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Sulla nuova redazione paneuropea c’è l’ombra di Pechino. Ecco perché

taiwan

La Commissione ha stanziato 1,76 milioni di euro per la nascita di un consorzio guidato dalla tedesca Dpa. Ma metà delle agenzie coinvolte ha rapporti di collaborazione con la cinese Xinhua, a partire dall’italiana Ansa

Sedici agenzie di stampa riunite sotto lo stesso tetto, una European Newsroom. Il progetto partirà a gennaio per essere operativo entro metà dell’anno prossimo e la Commissione europea finanzierà con 1,76 milioni di euro la nascita di questo consorzio che Thierry Breton, commissario al Mercato interno, ha definito un “primo spazio giornalistico paneuropeo” che “permetterà ai giornalisti di riferire congiuntamente sugli affari dell’Unione Europea e di promuovere uno spirito di collaborazione in patria” ma anche di “aumentare l’accesso dei cittadini a un’informazione di qualità”.

“La maggior parte di queste agenzie si riunirà in un luogo comune dove potranno discutere tutte le questioni europee, richiedere interviste insieme e pubblicare alcuni dei loro lavori su un sito web dedicato”, ha detto la francese Afp, che partecipa al progetto. “I partecipanti potranno anche beneficiare della formazione, in particolare nella tecnologia digitale e nel fact-checking”.

A coordinare l’hub ci sarà la tedesca Dpa. Le altre 15 agenzie sono: Afp (Francia), Ansa (Italia), Agerpres (Romania), Apa (Austria), Ata (Albania), Belga (Belgio), Btw (Bulgaria), Efe (Spagna), Europa Press (Spagna), Fena (Bosnia-Erzegovina), Hina (Croatia), Mia (Macedonia), Sta (Slovenia), Tanjug (Serbia) e Tasr (Slovacchia).

Ma qualcuno a Bruxelles guarda con una certa dose di preoccupazione il progetto per via dei rapporti che alcune delle agenzie coinvolte hanno instaurato negli anni anni con i media del governo cinese. A partire dalla capofila, Dpa, che ha “una cooperazione amichevole di lunga data” con Xinhua, l’agenzia subordinata al controllo del Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese. L’italiana Ansa ha rafforzato la collaborazione con Xinhua a marzo del 2019 a margine della firma dell’Italia sul memorandum d’intesa con la Cina sulla Via della Seta. Anche la francese Afp, la romena Agrepres, l’albanese Ata, la spagnola Europa Press, la macedonia Mia, la serba Tanjug e la slovacca Tasr hanno rapporti di collaborazione e cooperazione di diversa intensità con l’agenzia ufficiale di Pechino.

In accordi simili i media governativi cinesi “tendono a fornire articoli pre-tradotti che il più delle volte sono pubblicati dai partner esteri senza il necessario fact-checking o controllo dei contenuti”, si legge in un recente report dello Iai che ha analizzato l’influenza di Pechino sulle testate italiane. “In assenza di informazioni proprie o di giornalisti specializzati, alcuni media italiani finiscono per riproporre acriticamente notizie provenienti dalle agenzie di stampa cinesi, contribuendo in tal modo a diffondere contenuti di chiaro stampo propagandistico”, spiega il documento dell’istituto. Ma attenzione: quello fra media italiani e cinesi non è un rapporto alla pari. “La natura controversa di tali accordi è suggerita anche dal fatto che il flusso di notizie è generalmente unidirezionale, in quanto i media cinesi non ripropongono ai loro lettori articoli prodotti delle loro controparti italiane”.

Un anno fa Lindsay Gorman, oggi consulente della Casa Bianca, allora esperta dell’Alliance for Securing Democracy del German Marshall Fund, dichiarava a Formiche.net: “La partnership Ansa/Xinhua regala al Partito comunista cinese un megafono per influenzare la copertura sulla Cina in Italia”.

Come ha spiegato il documento dello Iai (qui raccontato da Formiche.net) la cooperazione dei media cinesi con i giornali esteri è una pratica ormai collaudata. “Report pubblicati da organizzazioni indipendenti hanno fatto luce sulle tattiche ricorrenti usate da enti affiliati o riconducibili al governo cinese per influenzare i media stranieri, organizzazioni di giornalisti e reporter freelance. Queste tattiche comprendono: programmi di formazione per giornalisti stranieri; programmi di scambio o viaggi in Cina interamente spesati; organizzazione di eventi internazionali che promuovono la concezione cinese del giornalismo; acquisizione di organi di informazione esteri; programmi di cooperazione con media outlet o organizzazioni di giornalisti”.

Presentando il progetto, il commissario Breton assieme a Věra Jourová, vicepresidente della Commissione europea per i valori e la trasparenza, ha annunciato anche che l’esecutivo guidato da Ursula von der Leyen presenterà l’anno prossimo una normativa per proteggere l’indipendenza dei media al fine di “garantire il pluralismo, l’integrità e l’indipendenza del mercato europeo dei media contro ogni tipo di interferenza”. Queste minacce, ha spiegato, “possono assumere varie forme, come l’interferenza governativa, la politicizzazione dei media pubblici o un’alta concentrazione della proprietà dei media nelle mani di pochi proprietari”, ha sottolineato (forse il riferimento era anche “di casa sua” a Vincent Bolloré, grande sostenitore di quell’Éric Zemmour che sfida l’uomo che ha mandato Breton a Bruxelles, cioè il presidente Emmanuel Macron?). “Sono in gioco l’indipendenza e il pluralismo dei nostri media, così come la qualità del dibattito pubblico e la responsabilità pubblica”, ha avvertito il commissario.

La normativa riguarderà anche i rapporti unidirezionali tra i media europei e quelli cinesi? Il nostro auspicio è che questo sostegno economico possa permettere di concentrare gli sforzi sui temi europei staccando un po’ le agenzie dall’influenza cinese.



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