Skip to main content

Gli odiatori di Twitter? Non sopportano la libertà. La versione di Azzollini

Come si combatte l’odio online? Non con le norme, o non soltanto. Ne parla Vitalba Azzollini, giurista ed editorialista di Domani, tra le donne più odiate di Twitter secondo quanto emerso dalla Mappa dell’intolleranza 2021. A dare fastidio sono le persone libere, ancora di più se donne

“‘Complimenti’ a quelli (nomi notissimi, noti, meno noti, sconosciuti e falsi) che hanno concorso a farmi raggiungere questo poco invidiabile risultato. Cari… (e molti altri), non vi vergognate neanche un poco?”. Un tweet breve, ma esaustivo, pubblicato da Vitalba Azzollini, suo malgrado tra le donne più odiate su Twitter, apre nuovamente il dibattito sull’odio online che secondo quanto emerso dalla Mappa dell’intolleranza 2021 curata dall’Osservatorio dei diritti Vox colpisce quasi il 44% delle donne.

Azzollini è editorialista di Domani, giurista e funzionaria presso una autorità di vigilanza indipendente nonché autrice di articoli e contributi in materia giuridica per l’Istituto Bruno Leoni (tra cui due libri “Il pubblico ha sempre ragione? Presente e Futuro delle Politiche Culturali” e “Noi e lo Stato. Siamo ancora sudditi?”) e in questa classifica tutta in negativo non è sola: a politiche, influencer, cantanti e giornaliste sono state destinatarie privilegiate di questo tipo di messaggi, che spesso hanno anche un nome e un cognome.

Vitalba Azzollini

Lei parla di noti, notissimi che hanno concorso a farle raggiungere questo risultato. A chi si riferisce?

I tweet a cui faccio riferimento sono pubblici, e hanno visto la partecipazione anche di una serie di personaggi molto noti appartenenti al mondo della medicina, della politica e addirittura che gravitano in ambito governativo.

Di che tipo di attacchi parliamo?

Si tratta sempre di temi riguardanti il Covid. Non mi sono mai occupata di medicina, mi attengo rigorosamente al mio ambito di competenza, che è il diritto. Queste persone mi hanno invece attaccata, non si comprende bene neanche su quale base, dato che nessuna di loro si occupa di diritto. Peraltro, le mie argomentazioni in genere non vengono messe in discussione da altri giuristi, ci si può trovare d’accordo oppure no, ma la solidità delle argomentazioni resta. Ecco, il metodo seguito invece da queste persone è stato singolare, quasi più un attacco alla persona che agli argomenti usati. Si è trattato di attacchi svilenti, “ad hominem“, personali.

Ma non è iniziato dal nulla. Da cosa è stato scatenato, nella sua esperienza personale?

Qualsiasi cosa io scriva è sempre in maniera molto chiara e diretta. Come si suol dire ci metto la faccia, e ho delle posizioni molto nette. Probabilmente questo disturba soprattutto certe narrazioni. L’unico motivo per cui posso pensare di essere stata oggetto di attacchi da parte di queste persone è proprio quello di disturbare narrazioni, che in alcuni miei tweet ho smontato, quanto a coerenza.

Secondo il rapporto, l’odio online colpisce soprattutto le donne (43,70%). Quanto influisce in questo odio la richiesta da parte delle donne di maggiore riconoscimento negli ambiti lavorativi, ma non solo?

Non è solo un problema di essere “donna”. Penso che in questo momento ciò che dà più fastidio siano le persone libere da ogni schema. In una fase di forte polarizzazione, che si è andata accentuando con l’arrivo del Covid, a dare fastidio sono le voci libere, quelle che non possono essere ricondotte a nessuna categoria prefissata, ad esempio pro governo-contro governo. Io cerco di essere imparziale, non sono schierata da una parte o dall’altra, nonostante sia chiaramente pro vax. Parimenti, apprezzo molto il presidente del Consiglio, ma nel momento in cui scorgo delle incongruenze nei provvedimenti del governo, anche di un governo che opera comunque bene, le faccio presenti.

Questo è ciò che disturba. Il fatto che si evidenzino dei limiti, dei rischi, l’impatto di determinati provvedimenti anziché, come fanno le persone schierate, applaudire a tutto. La polarizzazione ha prodotto la questa spiacevole conseguenza. O si è da una parte o si è dall’altra: ad esempio, non è ammesso essere a favore dei vaccini e comunque dire che certi provvedimenti in tema vaccinale possono essere non coerenti o non sufficientemente efficaci. Si può stimare il presidente del Consiglio e comunque evidenziarne alcuni limiti dell’azione. Il fatto di essere donne rende, probabilmente, ancora più intollerabile tutto questo.

Perché?

Nella narrazione, e parliamo ancora una volta di narrazioni, la donna storicamente non “fa la guerra”. La lotta, il ring, il campo di combattimento sono considerate prerogative esclusivamente maschili. Nel mio caso l’odio è stato amplificato da un lato per il fatto che io mi sia sottratta all’appartenenza a qualunque parte e quindi sia stata presa di mira da entrambe le parti, a seconda di quello che dicevo. Inoltre, temo abbia disturbato il fatto che io sia una donna che non fa politica e che combatte semplicemente per le idee in cui crede.

Tra le donne più odiate ci sono anche Giorgia Meloni e Myrta Merlino. C’è una differenza con loro?

Giorgia Meloni fa politica, quindi è ovvio che combatte nel suo campo di battaglia, che può piacere o no, ma sta lì; una conduttrice televisiva deve conquistare l’audience, avere un premio in termini di ascolti. Da parte mia, ha dato fastidio il fatto che io combatta per le idee in cui credo senza alcun ritorno. Si fa fatica a capire perché io lo faccia, e questo sembra disorientare molti.

Negli scorsi mesi si è parlato molto di ddl Zan che proponeva nuove fattispecie di reato di istigazione all’odio. Pensa che la sua approvazione avrebbe potuto avere degli effetti anche sull’odio nei confronti delle donne?

Credo di no. Tra l’altro, a tal proposito, siccome io ero a favore di questo provvedimento ho passato veramente tanto tempo a smontare tutte le accuse che venivano fatte al disegno di legge e questo mi ha procurato ulteriori manifestazioni di odio in rete, proprio da coloro che dicevano che non c’era bisogno di combattere l’odio in rete, uno dei tanti paradossi. Ma no, non credo che avrebbe giovato.

Da giurista, pensa che la legge possa e debba arrivare dove la cultura non arriva?

Io sono ed ero a favore del ddl Zan perché credo che determinate persone, il loro modo di essere e sentirsi, debbano trovare riconoscimento anche attraverso i testi di legge e quel testo di legge le valorizzava. Non credo però che con la legge e le sanzioni si possa cambiare la cultura delle persone.

Andando oltre la legge, i meccanismi dei social come la rimozione dei contenuti che incitano all’odio può essere uno strumento utile?

Penso che tali meccanismi non siano adatti a risolvere il problema dell’odio in rete, perché se si evitano certe manifestazioni di odio in rete, comunque si possono spostare dall’online all’offline. Per questo dico che è una questione di cultura, ed è una questione che non si combatte semplicemente sulla rete o con dei meccanismi che operano solo in rete, ma in maniera più profonda.

Come è possibile agire, secondo la sua esperienza?

Per quanto mi riguarda – e questa è un’altra delle cose che probabilmente hanno dato fastidio – ho sempre adottato il metodo della trasparenza. Quando sono stata oggetto di attacchi ho reso trasparente l’attacco, il meccanismo sottostante e la persona che mi sferrava l’attacco. Ciò per fare in modo che le altre persone, la platea di Twitter, potesse rendersi conto tra i due attori sul palcoscenico, vale a dire io e l’insultatore, la differenza di argomenti e di metodo. Chi sosteneva un’idea e chi invece la sviliva con insulti, attacchi personali. Ho pensato che in questa maniera, mettendo le carte sul tavolo, potessi far capire a chi mi leggeva da quale parte stare. Se avessi voluto denunciare i miei insultatori avrei potuto farlo, ma credo che al di là della punizione personale – che può essere anche opportuna – serva molto di più cercare di far capire alle persone cosa sta accadendo. Io metto tutto sul tavolo, e poi scegliete voi da che parte stare.



×

Iscriviti alla newsletter