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Cosa c’è dietro lo scontro Google-Vestager

Mercoledì il Tribunale dell’Ue si pronuncerà sulla maxi multa da 2,4 miliardi di euro inflitta all’azienda statunitense nel 2017 per l’abuso di potere perpetuato da Google Shopping ai danni della concorrenza. Ma in gioco c’è molto di più

Se l’Europa abbia intrapreso o meno la strada giusta per combattere lo strapotere delle Big Tech lo sapremo mercoledì. La decisione del Tribunale dell’Unione europea, in merito alla multa fatta recapitare nel 2017 a Google per i suoi servizi Shopping, non si limiterà al singolo caso ma sarà un test fondamentale per la linea (dura) adottata dalla commissaria per la Concorrenza Margrethe Vestager.

Qualora uscisse un verdetto favorevole a Bruxelles, il caso Google diventerà giurisprudenza per regolare anche per le altre aziende tech, ma potrebbe innervosire ancor di più i funzionari statunitensi, già dichiaratamente scontenti della stretta europea sulle società americane. Al contrario, una sconfitta aprirebbe scenari ancor più ampi che, inevitabilmente, riporterebbero all’attualità e alle misure che l’Europa sta cercando a fatica di adottare – Digital Markets Act e Digital Services Act su tutte – che assumerebbero quindi un’importanza ancor più grande.

Per tornare alla genesi della causa mossa contro Google bisogna riportare il calendario indietro di quattro anni. Nel giugno del 2017, infatti, la Commissione europea aveva annunciato una sanzione nei confronti di Alphabet, la holding fondata nel 2015 a cui fa capo l’azienda di Sundar Pichai, colpevole di aver utilizzato il servizio di Google Shopping in modo “illegale”, per utilizzare le parole di allora della commissaria Vestager. In soldoni, tramite questo strumento l’azienda statunitense permette agli utenti di confrontare i vari prezzi online.

Il problema era che il servizio appariva sempre come prima opzione nel motore di ricerca, lasciando così poco spazio agli altri. Come spiegava la Commissione, “i risultati in cima alla pagina vengono cliccati il 35% delle volte”. Insomma, l’abuso di potere per l’Europa era evidente e, di conseguenza, appariva necessaria una presa di posizione forte, trovata nei 2,42 miliardi di euro di sanzione e nell’obbligo di parità di trattamento della concorrenza.

Da parte sua, e come era facilmente prevedibile, Google si era opposto alla decisione su cui si diceva totalmente in disaccordo, tanto da presentare ricorso. “Crediamo”, aveva spiegato il vice presidente dell’azienda, Ken Walker, “che i risultati di commercio online sono utili e sono migliori rispetto alle pubblicità di dieci anni fa”.

La difesa si basa sull’aiuto che i suoi servizi hanno dato alle persone per “trovare i prodotti che stanno cercando in modo rapido e semplice” e ai produttori per raggiungere potenziali e nuovi clienti. Una tesi che non potrebbe essere più utilizzata nel momento in cui passasse il DMA, che non lascia spazio alle aziende di giustificare le proprie azioni con l’efficienza dei suoi prodotti.

Oggi, però, per Google i problemi non si limitano al solo rapporto con le istituzioni europee. Alla finestra, infatti, ci sono anche tutte quelle piattaforme concorrenti che da tempo denunciano i mancati introiti a causa dell’eccessiva presenza di Google Shopping sul web.

Tra queste figura anche Yelp – società californiana che pubblica recensioni di crowdsourcing sulle aziende e gestisce prenotazioni online per i ristoranti attraverso il servizio Yelp Reservations – così come anche le varie Expedia ed eDreams. D’altronde, se un utente è interessato a confrontare i prezzi è molto probabile che lo stia facendo per un ristorante, un albergo o un volo aereo. Così, “se la decisione venisse confermata, immagino ci sarà un gran numero di nuovi casi nei tribunali di tutta Europa”, ha spiegato Richard Stables, Ceo di Kelkoo che con Google ha cause aperte per miliardi di euro.

Eppure, il peso di questa decisione ricade molto di più sulle spalle di Vestager che non su quelli di Google. Se per l’azienda del Ceo Sundar Pichai risarcire la somma richiesta non sarebbe un problema data la sua forza economica, la commissaria europea si gioca gran parte del suo futuro.

Brucia ancora il ribaltone deciso dal Tribunale dell’Ue – lo stesso di mercoledì – nel luglio del 2020 sulla sentenza di quattro anni prima, che obbligava Apple al maxi risarcimento di 13 miliardi di euro al governo irlandese per tasse non pagate. Quando ricevette la notizia, Vestager si trovava a una riunione del Collegio dei Commissari europei e in quell’occasione non poteva mostrarsi sconfitta, come ha raccontato in seguito.

Ora sembrerebbe volere una piccola rivincita senza cui diventerebbero complicate anche le altre due cause che pendono su Google. L’anno successivo al caso Shopping, infatti, la Commissione per la Concorrenza ha multato l’azienda per 4,34 miliardi di euro per aver “imposto restrizioni illegali ai produttori di dispositivi Android e agli operatori di rete mobile per consolidare la sua posizione dominante nella ricerca generale su Internet”.

Quello di cui veniva accusata l’azienda era una pratica dominante sul mercato che costringeva i costruttori di smartphone (Android) a favorire i suoi servizi a dispetto di quelli dei rivali. Nel 2019, invece, i miliardi di euro chiesti ammontavano a 1,49 per via di un abuso da parte di Google “del suo dominio sul mercato imponendo una serie di clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi che impedivano ai rivali di Google di inserire i propri annunci di ricerca su questi siti web”. La pubblicità, inoltre, è stata al centro di un’altra indagine europea aperta lo scorso giugno.

L’importanza della sentenza del Tribunale non riguarda dunque solo lo scontro tra Bruxelles e Google ma anche le altre Big Tech, finite nel mirino europeo. Apple, Amazon, Microsoft, Facebook non possono dormire sonni tranquilli, anzi dipendono indirettamente da quello che verrà deciso mercoledì.

“La sentenza affermerà o rifiuterà l’approccio antitrust della Commissione al modo in cui i giganti della tecnologia esercitano il potere sulle loro piattaforme”, ha sintetizzato lo studioso di regolamentazione anticoncorrenziale delle piattaforme online dell’università belga di Leuven, Friso Bostoen.

La linea europea contro le Big Tech, dunque, passa da quanto deciderà il Tribunale. Un ricorso alla Corte di Giustizia appare scontato, qualsiasi sia l’esito che ne verrà fuori. Per il suo futuro, la commissaria Vestager deve augurarsi che non sia lei a presentarlo.



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