Ben venga la continua pressione dell’Ue per spingere le forze politiche ad avanzare nella direzione di una giusta concorrenza. È questo uno dei grandi benefici dello stare nell’Unione. L’analisi di Salvatore Zecchini
A quattro anni dalla prima Legge per la Concorrenza viene alla luce faticosamente la seconda nella forma di disegno di legge (DL) ancora da approvare in Parlamento, per ottemperare a un obbligo a lungo disatteso. Una norma del 2009 (L 2009/99, art. 47) richiede che ogni anno il governo presenti al Parlamento un disegno di legge per rimuovere ostacoli all’apertura dei mercati, sviluppare la concorrenza e tutelare i consumatori. Il provvedimento dovrebbe tener conto, tra l’altro, delle segnalazioni emesse dall’Autorità competente, che annualmente fa il punto sullo stato della concorrenza di mercato nella sua relazione annuale. Se ci sono voluti anni per arrivare a questo risultato non è per trascuratezza ma perché sono rare le forze politiche che si impegnano a sostenere la liberalizzazione dei mercati in Italia nel timore di perdere il consenso di parti dell’elettorato e il controllo su una parte delle imprese. Occorre una pressione dall’esterno, nel caso specifico dalla Ue, per riuscire a scalfire i numerosi impedimenti alla concorrenza che si riscontrano nel sistema.
Molti italiani sono ostili alla liberalizzazione del mercato in cui operano per poter preservare le posizioni di quasi-rendita o di privilegio di cui godono da tanto tempo. Altri si interrogano se effettivamente vi sia bisogno di maggior concorrenza per far funzionare meglio l’economia, in quanto non ne scorgono i benefici. Solo la massa delle famiglie consumatrici e le imprese ostacolate da quelle dominanti o dalla regolamentazione pervasiva e limitante avvertono le conseguenze negative della scarsa concorrenza ed invocano l’intervento correttivo dell’autorità pubblica. Tuttavia, non si richiamano al principio in sé che mercati aperti e competitivi insieme alla semplificazione della regolazione costituiscono passaggi obbligati verso una maggior prosperità collettiva.
Sono in genere gli esperti e le autorità preposte alla tutela della concorrenza e dei consumatori che evidenziano le storture nel funzionamento dei mercati e premono per correzioni in senso liberista. In prima fila vi è l’Autorità indipendente AGCM, che per mandato invia annualmente segnalazioni al governo in vista della preparazione della legge annuale per la concorrenza, come ha fatto anche nel marzo scorso. Basta un semplice confronto tra il lungo elenco di interventi auspicati dall’AGCM e il disegno di legge in esame per accorgersi di quanto piccoli siano i passi del Governo verso mercati concorrenziali che promuovano l’iniziativa imprenditoriale e l’innovazione.
Eppure, il DL è animato da buoni intenti, spazia su ampie aree d’intervento e su molti intralci alla concorrenza, ed enuncia diversi principii condivisibili in vista di una regolamentazione o deregolamentazione favorevole all’iniziativa economica e all’efficienza. Si prefigge di eliminare gli adempimenti amministrativi non ritenuti necessari per salvaguardare l’interesse pubblico, di semplificare ed accorciare i procedimenti amministrativi, coordinare gli enti di controllo, agevolare l’attività delle imprese e migliorare i servizi al cittadino. Non è la prima volta nell’ultimo quarto di secolo che governi di diverso orientamento politico si sono impegnati in questo senso, come con il famoso “decreto Bersani” o le misure del governo Monti. Nondimeno, i risultati sono stati deludenti per le debolezze mostrate nella fase attuativa, le resistenze di consolidati interessi economici, gli aggiramenti delle norme e anche i rinvii o l’assenza dei provvedimenti attuativi.
Un piccolo ma significativo esempio si rinviene nell’ennesima riproposizione in questo DL del divieto alle pubbliche amministrazioni di richiedere documenti ed informazioni già forniti alla PA, divieto esistente da molti anni mentre nella realtà si ripetono le richieste. Per rispettare il divieto, invero, bisognerà attendere due interventi cruciali: prima, la digitalizzazione di tutte le procedure amministrative e della documentazione in possesso della PA, quindi l’accessibilità da parte di ogni organo pubblico di tutte le banche presenti nel perimetro pubblico, ovvero l’interoperabilità o la comunicabilità tra banche dati pubbliche, interventi molto sfidanti su cui si è impegnato il ministro Colao.
La portata delle riforme previste nel DL dipende soprattutto dalla loro incisività nel tessuto economico e nei comportamenti degli operatori, nonché dalla tempestività con cui vengono messe in atto. L’approccio adottato è una combinazione di interventi dal diverso impatto: rinvii a successivi decreti legislativi per la definizione dei contenuti ma con l’indicazione dei criteri generali che si seguirà, norme minuziose su punti specifici, principi regolatori su materie che coinvolgono le autorità locali, potenziamento dei poteri dell’AGCM e misure lievi nelle riforme controverse ma necessarie. Si contano 6 deleghe, più di 15 interventi su ostacoli minuziosi e più di 4 interventi sui principi regolatori da applicare da altri enti.
Le deleghe riguardano aspetti fondamentali dell’economia di mercato e del potenziale di crescita. Di primaria importanza è la liberalizzazione delle attività economiche soggette ad autorizzazione, che sarà attuata eliminandole, ad eccezione di quelle indispensabili a tutela dell’interesse generale della comunità, semplificando gli adempimenti ove ineliminabili e snellendo i procedimenti amministrativi. I tempi di operatività della riforma appaiono, tuttavia, lunghi ed esposti a incertezze perché non si è posta una scadenza temporale per l’emanazione dei decreti legislativi, il successivo iter per l’attuazione è tortuoso per effetto dei diversi pareri da acquisire e l’instabilità politica con l’approssimarsi delle elezioni del prossimo biennio può deragliare il percorso rinviando il tutto alla nuova legislatura.
Osservazioni analoghe si possono sollevare per l’altra importante delega che concerne la semplificazione dei controlli sulle attività economiche, benché sia previsto un termine di 18 mesi per l’emanazione dei decreti, ma resta l’obiettiva difficoltà di realizzare un sistema spedito di coordinamento tra i controllori e di scambio delle informazioni e dei dati. Su questo come su altri compiti molto dipende dalla celerità dei progressi nella digitalizzazione e nella conseguente formazione del personale. Da questi dipende anche l’efficacia dell’altra delega riguardante la vigilanza sui mercati delle merci per assicurarne la conformità alla norme comunitarie e per la sicurezza dei consumatori. In questo caso la scadenza per emanare i decreti è accorciata a 6 mesi e si intende semplificare le procedure di controllo e valutazione del rischio utilizzando intensivamente le tecniche della digitalizzazione.
Carenti, invece, gli interventi per rimuovere il più grosso ostacolo alla competitività delle imprese e all’efficienza del sistema economico, rappresentato dalle disfunzioni ed onerosità dei servizi pubblici locali, specialmente trasporti e smaltimento dei rifiuti. La delega ha un termine accorciato a sei mesi, ma si limita a indicare principi generali di gestione dei servizi e di informazione pubblica senza porre ostacoli alla continuazione degli affidamenti in house che generano disservizi ed eccessi di costo. L’eventuale inadempienza degli enti locali non è sanzionata adeguatamente e l’esplicita tutela dell’occupazione esistente anche nel caso di abbandono del servizio in autoproduzione mantiene rigidità che possono impedire il desiderabile efficientamento dell’attività. Positivo, invece, l’impegno a ottenere trasparenza d’informazione sulla gestione dei servizi e a monitorarne i costi.
Un modesto avanzamento verso maggiore concorrenza si ha con la delega a rivedere la normativa sul trasporto pubblico non di linea, in cui si tende a liberalizzare il mercato, a sostenere le nuove forme di mobilità tramite piattaforme web, si semplificano le procedure e si promuovono standard nazionali. Si tenta altresì di porre un freno alla costituzione di società partecipate, all’acquisizione di partecipazioni e all’affidamento diretto dei servizi locali, facendo leva sull’esame della Corte dei Conti e sul suo parere, ma l’autonomia dell’ente nel decidere non viene scalfita.
Sui regimi concessori di beni pubblici per attività private, come le strutture balneari si è fatto un gran dire, anche da parte della Commissione Europea, ma la loro rilevanza è più di principio che in termini di sistema economico se comparata a quella dei servizi pubblici locali. Su queste concessioni nessun avanzamento se non sul piano dell’informazione, mentre ben più incisivo è l’intervento sulle concessioni per infrastrutture a rete in cui si configurano posizioni di monopolio naturale, che sono limitate o aperte al mercato nell’interesse dell’efficienza e di promuovere nuove iniziative imprenditoriali. L’avanzamento si realizza nella disciplina delle aree demaniali portuali, della rete di distribuzione di gas e delle derivazioni idroelettriche, per le quali si apre all’effettuazione di gare per l’assegnazione e se ne disciplinano i termini per assicurare ampiezza di partecipazione. Barlumi di apertura a una maggiore concorrenza si intravedono nei servizi postali e di riflesso nella logistica per effetto dell’introduzione di una periodica ridefinizione del perimetro dell’obbligo di servizio universale, che dovrebbe lasciare più spazio ai concorrenti privati. Per le concessioni sono previste norme sulla definizione dei canoni e sulla trasparenza delle informazioni necessarie per i bandi di gara. Restano, tuttavia, alcune remore, come ad esempio il requisito di un organico di lavoratori e limitazioni dei servizi in autoproduzione nei porti.
La minuziosità degli interventi si trova anche in quelli su punti particolari, quali le colonnine di ricarica, la distribuzione dei farmaci, i rimborsi di farmaci equivalenti, gli emoderivati, le convenzioni sanitarie con strutture private e altro. Alcune norme sono disposte nell’interesse dei consumatori, altre per l’ottimizzazione delle nuove infrastrutture digitali e di telecomunicazione per ottenere efficientamento tramite coordinamento e condivisione dei costi di realizzazione tra operatori di rete.
Molto importanti sono il rafforzamento dei poteri d’indagine dell’Autorità anti-trust e le disposizioni per la selezione dei componenti delle autorità amministrative indipendenti e dei direttori sanitari. L’Autorità vede estendere la sua capacità di ottenere informazioni e documenti sia nelle istruttorie, sia nelle concentrazioni di imprese, e di contrastare gli abusi di posizione dominante, in particolare da parte dei gestori delle grandi piattaforme di mercato. In alcuni casi, peraltro, aumenta il rischio di valutazioni errate, ad esempio nell’individuare comportamenti anticoncorrenziali nell’acquisizione del controllo di una piccola impresa operante nelle nuove tecnologie. In particolare, è noto che le grandi imprese innovano anche sostenendo finanziariamente le ricerche di PMI per poi acquisirle e svilupparne i risultati. Nella selezione dei componenti delle autorità indipendenti di settore e dei direttori delle strutture sanitarie pubbliche si stabiliscono concorsi basati su dettagliati requisiti di competenza e rettitudine, con l’effetto di limitare l’invadenza della politica nelle scelte, che in passato ha condotto sovente a infelici risultati.
Grandi assenti nel DL per la concorrenza sono la riforma del commercio al dettaglio e le implicazioni per la disciplina del lavoro. La prima fu tentata dal ministro Bersani negli anni 90 con esiti incerti a causa dell’aggiramento di diverse disposizioni e gli ostacoli frapposti nell’applicazione. Sul secondo punto ogni avanzamento verso una maggiore competizione nei mercati non può reggere in presenza di tante rigidità nell’impiego del lavoro, in quanto si generano squilibri insostenibili nella gestione delle imprese tra pressioni al contenimento dei prezzi dei prodotti ed ostacoli nell’aggiustamento degli input di lavoro. Occorre, quindi, accompagnare la maggiore concorrenza con qualche passo analogo dal lato del lavoro. Il DL, invece, tende a irrigidire la difesa dell’occupazione esistente piuttosto che aprirla ad aggiustamenti.
Guardando all’insieme delle misure proposte ci si può chiedere se si poteva andare più avanti nella liberalizzazione, oppure la strategia dei piccoli passi è la più adatta al momento, date le divergenze nella maggioranza al governo? Si vedrà se ne seguiranno altri per dare continuità allo sforzo riformatore. Gli aggiramenti delle riforme sono sempre possibili e vanno messi in conto anche i rinvii al lungo periodo. Ben venga, quindi, la continua pressione dell’Ue per spingere le forze politiche ad avanzare nella direzione di una giusta concorrenza. È questo uno dei grandi benefici dello stare nell’Unione.