La U.S.-China Economic and Security Review Commission ha pubblicato un ampio rapporto sulle relazioni tra i due Paesi. In cima alle priorità c’è lo stato dell’isola. Nelle scorse ore nuove incursioni aeree di Pechino
“Vogliamo prevenire un conflitto”, ha spiegato Alex Wong, uno dei membri della U.S.-China Economic and Security Review Commission che ha diffuso il suo rapporto 2021. L’ampio documento di 539 pagine è stato pubblicato dalla commissione meno di 48 ore dopo la riunione virtuale tra Joe Biden e Xi Jinping.
IL DOCUMENTO
La questione Taiwan è stata in cima alle priorità sia degli Stati Uniti sia della Cina durante le oltre tre ore di confronto. I primi “si oppongono fermamente agli sforzi unilaterali per cambiare lo status quo o minare la pace e la stabilità attraverso lo stretto di Taiwan”, come recita una nota della Casa Bianca dopo l’incontro. Per la seconda, che non sembra disposta a rinunciare alla riunificazione (si tratta di “una tendenza storica inarrestabile” secondo il portavoce del ministro degli Esteri Zhao Lijian), è “una linea rossa”. E sembrano casuali le incursioni cinesi nello spazio aereo taiwanese nelle ultime ore.
“Il governo cinese ha aumentato la sua aggressività, il comportamento da ‘guerriero lupo’ e la coercizione, alimentando preoccupazioni in tutto l’Indo-Pacifico e altrove nel mondo circa l’ascesa della Cina”, ha detto la presidente della commissione Carolyn Bartholomew, già capo di gabinetto e consigliera di Nancy Pelosi, attuale speaker della Camera. I leader cinesi, ha aggiunto presentando il rapporto, “hanno posto l’onere di migliorare le relazioni” sulle controparti mentre è la Cina che sta diventando “sempre più belligerante in alcuni luoghi e bellicosa in altri”.
L’INDO (POCO) PACIFICO
La posta in gioco su Taiwan è particolarmente alta: per la commissione l’esercito cinese ha già la capacità di tentare un’invasione “ad alto rischio”. Lo dimostrano, spiega il rapporto, test missilistici, incursioni aeree e pattugliamenti navali pensati per mettere pressione politica su Tsai Ing-wen, presidente taiwanese molto critica verso Pechino. Per affrontare la questione, la commissione sollecita l’adozione di “misure urgenti” per rafforzare la deterrenza statunitense nell’Indo-Pacifico in risposta al rischio di una invasione militare di Taiwan da parte della Cina (“stanno mandando tutti i segnali che questa è un’opzione che stanno considerando praticabile”, ha dichiarato un membro della commissione, l’ex senatore repubblicano Jim Talent). Il Giappone, un alleato chiave degli Stati Uniti dotato di forze militari “altamente professionali”, giocherebbe un ruolo di primo piano nell’eventualità di una crisi militare a Taiwan. “La deterrenza intra-Stretto attraversa una fase di pericolosa incertezza”, spiega il documento, sottolineando i “progressi delle capacità militari della Cina, che hanno mutato fondamentalmente l’ambiente strategico” dell’Indo-Pacifico.
La commissione prosegue evidenziato che “l’approccio sempre più coercitivo della Cina nei confronti di Taiwan minaccia quotidianamente lo status quo” e “aumenta il rischio di una crisi militare”. Come rispondere? Gli Stati Uniti dovrebbero finanziare e schierare un “grande quantitativo” di missili da crociera antinave e balistici nell’Indo-Pacifico e rafforzare le capacità di sorveglianza e ricognizione nel Mar Cinese Orientale e Meridionale. Inoltre, è cruciale finanziare le richieste avanzate dal Comando per l’Indo-Pacifico, così da “consolidare le basi statunitensi nella regione” tramite una robusta rete di difesa missilistica.
(POCHI) ALTI E (TANTI) BASSI A PECHINO
Pur riconoscendo alcuni successi della Cina, come quello nella lotta alla povertà, il rapporto evidenzia come, anche approfittando del centenario della fondazione del Partito comunista cinese, i leader abbiamo alimentato la loro convinzione sulla presunta inesorabile ascesa della Cina anche attraverso gli organi della propaganda. Ma, si legge, “l’approccio intransigente all’interno e verso il mondo esterno” da parte del Partito è frutto “sia della fiducia sia dell’insicurezza”, quest’ultima legata alle contraddizioni e alle sfide del Paese. Tra queste, l’aumento del debito, le disuguaglianza salariali, la demografia, la dipendenza tecnologica ancora significativa dall’Occidente e i timori relativi alla corruzione e alla fedeltà del popolo all’ideologia.
“L’incapacità politica di ammettere il fallimento e la genuina convinzione della propria superiorità limitano la capacità della Cina di affrontare queste stesse sfide”, recita il documento. “La pressione esterna ha aumentato la paranoia del Partito comunista cinese sul potenziale delle forze esterne di amplificare il dissenso interno e minacciare il suo regime”. Sono queste le parole con cui la commissione legge anche la recente svolta di Xi al plenum del Partito.
LA SVOLTA DI XI…
“Potrebbe essere un colosso con i piedi di argilla: l’economia sta diventando traballante e questo potrebbe avere conseguenze dirette sul suo governo”, ha spiegato Philippe Le Corre, senior research fellow alla Kennedy School dell’Università di Harvard, a Formiche.net. Xi e i suoi, ha continuato, “sono molto preoccupati di preservare la pace sociale (da qui l’idea di ‘ridistribuzione’ e ‘prosperità comune’ per compiacere il cinese medio). Ma ci sono molte tensioni nella società cinese, e il partito non può trovare tutte le risposte”.
… E LE RICHIESTE USA
Citata dal Financial Times prima dell’incontro tra i due leader, Bartholomew ha detto che Xi deve mostrarsi “rispettoso e assumere impegni concreti per affrontare una vasta gamma di preoccupazioni condivise dagli Stati Uniti e da altri Paesi”. Tra queste, “la crescente aggressività della Cina verso Taiwan e il Giappone, la continuazione di pratiche economiche e commerciali sleali come la coercizione e i sussidi, gli abusi dei diritti umani contro gli uiguri e altre minoranze etniche e la distruzione delle libertà fondamentali a Hong Kong”.
“In questo momento, la guerra a Taiwan è la prima preoccupazione per gli Stati Uniti”, ha spiegato Zack Cooper, esperto di Cina e ricercatore dell’American for Enterprise Institute (Aei), a Formiche.net. “Un passo falso può accelerare i tempi di un’annessione cinese, per questo la Casa Bianca lavora da mesi per trovare un meccanismo di de-escalation”. Non sarà un processo immediato, ha continuato l’esperto. “Le chances di un’invasione militare nel 2022 sono molto basse. Xi deve fare i conti con il Congresso di autunno che lo rieleggerà segretario. A questo si aggiunge la crisi finanziaria e la chiusura del Paese per gestire la pandemia. Un conflitto militare non è escluso, ma è improbabile”. Checché la propaganda cinese ne abbia detto celebrando l’incontro come una vittoria di Xi.. Biden, ha aggiunto Cooper, ha raggiunto il suo obiettivo: incanalare uno scontro su più livelli – militare, commerciale, cyber – all’interno di una competizione gestita, regolata.