Un caso eclatante di radicalizzazione, di proselitismo e di adesione al jihad fino a diventare un potenziale “ordigno umano”, definizione di Alberto Nobili, capo del pool antiterrorismo della procura di Milano. Un’operazione, condotta dalla Digos di Milano e dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione con la collaborazione del Centro antiterrorismo dell’Europol, ha riportato all’attenzione l’area balcanica, vera fucina di terroristi e di tensioni geopolitiche
I terroristi ci sono, nascosti eppure attivi, e i tanti piccoli attacchi delle scorse settimane in Europa lo dimostrano. Da tempo, invece, in Italia non si arrestava una persona con il profilo della diciannovenne kosovara, con cittadinanza italiana, Bleona Tafallari ormai pronta al martirio. Un caso eclatante di radicalizzazione, di proselitismo e di adesione al jihad fino a diventare un potenziale “ordigno umano”, definizione di Alberto Nobili, capo del pool antiterrorismo della procura di Milano. L’operazione, condotta dalla Digos di Milano e dalla Direzione centrale della Polizia di prevenzione con la collaborazione del Centro antiterrorismo dell’Europol, ha riportato all’attenzione l’area balcanica, vera fucina di terroristi e di tensioni geopolitiche.
I LEONI DEI BALCANI
Un unico filo unisce Milano, il Kosovo, Vienna e Isernia dove la sua famiglia si trasferì 12 anni fa e dove, all’età di 16 anni, la ragazza cominciò a radicalizzarsi. Un legame importante è quello tra lei e l’attentatore di Vienna del 2 novembre 2020, Kujtim Feizulai, che apparteneva a una famiglia albanese originaria della Macedonia del Nord e con doppio passaporto austriaco e macedone. Feizulai faceva parte del gruppo dei Leoni dei Balcani, affiliazione dell’Isis in Europa, organizzazione salafita operante soprattutto in Kosovo, Albania e Macedonia del Nord alla quale aderiva anche la ragazza kosovara, tanto che nelle chat sul suo telefono compariva spesso lo “smile” del leone.
TESTA DI PONTE VERSO L’EUROPA
“La proiezione dell’Isis sui Balcani è di grandissima importanza sia per noi che per i terroristi” ha spiegato Diego Parente, direttore centrale della Polizia di prevenzione. “Di fatto è una testa di ponte verso l’Europa”. L’anno scorso, dopo l’attentato di Vienna, in un report del Centro studi internazionali si spiegava che “il salafismo e il radicalismo islamista sono diventati strumenti per la cooptazione della rabbia popolare, soprattutto nelle aree rurali più vulnerabili e poco sviluppate di Bosnia, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro e Albania”. Da quelle zone tra il 2012 e il 2016 circa 1.070 persone andarono a combattere in Iraq e Siria.
LA “SPOSA PELLEGRINA”
Il caso Tafallari racchiude gli elementi tipici della radicalizzazione e i rischi potenziali che arrivano anche dalle nuove generazioni. All’inizio di quest’anno si sposa con un affiliato all’Isis, Perparim Veliqi, che vive in Germania, fa parte della rete del terrorista Feizulai e con il quale mantiene regolari contatti. Il contatto tedesco viene segnalato dall’intelligence mentre il 1° agosto scorso la ragazza arriva a Milano dal Kosovo con sua sorella per rinnovare la carta d’identità e va ad abitare nell’appartamento affittato da suo fratello Mirivan. Sua sorella, che doveva rinnovare il permesso di soggiorno, scompare subito dopo mentre lei il 7 settembre ha appuntamento presso gli uffici comunali. Veste con il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, e durante il controllo di una volante verificando il suo cellulare emergono foto e video jihadisti. Da lì prende le mosse la perquisizione del 9 settembre nel suo appartamento e il sequestro dei dispositivi dimostra l’uso del social network Telegram dove si fa chiamare Al Muhajirah (che ha dato il nome all’operazione di Polizia), cioè “sposa pellegrina”. Quindi viene monitorata e quando arriva a dirsi pronta al martirio scatta l’arresto perché poteva diventare un kamikaze in qualunque momento.
RECLUSA, MA PRESENTE SUI SOCIAL
Inquirenti e investigatori sono rimasti colpiti dalla spregiudicatezza e dalla esperienza del web dimostrate dalla Tafallari a conferma, se ce ne fosse bisogno, di quanto corra la radicalizzazione e il proselitismo su Internet. Da agosto a novembre è uscita due volte di casa “per non contaminarsi con gli infedeli”, come ha spiegato Guido D’Onofrio, capo della Digos di Milano, tenendo contatti e raccogliendo fondi per le donne dell’Isis recluse nei campi di Raqqa o radicalizzando una ragazza kosovara invitandola a scegliere un marito con capelli e barba lunghi e a sposarsi con un matrimonio “bagnato con il sangue dei miscredenti”. Un vero network femminile. Il quadro si completa con il sostegno all’Iskp (l’Isis in Afghanistan) per l’attentato all’aeroporto di Kabul e all’omicidio del professore Samuel Paty in Francia.
I BALCANI IN EBOLLIZIONE
Una ragazza appena maggiorenne che si dice pronta al martirio e mostra nelle foto una mano guantata con l’anello della shahada, la professione di fede, con cittadinanza italiana e che abita a Milano, potrebbe rappresentare la punta dell’iceberg: in Italia solo negli ultimi sei mesi sono state fatte quattro operazioni antiterrorismo, ma potenzialmente preoccupa di più anche in chiave europea quello che sta accadendo al di là dell’Adriatico. Nell’ultima relazione dei Servizi al Parlamento è scritto che le informazioni fanno “guardare al contesto balcanico quale potenziale incubatore della minaccia terroristica in direzione dello spazio Schengen. Rilevano le indicazioni concernenti l’elevata presenza di returnees, la diffusione del fenomeno della radicalizzazione in alcuni Paesi della regione e il possibile utilizzo del territorio balcanico per il passaggio o il temporaneo rifugio di estremisti con contatti in Europa, grazie a partnership di ‘convenienza’ tra terroristi e criminali”. Inoltre ci sono “imam radicali e predicatori carismatici di origine balcanica operanti in Europa (Italia inclusa), in grado di spostarsi e mantenere contatti con estremisti e soggetti radicalizzati presenti in territorio europeo e nazionale”.
KFOR PUNTO DI OSSERVAZIONE
Non è un caso che quando si discute delle missioni internazionali non si mette mai in dubbio quella in Kosovo, attiva da 22 anni. Comandata per otto anni dall’Italia, da metà ottobre è a guida ungherese con il generale Ferenc Kajari succeduto al generale Franco Federici: 3.800 unità, di cui oltre 600 italiani, e 205 mezzi. Non è un caso nemmeno che il 1° giugno 2016 fu creato il Battaglione di ricerca informativa (Intelligence, Surveillance and Reconnaissance Multinational Battalion), un reparto ad hoc anziché continuare a limitarsi alla solita cellula di intelligence presente in ogni contingente. Una missione Nato che ha sempre scattato una fotografia precisa di quanto accade da quelle parti.
TENSIONI POLITICHE
L’odio millenario che attraversa gli slavi non è mai scomparso a dispetto delle tante guerre. Recentemente, Fausto Biloslavo su Panorama ha raccontato di nuove forti tensioni in Bosnia tra Repubblica Srpska e Federazione croato-musulmana citando un rapporto Onu che parla della “più grande minaccia esistenziale del dopoguerra” e di pace in pericolo. Le tensioni riguardano tutti gli Stati dell’area e ciò sta frenando l’Unione europea sull’allargamento ai Balcani Occidentali. Il presidente Mario Draghi è apparso risoluto quando ha detto che “l’integrazione dei Balcani occidentali è scritta nel futuro dell’Unione” e gli incidenti in Bielorussia non cambiano la sostanza mentre il ministro Luigi Di Maio auspica entro l’anno l’apertura delle trattative per l’adesione dell’Albania all’Ue. Se consideriamo il ruolo nascosto di Russia e Turchia per surriscaldare gli animi, si sta preparando un terreno potenzialmente favorevole a destabilizzazioni di ogni tipo, brodo di coltura di jihadisti. La “sposa pellegrina” ce lo sta ricordando.