovrà cominciare a discutere di ritorno del Patto di Stabilità…

Per le ragioni che ho già sottolineato, la politica monetaria della Bce non può continuare indefinitamente nella sua espansione ai ritmi attuali. Ciò non significa che la politica monetaria dell’euro area diventerà restrittiva già nel 2022 o nel 2023. Credo invece che una delle novità del post pandemia sarà una più attenta calibrazione fra politica monetaria, politiche fiscali nazionali e politica fiscale europea. Pertanto, un graduale aggiustamento della politica monetaria tenderà ad accompagnarsi a un’espansione fiscale specie a livello centralizzato. E lei ha ragione nel suggerire che questa centralità di un policy mix ben equilibrato condizionerà la discussione sulle nuove regole di governance economica europea.

Il che, mi scusi, non è un dettaglio. Dal ritorno di un Patto di Stabilità duro e puro dipende il futuro di molti Paesi indebitati, Italia in testa…

Il tema, relativo alla revisione del Patto di stabilità e crescita, investe molti aspetti ed è pieno di sfaccettature. Volendo però mirare al cuore del problema, non ho difficoltà ad affermare che tale tema sarebbe fortemente depotenziato se le istituzioni europee trovassero un accordo per una politica fiscale accentrata non temporanea ma permanente. Non credo che sia nell’interesse di un Paese ad alto debito pubblico, come l’Italia, condurre una battaglia sull’abbassamento delle soglie massime di deficit e di debito pubblico rispetto al Pil (anche ammesso e non concesso che questo abbassamento non richieda una revisione dei Trattati), se ciò incidesse negativamente sulla discussione di come rendere permanente una politica fiscale a livello  europeo.

Parliamo di cose domestiche. Dopo la rottura delle trattative con Unicredit, il Tesoro si prepara a gestire Mps per altri due anni, almeno. Condivide chi pensa che nel futuro di Mps vi debba essere un’operazione di sistema con l’ingresso di alcune banche italiane nel capitale, magari anche della stessa Unicredit? E se sì, perché?

In linea di principio, non penso che sia efficace chiedere ai gruppi bancari più efficienti di correre al salvataggio delle banche in crisi senza un modello di attività che giustifichi tale salvataggio in una logica di sviluppo sia per l’acquisito che per gli acquirenti. Un’operazione di sistema del tipo Fondo Atlante (il fondo nato per input pubblico per il sostegno alle banche, a cominciare dalle popolari venete, ndr), in cui si coinvolge il maggior numero possibile di partecipanti, equivale ad attestare che non si persegue una logica di costruzione di un efficiente modello di attività.

Va bene. Ma allora, come se ne esce?

Se l’attuale proprietario di Mps ritenesse che la ristrutturazione della banca non è possibile e che – pertanto – sarà irrealistico prevedere una sua successiva collocazione sul mercato e un suo assorbimento in un gruppo bancario più forte, il Mef dovrebbe procedere alla liquidazione di Mps secondo le regole europee ponendosi l’obiettivo di minimizzare i costi sociali dell’operazione. Sono convinto che il Tesoro non abbia questa visione perché, in caso contrario, sarebbe stato un errore rompere le trattative, per quanto difficili, con Unicredit. La via maestra resta, quindi, quella di procedere a una ricapitalizzazione pubblica immediata, ma concordata con le istituzioni europee, che renda possibile una ristrutturazione di Mps. Su quella base, si tratterà poi di trovare un acquirente della banca senese che abbia  un progetto credibile di sviluppo.

Sembra facile a dirsi. Però a farsi un po’ meno…

Mi rendo conto che si tratta di un cammino impervio e lungo. A meno che il Mef non sia pronto a cedere Mps a un gruppo bancario internazionale interessato ad accedere per tale via al mercato bancario italiano e/o europeo, temo perché che quella indicata sia la sola strada percorribile.

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