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Quirinale, un Trattato alla pari. Il bilancio di Piero Fassino

Il presidente della Commissione Esteri della Camera sul Trattato tra Italia e Francia: è un patto alla pari, ne avevamo bisogno. Dall’industria alla Libia, mettiamo via la retorica delle accuse e stringiamo un asse Roma-Parigi. Ora manca solo un tassello…

Una bussola per i rapporti bilaterali, un libretto delle istruzioni per risolvere le controversie. Il Trattato del Quirinale tra Italia e Francia è un’ottima notizia, dice a Formiche.net Piero Fassino, deputato del Pd e già sindaco di Torino, presidente della Commissione Esteri della Camera. Ora che in Germania il governo “semaforo” di Olaf Scholz è pronto a partire, i tempi sono maturi per una nuova intesa.

L’Italia ha bisogno di questo trattato?

È un trattato che dà vita a un’alleanza strategica fra due Paesi che hanno forti relazioni e interessi comuni. L’Italia è il terzo partner commerciale della Francia e i rispettivi sistemi economici hanno un grado di integrazione molto forte. C’è un numero di imprese italiane che opera sul mercato francese pari alla quantità di imprese francese che operano in Italia. E sono venuti crescendo gruppi industriali comuni come Essilor-Luxottica e Stellantis. Le relazioni sul piano culturale affondano le radici nella storia. E sul piano politico Italia e Francia sono paesi fondatori dell’Ue, entrambi membri del G7 e G20, entrambi con forte proiezione mediterranea ed è evidente l’interesse ad una partnership che faccia pesare i due Paesi negli scenari europei e internazionali.

Perché allora mettere nero su bianco l’intesa?

Come ha detto Macron, Francia e Italia devono pensarsi in modo “complementare”. Il Trattato è lo strumento che dà sostanza a questa complementarietà, prevedendo intese e azioni comuni nei tanti campi di interessi comuni.

Eppure di recente non sono mancate tensioni. I tempi delle foto con i gilet gialli sono alle spalle?

Sì. Il Trattato del Quirinale ci consente di superare le vecchie incomprensioni. Intendiamoci: non significa che da qui in avanti le rispettive posizioni coincidano automaticamente su qualunque dossier. Ma c’è un vantaggio: ogni volta che ci saranno divergenze, avremo uno strumento per dirimerle e trovare una posizione comune.

Spesso in Italia c’è chi, anche fra le istituzioni, ha denunciato la natura predatoria di alcuni investimenti francesi nel nostro Paese. C’è del vero?

È un luogo comune che non condivido. Essilor-Luxottica è guidata da un italiano, Leonardo Del Vecchio. Lo stesso vale per Stellantis, alla cui guida c’è John Elkann. Di quale dinamica predatoria parliamo?

È un fatto però che la Francia in questi anni è stata un competitor, oltre che un alleato.

Viviamo in un mondo globale fondato sull’economia di mercato la cui regola è la competizione. Detto questo, l’Italia è un grande Paese, perché dovrebbe temere la Francia, un Paese con una storia unitaria millenaria, la nazione dell’illuminismo, della rivoluzione francese, di Napoleone, di ogni forma di modernità? Un Paese che ha una storia imperiale ed è stato al centro di ogni passaggio della storia europea e del mondo. Liberté, Égalité, Fraternité ha fatto di Parigi la capitale della libertà, il rifugio ospitale di qualsiasi esule. Che un Paese che abbia una storia così intensa coltivi un’idea di grandezza non dovrebbe stupire. Peraltro l’Italia non ha una storia meno importante. Ciampi con tenacia ricordava in ogni suo discorso che l’Italia non è solo un bel Paese, ma è un grande Paese. Non c’è nessuna ragione per viversi in competizione.

A proposito di competizione: la Libia, Paese strategico per Francia e Italia, sta per affrontare una difficile transizione democratica. C’è spazio per la cooperazione?

In Libia abbiamo voltato già pagina, quando i ministri degli Esteri di Francia, Germania e Italia si sono riuniti a Tripoli. Una conferma della bontà del Trattato del Quirinale: se agiamo insieme possiamo influire. Ricordo che la conferenza di qualche settimana fa sulla Libia a Parigi è stata co-presieduta dal ministro Luigi Di Maio.

La Francia ha già una cooperazione strutturata con la Germania. L’Italia dovrebbe chiudere il triangolo con Berlino?

Credo di sì, sceglierà la nostra diplomazia quale sia lo strumento più adatto. La Germania è il nostro primo partner commerciale. E non sono meno importanti i legami politici. Anzi, quando si parla di integrazione europea, si riconosce il ruolo storico dell’asse franco-tedesco, dimenticando l’importanza di un altro asse, quello italo-tedesco. Un asse facilitato dai rapporti tra le rispettive Democrazie Cristiane che per oltre 40 anni hanno governato il due Paesi e, avendo forte sintonia politica e culturale hanno dato un contributo decisivo all’unita europea. E non meno intensi sono stati, soprattutto nell’ultimo quarto del ‘900 fino ad oggi i rapporti tra la sinistra democratica italiana e la socialdemocrazia tedesca.

Chiudiamo allora sulla Germania. La coalizione semaforo è ormai realtà: per l’Italia è una buona notizia?

C’è più di una buona notizia. La prima è che hanno fatto molto in fretta, la scorsa volta la formazione di governo impiegò molto più tempo, prolungando il limbo istituzionale. La seconda è che questa coalizione confermerà la vocazione europeista tedesca, con positive innovazioni. Da ministro delle Finanze Scholz è stato tra i protagonisti del Next Generation Eu. E il suo programma elettorale era fondato su un’Europa sociale, della crescita e del lavoro che non sia solo incentrata sull’equilibrio di bilancio. È un approccio che condividiamo e che vede una grande sintonia con l’europeismo di Mario Draghi.


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