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Due senza tre. Sapelli sui rischi del trattato del Quirinale

Intervista allo storico ed economista. Nel merito il Trattato del Quirinale è una buona notizia, metodo e tempismo sono pessimi. La visita di Mattarella in Algeria forse lancia un messaggio: temporeggiare. Ora l’Italia faccia come la Francia: un partenariato con la Germania per chiudere il triangolo di potenza europeo

Non c’è due senza tre. Se l’Italia vuole firmare il Trattato del Quirinale con la Francia in condizioni di parità, deve stringere un partenariato simile con la Germania. “I francesi ce l’hanno da settant’anni”, afferma Giulio Sapelli, storico ed economista dell’Università Statale di Milano. Che avvisa dei rischi dietro l’angolo: “Sergio Mattarella farebbe bene a tenersi le mani libere”.

Sapelli, l’Europa ha bisogno di questo accordo?

L’Europa ha bisogno di trovare un equilibrio. E dopo la Brexit questo equilibrio non può che essere un’entente cordiale dell’Italia con altri due Paesi europei: la Germania, potenza economica, e la Francia, potenza talassocratica e nucleare.

Quindi è una mossa diplomatica giusta?

Giusta, ma preparata nel modo sbagliato. Non si capisce ad esempio in quale logica diplomatica si inserisca la recente visita di Mattarella in Algeria per celebrare Mattei. La Francia ha pessimi rapporti con l’Algeria, inviare il Capo dello Stato è un antipasto indigesto per un trattato franco-italiano. A meno che…

Cosa?

C’è un’altra lettura possibile, e auspicabile. La visita in Algeria è un segnale di Mattarella: l’Italia vuole tenersi le mani libere. Dopotutto il tempismo è pessimo: mancano pochi mesi alle elezioni francesi, che potrebbero calare il sipario su Macron e il suo approccio gollista.

Gollista?

Il disegno di Macron si colloca a metà fra Monnet e De Gaulle. Come Monnet, vede l’Europa come un prolungamento della politica di potenza francese. E come De Gaulle punta su un rapporto privilegiato con la Russia per contenere le aspirazioni tedesche.

Entriamo nel merito. Il trattato comporta impegni sul fronte Difesa e sicurezza. C’è il rischio che la Francia voglia affermare una posizione di supremazia europea?

Non è un rischio, è il piano, alla luce del sole. Ripeto, il partenariato può essere un bene ma il tempismo non è ideale. Ci sono partite industriali in sospeso che è opportuno risolvere prima. Dalla vicenda Leonardo-Oto Melara alla trattativa fra Vivendi e Kkr in Tim.

Sono settimane calde anche per la crisi in Libia, un altro dossier comune. La Conferenza di Parigi è stata un’altra occasione persa?

L’ennesima illusione, forse consapevole. Come si può pensare di risolvere con le elezioni la crisi in Libia? Un Paese che per i due terzi è oggi controllato dal Feldmaresciallo Khalifa Haftar e per il resto da Russia e Turchia? La verità, di cui dovremmo tener conto quando firmiamo un trattato, è che i francesi stanno lavorando per espellere l’Italia e l’Eni dalla Libia. Ma sul trattato mi faccia aggiungere una questione di metodo.

Quale?

Il modo in cui è stato negoziato è una vergogna. Secretato, sottratto al controllo del Parlamento, cucito da privati cittadini, senza l’ombra di un dibattito pubblico. Mattarella dovrebbe dire una parola.

La Francia ha già un trattato simile con la Germania. L’Italia dovrebbe fare altrettanto per chiudere il triangolo in condizioni di parità?

Al più presto. Il trattato franco-tedesco risale ai tempi di De Gaulle e Adenauer. Negli anni ha dato vita a un’intesa stretta sul piano economico, militare, intellettuale. Ogni tanto ci sono perfino consigli dei ministri in comune. L’Italia può vantare solo collaborazioni isolate, penso a ottime realtà culturali come Villa Vigoni o Villa Sciarra, ma non ha un vero partenariato.

Un errore?

Sì, e può inficiare anche il trattato con i francesi. Rientra in una tradizione risorgimentale italiana: quella di fare il valzer tra Francia e Germania. All’epoca ci siamo alleati con Napoleone III, poi con la Prussia, prima di cambiare di nuovo idea nella Prima Guerra Mondiale. Il valzer è ripartito, sarebbe meglio fermarlo.

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