Alle celebrazioni del 4 novembre di quest’anno, tradizionalmente c
Le due date rappresentano due momenti fondamentali e differenti della nostra storia nazionale. Infatti, se con la prima si concludeva,con l’affermazione di un’Italia unita e sovrana, il processo politico e militare delle Guerre di Indipendenza del secolo precedente, con la seconda era la popolazione nazionale ad appropriarsi del suo ruolo di protagonista di quella trasformazione, mediant
Insomma, cent’anni fa il 4 novembre del 1921 un’Italia diventata finalmente “grande” per merito del sacrificio dei suoi figli certificava solennemente la sua nuova dignità, mediante un lutto collettivo che veniva elaborato e trasformato in orgoglio nazionale. E si trattò di una elaborazione solenne, accurata, organizzata fin nei minimi particolari, ma spontanea al tempo stesso come emerso anche dalle recenti ricostruzioni storiche nelle quali si è finalmente impegnata, in qualche maniera, pure la Rai.
C’era, allora, la consapevolezza della portata storica di un evento che non si proponeva soltanto di rendere omaggio ai Caduti, agli orfani, alle vedove, alle madri e agli ex combattenti che si assieparono a milioni, in silenzio, lungo il tragitto del treno che portò il “figlio di Maria Bergamas” da Aquileia a Roma; si trattava soprattutto, invece, dell’atto dall’elevato valore simbolico col quale si sanciva la maturazione anche a livello popolare di una nuova e ambiziosa potenza internaziona
Certo, questi sono temi estremamente distanti dal dibattito politico e “culturale” attuale, che a fatica possono essere digeriti da una opinione pubblica condizionata a considerare la Sovranità nazionale, che si intronizzava solennemente allora, un male da rigettare non si sa in cambio di che cosa, e a prendere le distanze dai toni bellicisti propri della generazione protagonista di quegli anni e di quelli che seguirono.
Sono temi distanti per chi si è abituato a considerare la guerra un malvezzo del passato, incompatibile con la nostra compiaciuta modernità, nonché a ritenere la difesa stessa un “eccesso” da punire in ogni caso, sia che si tratti di quella dei confini nazionali, della persona, della famiglia o della proprietà, come quandoqualcuno si intrufola in casa altrui a scopo di rapina, o peggio.
Sono temi distanti anche per chi considera con provinciale distacco la realtà che orbita attorno a noi, anche a breve distanza, come se quello di cui si discute a proposito di missili ultrasonici, droni, aerei di nuova generazione, satelliti, sommer
Se non distanti, questi temi si dimostrano infine imbarazzanti per le Forze Armate stesse, ingessate nell’obbligo di non turbare la marginale ma astiosa parte più antimilitarista dell’opinione pubblica col sospetto di voler essere sempre le stesse, vale a dire uno strumento di guerra prima di tutto. Una guerra che non è l’incrostazione di un Medioevo che non si decide a passare, ma un cataclisma che continua a insanguinare il Nord Africa, il Sahel e il Medio Oriente, per rimanere a noi vicini, e che rischia di contaminare la civilissima Europa in Ucraina come il Mar Cinese in Estremo Oriente.
Si tratta di un imbarazzo dovuto al progressivo e ingenuo affermarsi dell’idea del soldato come operatore tuttofare che, grazie all’aiuto della tecnologia, non avrebbe più bisogno di ricorrere all’aggressività, alla forza fisica e morale di quei fanti interrati nelle trincee di cent’anni fa. Un soldato inteso come innesto biologico in un Sistema d’Arma tecnologico, da maneggiare con guanti e camice bianco e disponibile per qualsiasi esigenza.
Ma se questo può sembrare vero, ad un osservatore disattento o distratto, con riferimento al marinaio o al pilota d’aviogetto o di elicottero, così non è per il soldato tout court per il quale non basta attingere alla passione per il volo, per il mare o per la tecnologia per convincerlo a impegnarsi fino a mettere a rischio la propria vita. Per lui, lo spunto motivazionale va infatti ricercato negli strati più profondi dell’anima, attingendo a quel patrimonio valoriale e identitario che fa capo a quello che considera più profondamente suo, a partire dalla famiglia e dalla comunità che lo esprime. E, soprattutto in questo contesto, l’esempio del Milite Ignoto è ancora irrinunciabile.
Potrebbero sembrare vuota retorica, parole al vento, queste, se non fosse che l’attuale discussione sul tema di un “Esercito Europeo” che prescinda da una identità comune per accontentarsi invece di un interesse condiviso dall’
Se infatti non è una semplice legione str
Insomma, il Milite Ignoto non rappresenta ancora un reperto archeologico da mostrare a qualche pensoso esperto di cose antiche, ma il carburante stesso che alimenta la vita di uno Stato che voglia continuare ad essere libero e indipendente, seppur in un contesto di libere alleanze internazionali tra pari.
Tra pari, appunto.