L’esponente del Pd, sul Colle è chiaro: “I nomi a gennaio, ma serve un garante del legame fra Italia e Ue”. Le alleanze si cercano con tutti, a partire dal Movimento. “Dai centristi non devono esserci posizioni pregiudiziali”. Per la legge elettorale, rispunta la via del ’48: “Gli uninominali proporzionali di partito, forse vale la pena di riproporla”
Il segretario del Partito democratico Enrico Letta ha detto apertamente che Quirinale e legge elettorale sono discorsi tabù. Ma il borgo è piccolo e la gente mormora. Uscendo dai palazzi, è inevitabile inciampare sul rebus del successore di Sergio Mattarella. Tant’è che anche al pranzo di compleanno organizzato nella casa di Goffredo Bettini, tra i più influenti esponenti del Pd, non si è potuto evitare l’argomento. In questo momento i dem hanno l’occasione di partire in vantaggio. Un gioco che potrebbe dare al Pd buoni frutti, facendo leva sui risultati ottenuti alle amministrative. Gli ostacoli nella corsa sono ancora tanti. A partire proprio dalle alleanze e dalle convergenze da trovare per pianificare la partita del Colle. Stefano Ceccanti, giurista e parlamentare del Pd, è uno fra gli analisti più lucidi.
Ieri il piatto forte del pranzo da Goffredo Bettini è stata la proiezione sul Quirinale. Qual è, a questo punto, la posizione del Pd?
Penso che in questo periodo qualsiasi pranzo o cena a cui vengano invitati dei parlamentari abbia per oggetto, almeno in parte, le previsioni sul Quirinale. Mi sembra del tutto fisiologico. Ed è evidente che ciascuno facendo previsioni ci inserisca anche le proprie visioni preferite cercando di proiettarle sulla realtà. Questi però sono i singoli. La posizione del Pd sui nomi verrà fissata a gennaio come ha dichiarato il segretario Letta, che è l’unico abilitato a parlare a nome di tutti, ovviamente coinvolgendo coloro che votano a scrutinio segreto, i grandi elettori del Pd. La posizione del Pd sull’impatto delle elezioni, non sui nomi, è però già chiara: garantire, qualunque sia la scelta concreta delle persone, la continuità del legame positivo e stretto tra Italia ed Unione europea, che l’attuale esecutivo assicura. Attraverso il passaggio del Quirinale, ma anche dopo. È possibile farlo qualora il presidente del Consiglio diventi Presidente della Repubblica? O occorre convincere l’attuale inquilino del Quirinale, qualora quella strada si rivelasse non praticabile, a cambiare il suo attuale orientamento contrario alla rielezione? O esiste una soluzione terza che veda comunque la convergenza di tutta la maggioranza di governo per non avere conseguenze negative sull’esecutivo? Quindi è chiaro il principio-guida: garantire una sostanziale continuità nell’azione di governo fino al 2023 e oltre; quale delle tre strade concrete lo si verificherà a gennaio.
Il senatore Marcucci ha gettato il cuore oltre l’ostacolo. Punta su una maggioranza pro Draghi dopo il 2023. Che ne pensa?
Dobbiamo distinguere il tema della sostanziale continuità dell’azione di governo nella prossima legislatura da quello delle persone e delle coalizioni. Il nostro obiettivo non può essere quello di una continuità statica, specie rispetto alla formula di una grande coalizione oggi necessaria ma obiettivamente eterogenea, quanto piuttosto di una continuità dinamica. È il termine che il segretario Letta ha utilizzato rispetto al ricambio Merkel-Scholz, che giudico particolarmente felice. Scholz era il numero due del governo Merkel; ovviamente ne assicurerà una continuità, ma di natura dinamica, anche perché la coalizione sarà diversa. Il paragone con la Germania è utile anche per il rapporto con gli elettori perché Scholz ha presentato questa idea di continuità dinamica direttamente agli elettori. Non mi convince invece l’idea di cambiare a tal fine il sistema elettorale (che va cambiato per altre ragioni) per fare una campagna in cui ciascuno presenta un proprio programma di bandiera e magari anche qualche candidato di bandiera per la guida del Governo, nella speranza che non vinca nessuno e poi ritorni improvvisamente Draghi. Mi ricorda lo schema con cui la sinistra e il centro andarono alle elezioni del 1994 pensando a Ciampi come candidato in pectore, ma non dicendolo agli elettori fecero vincere Berlusconi.
Come sono in questo momento i rapporti con il Movimento 5 Stelle?
Per quello che riguarda i rapporti parlamentari col Movimento 5 Stelle devo dire che non da oggi, almeno dal mio osservatorio particolare della Commissione Affari Costituzionali, i rapporti sono estremamente positivi. Può non essere così dappertutto e su tutto. Ognuno però risponde dall’angolatura di realtà in cui è inserito. È comunque evidente, in generale, che le distanze politiche si sono ridotte e che i rapporti di forza sono cambiati.
I centristi (da Calenda a +Europa) hanno posto il veto: alleanza col Pd solo se si rinuncia all’asse coi grillini. Ipotesi percorribile?
Sono vari anni che sul piano nazionale, prima col Conte 2 e poi con Draghi, queste forze centriste sono al governo insieme al Movimento 5 Stelle, in Italia e anche in Europa. Ultimamente anche nella città di Napoli. Non nego che ci siano problemi, ma non mi sembra che si ci si possa mettere su un piano di preclusioni. Se poi, addirittura, il Movimento 5 Stelle approdasse nella Ue al gruppo dei socialisti e dei democratici, come ora appare possibile, un veto pregiudiziale si spiegherebbe ancora meno. La stessa cosa vale a parti invertite, ovviamente, nel senso che neanche il M5S può accampare veti pregiudiziali.
Con chi cercherete la convergenza sul successore di Mattarella?
La convergenza è necessaria con tutte le forze di maggioranza perché non ci devono essere conseguenze negative sulla continuità sostanziale sul governo. È un bene troppo prezioso.
In nodo della legge elettorale. Lei per che soluzione propende?
Ne parleremo dopo il Quirinale. Se comunque l’esperienza di governo di grande coalizione prosegue, è evidente che occorre un sistema che non spacchi le forze di maggioranza. Anche in questo caso, come per l’inquilino del Quirinale, non si può mettere in pericolo il governo provando ad approvare una legge gli uni contro gli altri: si manderebbe in crisi il governo e la legge comunque non si approverebbe. Non mi sembra che sia plausibile ottenere un consenso unanime sullo smantellamento di coalizioni pre-elettorali. Mi sembra che esse sarebbero meglio governabili con un premio di coalizione anziché con collegi uninominali di coalizione. Starei poi attento a finire in una polarizzazione ideologica tra liste bloccate e preferenze. L’Italia inventò nel ’48 una felice terza via, gli uninominali proporzionali di partito, forse vale la pena di riproporla. In ogni caso la stella polare di tutto è la continuità dinamica con Draghi, attraverso il Quirinale e anche dopo il ’23. La legge elettorale si pone in modo ferreo dentro quella cornice.