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Sembra Roma ma è Pechino. Il report Iai sui media italiani

Un report dell’Istituto affari internazionali (Iai) accende i riflettori sulla Chinese connection dei media italiani. Da anni sono decine le collaborazioni fra giornali italiani e media del governo cinese. Ma quasi sempre consistono nel rilancio della propaganda autoritaria. E a Pechino non ricambiano il favore…

“Un rapporto controverso”. La Cina in Italia conta, e si racconta. Un report dello Iai (Istituto affari internazionali) accende i riflettori sulla liaison cinese con i media italiani. “Il processo di integrazione dei media cinesi nel panorama mediatico italiano è un fenomeno ben consolidato”, scrivono i ricercatori Francesca Ghiretti e Lorenzo Mariani. E non è limitato a casi isolati, riguarda “tutti i più grandi gruppi mediatici italiani”.

Fra questi “l’Agenzia Giornalistica Italiana (Agi), Adnkoronos, Class Editori, Il Sole 24Ore, Il Giornale, Mediaset, Rai ed Ansa”. Negli ultimi anni l’intesa si è consolidata complice la firma del memorandum sulla nuova Via della Seta cinese apposta dal governo gialloverde nel marzo del 2019. In quel documento si parlava anche di stampa.

Due dei più importanti organi di informazione pubblici italiani, l’Ansa e la Rai, avevano rinnovato i rispettivi accordi bilaterali con China Media Group (Cmg) e Xinhua, entrambi di proprietà del governo cinese. Obiettivo: rilanciare i contenuti e offrirli, tradotti, ai pubblici dei rispettivi Paesi. Uno scambio automatico, a volte limitato alla semplice traduzione dei lanci di agenzia, che ha portato a qualche equivoco, spiega oggi lo Iai.

I media governativi cinesi infatti “tendono a fornire articoli pre-tradotti che il più delle volte sono pubblicati dai partner esteri senza il necessario fact-checking o controllo dei contenuti”. Capita così che a volte la propaganda del Partito comunista cinese (Pcc) trovi eco anche sui media pubblici italiani, senza revisione alcuna.

Anche quando si toccano tasti dolenti, come i diritti umani in Xinjiang o a Hong Kong, raccontati con la lente di Pechino. “In assenza di informazioni proprie o di giornalisti specializzati, alcuni media italiani finiscono per riproporre acriticamente notizie provenienti dalle agenzie di stampa cinesi, contribuendo in tal modo a diffondere contenuti di chiaro stampo propagandistico”, spiega il report dell’istituto.

Con una postilla: quello fra media italiani e cinesi non è un rapporto alla pari. “La natura controversa di tali accordi è suggerita anche dal fatto che il flusso di notizie è generalmente unidirezionale, in quanto i media cinesi non ripropongono ai loro lettori articoli prodotti delle loro controparti italiane”.

La “Chinese connection” del panorama mediatico italiano ha già attirato in passato critiche da parte di alcuni osservatori internazionali. Un anno fa, intervistata da Formiche.net, l’esperta americana di tecnologia Lindsay Gorman, oggi chiamata da Joe Biden nell’amministrazione, definiva la partnership Ansa-Xinhua “un megafono per influenzare la copertura sulla Cina in Italia”. Il rischio è doppio per i media che ricevono ingenti contributi pubblici, perché in quel caso è il governo italiano a finanziare la propaganda di uno Stato straniero.

In verità, spiega il documento dello Iai, la cooperazione dei media cinesi con i giornali esteri è una pratica ormai collaudata. “Report pubblicati da organizzazioni indipendenti hanno fatto luce sulle tattiche ricorrenti usate da enti affiliati o riconducibili al governo cinese per influenzare i media stranieri, organizzazioni di giornalisti e reporter freelance. Queste tattiche comprendono: programmi di formazione per giornalisti stranieri; programmi di scambio o viaggi in Cina interamente spesati; organizzazione di eventi internazionali che promuovono la concezione cinese del giornalismo; acquisizione di organi di informazione esteri; programmi di cooperazione con media outlet o organizzazioni di giornalisti”.

La missione è sempre la stessa: promuovere una buona immagine del governo all’estero. A volte funziona, altre no. In Italia, svela il report Iai, i risultati non sono brillanti. “Secondo uno degli studi più recenti sull’opinione pubblica italiana nei confronti della Cina, dopo il 2017 la percezione del 44,7% degli italiani verso la Cina è rimasta immutata; il 38,5% ritiene che sia peggiorata e solo il 16,8% scorge un miglioramento”.


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