Ci sono cento e più motivi per cui un’invasione armata dell’Ucraina può rivelarsi un boomerang per Vladimir Putin (che infatti si guarda bene dal procedere). Dal 2014 i tempi sono cambiati, non sarebbe un’operazione indolore. L’analisi di Dario Quintavalle
Qualche giorno fa non meglio specificate fonti americane avrebbero avvertito gli alleati europei del fatto che la Russia potrebbe valutare una potenziale invasione dell’Ucraina, mentre le tensioni tra Mosca ed Europa divampano su migranti e forniture energetiche. “Si ritiene che le valutazioni si basino su informazioni che gli Stati Uniti non hanno ancora condiviso con i governi europei”.
È comunque noto che ci sono forti concentramenti di truppe russe al confine con l’Ucraina, e che molte unità convocate per le esercitazioni Zapad non sono tornate alle loro caserme di origine. Ebbene, truppe russe sono stanziate in Russia: dov’è la notizia? Sono sul confine: e dove dovrebbe stare un esercito? Hanno una postura aggressiva? Gli eserciti servono a quello. Siamo noi ad averlo dimenticato con la retorica dei soldati di pace, l’operazione strade sicure, e con la costruzione di navi che potrebbero servire “anche” per la protezione civile. È una situazione antipatica, certo, ma in fondo nella norma.
La Russia sta per invadere l’Ucraina? La risposta è, semplicemente, no.
Potrebbe? Sì, ma perché proprio in questo momento? Nel 2014, quando le condizioni erano assai più favorevoli, la Crimea era stata annessa con la disinvoltura con cui si sottraggono le caramelle a un bambino. Poi c’erano state le secessioni del Donbass, e da lì una mancanza di idee strategica su come andare avanti, se inglobare tutto il territorio costiero fino almeno alla Crimea, se non fino a Odessa. Alla fine, sul groppone della Russia sono rimaste due repubblichette da finanziare, un sacco di risentimento nel paese a lei culturalmente più vicino, oltre ad aver tolto dal calcolo elettorale ucraino qualche milione di votanti sicuramente filorussi. Che affare!
Oggi l’Ucraina è ben armata, ha un esercito indurito da anni di esperienza sul campo, e una invasione aperta incontrerebbe ben altri ostacoli, oltre che un sentimento nazionale assai più forte. Intendiamoci, l’Ucraina è un Paese ancora diviso sul tema della sua identità, e la politica di sostanziale assimilazione dei russofoni, portata avanti da Volodymyr Zelensky in manifesto rinnegamento delle promesse elettorali, gli sta alienando molte simpatie nelle regioni orientali che lo avevano votato. Però l’Ucraina esiste e vuole continuare ad esistere, sia pure nel suo modo bislaccamente disfunzionale e corrotto.
E poi in Russia certe avventure militari suscitano assai meno attrattive di un tempo. Il vaccino Sputnik V sarà stato un successone a San Marino, ma sono tanti i russi che lo rifiutano, e di conseguenza il Covid dilaga. Putin ha consolidato la sua presa sullo Stato, ma la sua popolarità in patria è in calo. Non c’entra Navalny. Semplici fattori demografici: sono sempre meno quelli che ricordano la transizione dall’Unione Sovietica e dagli anni della confusione yeltsiniana. Per le nuove generazioni Putin rappresenta sempre meno la garanzia della stabilità, e sempre più un simbolo di stagnazione.
Inoltre, la Russia con l’Europa sta facendo ottimi affari, e non ha nessun interesse a fornire pretesti per ostacolare la messa in funzione del gasdotto Nord Stream 2. Nella recente crisi del gas di ottobre ha garantito le forniture contrattuali previste, e persino contribuito a calmierare il prezzo. L’obiettivo russo è di “costringere l’Ue alla dipendenza dal gas russo” come ha dichiarato a Formiche.net Kurt Volker? Ma il gas non è una dipendenza, a differenza della nicotina, è una necessità. Serve, e bisogna pur comprarlo da chi lo ha e lo può fornire. La Russia assicura un terzo del gas europeo: e siccome non è gratis, anche la Russia è specularmente ‘dipendente’ dai lauti guadagni che ne derivano.
Il messaggio che arriva dagli Usa sembra tutt’altro: ammonire gli europei che d’ora in poi del loro continente dovranno occuparsi di più. Inesorabilmente, l’America di Joe Biden si sta riorientando verso la Cina – un paese che negli anni delle endless wars e di una malintesa globalizzazione ha costruito la sua prosperità economica, ma che adesso sta abbandonando uno dei precetti di Deng Xiao Ping, quello di mantenere un basso profilo in politica estera, in favore di una postura sempre più aggressiva, militarista ed antidemocratica (vedi Taiwan, Hong Kong, Mar Cinese Meridionale).
I falchi dell’ex amministrazione repubblicana non sono d’accordo? È comprensibile, ma fa parte della politica interna statunitense.
Il guaio invece, sul nostro versante, è che né l’Unione Europa ha una vera politica verso la Russia (Paese “diversamente europeo”, ma pur sempre parte del nostro continente e della nostra storia), né la Russia sa come superare l’impasse ucraino. A meno che non si vogliano definire ‘politica’ l’ostilità, il rancore e la diffidenza.
Assai più interessante è che nello spazio intermedio tra Russia ed Ue si siano infilati diversi attori abili a sfruttare la situazione e le sue contraddizioni.
La Bielorussia, intanto, che si è inventata una crisi di migranti come ritorsione alle sanzioni Ue, smentendo chi ancora crede Lukashenko solo come un burattino nelle mani di Putin, quando invece si tratta di un astuto politico che negli anni ha saputo mantenere l’autonomia del suo paese, e al tempo stesso il suo potere personale.
La Polonia, che in pochi giorni è passata dal banco degli accusati per la decisione della sua Corte Costituzionale di non riconoscere la superiorità del diritto europeo sulla sua Costituzione, a baluardo di una nuova ondata migratoria verso l’Unione.
Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha detto sì alla richiesta polacca e di altri paesi di finanziare la costruzione di muri anti-immigrati con le risorse comunitarie, suscitando l’immediato dissenso della presidente della Commissione Ursula Von der Leyen la quale ha detto che “è una posizione di lunga data: la Commissione europea non finanzia con i fondi Ue i muri o il filo spinato”.
I muri li costruisce Trump, non l’Europa? Memoria corta: già negli anni ’90 la Commissione finanziò la Spagna con 30 mln di euro per la costruzione delle barriere di Ceuta e Melilla. L’elettore europeo medio si farà delle domande: perché a Lampedusa l’accoglienza, e a Kuznica i respingimenti?
Infine, l’Ucraina, che vede con allarme la certificazione del Nord Stream 2 e che deve far passare almeno l’inverno prima che ciò accada ed esso diventi operativo, per non restare al gelo. La Polonia, Paese a lei più vicino, oltre che il più russofobo e antitedesco dell’intera Ue, ha certamente interesse ad assecondarla. Forse sarà l’enfant terrible dell’Unione Europea, ma ha sicure credenziali atlantiste e solidi rapporti con gli Stati Uniti, ed è tutto quel che conta.
Per l’Ucraina si annuncia un inverno freddo, ma nulla di più.