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L’Afghanistan nel baratro finanziario. E torna l’oppio, in barba ai talebani

Allarme Onu, le banche afghane sono prossime al collasso

Da quando gli occidentali hanno chiuso i rubinetti dei sostegni (in seguito alla caduta di Kabul) il sistema bancario, che serve anche per far arrivare aiuti e alimentari, è in caduta libera. Le conseguenze di un collasso sarebbero disastrose. Ecco il rapporto del Programma per lo sviluppo delle Nazioni Unite

A meno di drastiche contromisure, il sistema bancario afghano è destinato a collassare nel giro di pochi mesi. L’avvertimento arriva dalle Nazioni Unite, e specificamente dal loro Programma per lo sviluppo (Undp), tramite la pubblicazione di un rapporto sul sistema bancario e finanziario del Paese letto da Reuters. Che rivela come il congelamento dei fondi esteri possa aggravare la crisi umanitaria afghana, sulla buona strada per superare quella yemenita e diventare la più grave a livello mondiale.

Sebbene il 90% della popolazione si limiti a utilizzare il contante, “il costo economico di un collasso del sistema bancario e il conseguente impatto sociale negativo sarebbero colossali”, scrivono gli autori. “I sistemi finanziari e di pagamento bancario dell’Afghanistan sono nel caos. Il problema della gestione delle banche deve essere risolto rapidamente per migliorare la limitata capacità produttiva dell’Afghanistan ed evitare il collasso del sistema bancario”, che nel caso potrebbe richiedere decenni per essere ricostituito.

La gran parte del sostegno economico internazionale si è interrotto bruscamente in seguito alla presa di Kabul da parte dei talebani lo scorso 15 agosto. Un disastro incommensurabile per l’economia afghana, in caduta libera da allora dopo essere stata tenuta artificialmente in vita per anni dagli aiuti (che nel 2020 corrispondevano a 43% del Pil). Oggi Le banche impongono limiti settimanali di erogazione per evitare che anche gli ultimi rimasugli di liquidità nel sistema (500,000 dei 4 miliardi complessivi di afghani, la moneta locale) finisca sotto ai materassi.

Con le tendenze attuali e le restrizioni sui prelievi, circa il 40% della base di depositi afghana andrà persa entro la fine dell’anno, continua il rapporto. Le banche hanno smesso di concedere nuovo credito e i prestiti in sofferenza a settembre erano il 57%, quasi il doppio rispetto alla fine del 2020. Abdallah al Dardari, a capo dell’Undp in Afghanistan, ha spiegato a Reuters che con questi ritmi “le banche potrebbero non avere la possibilità di sopravvivere nei prossimi sei mesi. E io sono ottimista”.

Già oggi, tra sanzioni e fondi congelati, le ong e la stessa Onu faticano parecchio a introdurre liquidità nel Paese. E uno dei rischi all’orizzonte è la crisi alimentare. “L’anno scorso l’Afghanistan ha importato circa 7 miliardi di dollari di beni e prodotti e servizi, soprattutto alimentari”, ha continuato il funzionario Undp; “se non c’è la finanza commerciale l’interruzione è enorme. Senza il sistema bancario, niente di tutto questo può accadere”.

Il rapporto Undp incude proposte per evitare la crisi, tra cui uno schema di assicurazione dei depositi, misure per assicurare un’adeguata liquidità per i bisogni a breve e medio termine. Tuttavia nulla di tutto ciò è possibile senza l’aiuto delle istituzioni internazionali – Banca Mondiale e Fondo monetario internazionale. Dunque serve trovare un sistema per iniettare liquidità nel sistema bancario afghano senza supportare direttamente i talebani, ha spiegato al Dardari.

La produttività del sistema economico locale è scarsa, per non dire quasi nulla, e gli impatti della crisi afghana riverberano facilmente fino all’Ue. L’estrema fragilità del sistema economico si riflette nella quantità di persone sfollate internamente – 5.5 milioni all’interno del Paese, di cui 600.000 solo quest’anno secondo l’Organizzazione internazionale per la migrazione (Onu) – e nel flussi di migranti in uscita dal Paese – almeno 5 milioni di afghani vivono fuori -, molti dei quali hanno l’obiettivo ultimo di raggiungere l’Europa.

Per chi rimane, le prospettive di progresso economico rasentano lo zero. Tanto che diversi agricoltori locali si stanno rassegnando a tornare a coltivare papaveri da oppio, meno redditizi rispetto ad altre piantagioni ma più facili da crescere e stivare e più adatti a garantire una forma di sicurezza economica. In barba ai talebani, teoricamente contro la coltivazione di oppio per motivi religiosi ma sempre più propensi a chiudere un occhio per non soffocare completamente l’economia e intascare una percentuale sui transiti. Oggi dall’Afghanistan esce l’80% di oppio a livello mondiale, secondo l’Onu, e il prodotto arriva anche in Occidente – sotto forma di morfina, o eroina.

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