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Kkr, la rete unica e quell’Opa già scritta. Gli scenari di Vatalaro (Tor Vergata)

Tim

Il docente esperto di telecomunicazioni spiega perché la mossa del fondo Usa non può e non deve stupire. Le azioni dell’ex Telecom erano ai minimi e la società ha perso valore negli anni, anche per colpa di un interventismo dissennato della politica. La rete unica è una probabilità, i grandi fondi prediligono la separazione in asset, ma senza Tim non se ne farà nulla

Forse c’era già aria di Opa, ben prima che Kkr scoprisse le carte, tre settimane fa. Quasi a dire che il destino di Tim fosse in qualche modo segnato e che provare a mettere le mani sul’ex monopolista pagando 50 centesimi ad azione (oggi 0,47 centesimi in Borsa) sia stato fisiologico. Ora che l’offerta è arrivata, con tanto di scossoni, incluso il passo indietro dell’ex ceo, Luigi Gubitosi, la domanda da farsi è: cosa succederà?

Domanda girata direttamente a Francesco Vatalaro, docente a Tor Vergata ed economista delle telecomunicazioni, a stretto giro da un altro passo indietro eccellente, quello di Franco Bassanini, presidente di Open Fiber, braccio tlc di Stato, che con l’ex Telecom potrebbe, e forse a questo punto dovrebbe, gettare le basi per una rete unica a banda larga, sempre che i francesi di Vivendi (soci al 23,7%) siano d’accordo.

C’è chi dice che la mossa di Kkr sia stata un fulmine a ciel sereno. E chi invece pensa il contrario. La sua idea?

Non è stato un fulmine al ciel sereno, le azioni di Tim erano ai minimi e il valore complessivo dell’azienda non era lo stesso degli anni precedenti. Con 35 centesimi ad azione, l’azienda era diventata contendibile dal mercato, questa mossa me la aspettavo da qualche mese e non mi ha stupito affatto.

Ora il baricentro della partita si sposta sulla rete. Con Tim in mano a Kkr, sempre che l’Opa riesca, il percorso verso un’infrastruttura unica è più agevole o no?

Difficile dirlo, è una domanda complicata. Possono avvenire tante cose, non è detto che si vada in quella direzione anche se è uno scenario possibile. Teniamo conto che il governo italiano è sotto pressione per altri dossier e aveva messo da parte le telecomunicazioni. Ma ora l’attenzione va per forza di cose posta. Ricordiamoci che sono 15 anni che si parla di rete unica in Italia e finora non è successo nulla.

Però la natura di fondo di private equity, quale Kkr è, sembra convergere verso operazioni di scorporo e dunque di riassetto della rete. Errore?

A pensarci bene tre anni fa Elliott (fondo americano socio di Tim per poco meno del 7%, ndr) aveva spinto per la separazione della rete e per il suo conferimento in una società unica. E Kkr potrebbe fare lo stesso.

Magari appoggiando una società unica e con governance pubblica…

C’è chi lo dice ma più propriamente si potrebbe dire che questi fondi tendono a estrarre il massimo valore dalle imprese che acquistano e uno dei modi per farlo è dividerle in singoli asset e piazzarli sul mercato. Ammesso che sia così anche con Tim, resta da capire l’intenzione del governo nel fare un investimento importante, acquistando la rete di Tim. Ma onestamente mi sembra che le strategie di Cassa Depositi e Prestiti, che poi è lo Stato, siano cambiate.

Che intende dire? 

Che Cdp (azionista al 9,8% di Tim e presidio pubblico nel gruppo telefonico, ndr), attraverso il nuovo management sostiene di voler entrare nelle aziende solo per valorizzarle e poi uscire. Con Tim, invece, dovrebbe adottare un criterio diverso, non certo entrare in forza nella rete e poi disimpegnarsi.

C’è da dire che Open Fiber, il braccio statale della fibra e controllato al 60% proprio da Cdp, ha appena salutato il presidente Franco Bassanini. Sposta qualcosa?

Credo sia logico immaginare una ottimizzazione della rete. La convergenza tra la rete di Tim e quella di Open Fiber è certamente qualcosa di verosimile, nelle corde, anche perché Open Fiber ha in questi anni dimostrato i suoi limiti, fallendo nelle aree bianche. Non può farcela da sola, se l’Italia e gli italiani vogliono una rete veloce ed efficiente, serve l’infrastruttura di Tim e il suo know-how. Open Fiber da sola non basta.

In una recente intervista a questa testata, l’ex manager dell’allora Telecom, Vito Gamberale, ha sottolineato il disinteresse degli ultimi governi per le telecomunicazioni in Italia, peccando di scarsa vigilanza anche sulla stessa Tim. Condivide?

No. Semmai c’è stata troppa attenzione e troppa invadenza. Il decremento del valore di Tim è figlio in parte delle campagne denigratorie di certa politica, all’indirizzo della stessa azienda. Nel 2015 è nata Open Fiber, pensata per fare concorrenza a Tim da parte dello Stato, violando tutti i principi europei in materia. Un aiuto pubblico indiretto, in cui lo Stato è entrato nelle tlc a gamba tesa. La verità è che c’è stato un interventismo assurdo e insensato e di cui si poteva fare a meno, che ha creato una concorrenza distorta e certamente danneggiato Tim e il suo valore. E i risultati si vedono.

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