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Dopo LinkedIn, anche Yahoo dice addio alla Cina. Ecco perché

La piattaforma californiana segue l’esempio di LinkedIn e si ribella alla stretta delle autorità di Pechino. In realtà alcuni suoi servizi non erano più visibili da tempo, ma rimane la presa di posizione. L’ennesima da parte di un’azienda statunitense

Yahoo imita la scelta di LinkedIn e lascia la Cina a causa di un “ambiente commerciale e legale sempre più difficile”. Come si legge in una nota, a partire da ieri i servizi della piattaforma non saranno più accessibili agli utenti cinesi. In ogni caso, Yahoo ha garantito di rimanere “impegnato nei diritti dei nostri utenti e in un Internet libero e aperto”. Sul suo sito web cinese, dove è stata pubblicata la nota, sono comparsi link suggeriti che indirizzano gli utenti su altri siti.

Non è un caso che l’azienda californiana abbia deciso di fare le valigie proprio nel giorno in cui in Cina è entrata in vigore la legge che limita le informazioni che le società possono raccogliere e stabilisce gli standard su come devono essere archiviate. Una regolamentazione utile, da parte cinese, per tutelare la privacy degli utenti, ma che dal punto di vista delle aziende appare più l’ennesima invasione di campo del governo centrale.

Yahoo era arrivata in Cina nel 1998 e quattordici anni dopo aveva raggiunto un accordo con il colosso cinese Alibaba, che prese il controllo di Yahoo China mantenendo anche il diritto sul marchio per quattro anni. Successivamente, vennero chiusi i servizi sia di posta elettronica che del portale web. A rimanere attivo – anche se solo fino al 2015 – fu l’Ufficio di Pechino. Di conseguenza, quello annunciato da parte di Yahoo non è altro che un addio scontato.

Lo smantellamento dei tanti servizi aveva fatto sì che, prima di ieri, l’azienda statunitense gestisse solo un’app meteorologica e alcune pagine che raccoglievano articoli stranieri. Insomma, la porta è stata chiusa e sbattuta violentemente, ma ha fatto meno rumore per Yahoo piuttosto che per la Cina, che vede allontanarsi dal proprio territorio sempre più aziende americane, stufe del troppo controllo da parte delle autorità centrali di Pechino.

Come scritto, neanche un mese fa era stata la piattaforma lavorativa di Microsoft a smettere di funzionare, sempre perché troppo accerchiata da parte delle istituzioni cinesi. Al suo posto è nata la nuova piattaforma InJobs, con le stesse funzioni del suo antenato seppur con caratteristiche differenti – ad esempio, non sono previste la condivisione di post e i vari feed. Alle aziende che operano in Cina viene infatti richiesto di censurare alcuni contenuti ritenuti sensibili o poco graditi a livello politico e i contenuti che le società possono pubblicare passano sotto il vaglio delle autorità.

D’altronde, nel corso degli ultimi anni la stretta al tech da parte di Pechino è sembrata molto più dura, specie se di fronte si trovava una realtà in possesso della carta d’identità a stelle e strisce. Facebook e Google ne sanno qualcosa, dato che sono stati bloccati e per accedervi è necessario una VPN, una rete privata virtuale capace di eludere il blocco. La stessa con cui era possibile navigare e usufruire di alcuni servizi di Yahoo. Almeno fino a ieri, quando è diventata l’ultima vittima della lotta cinese al digitale.



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