Reuters rivela che Amazon “ha collaborato con il braccio della propaganda cinese”. I precedenti di Apple e Tesla: quel rapporto complicato dei giganti tech americani con il Pcc
Com’è evidente, le recensioni negative non piacciono agli autori dei libri. C’è chi protesta con i recensori, chi si compra le stelline positive. Ma quando si tratta di piattaforme di e-commerce la questione si fa più complessa. Come rispondere alle critiche? Come evitarne di nuove che non siano a cinque stelle? Difficile. Ma non se ti chiami Xi Jinping.
Reuters ha rivelato che “Amazon ha collaborato con il braccio della propaganda cinese” vietando qualsiasi valutazione e recensione sulla versione cinese della piattaforma a una collezione di discorsi e scritti del presidente cinese pubblicata dal governo di Pechino. La decisione di conformarsi all’editto “è parte di uno sforzo più profondo e decennale da parte della società per ottenere il favore di Pechino per proteggere e far crescere il suo business in uno dei più grandi mercati del mondo”, scrive l’agenzia di stampa.
Infatti, sulla base di interviste con “più di due dozzine di persone che sono state coinvolte nelle operazioni di Amazon in Cina” i reporter raccontano come l’azienda sia “sopravvissuta” e abbia “prosperato in Cina aiutando a promuovere l’agenda economica e politica globale del Partito comunista”. Con iniziative come il portale China Books, che propone volumi allineati con le posizioni di Pechino su diversi temi, a partire dalla questione dello Xinjiang.
Amazon ha risposto a Reuters sostenendo che “rispetta tutte le leggi e i regolamenti applicabili, ovunque operiamo, e la Cina non fa eccezione”. Ha aggiunto, difendendo la pluralità di visioni, che questa può includere “libri che alcuni possono trovare discutibili”.
Non è l’unica delle Big Tech a cercare modi di rimanere in Cina resistendo alla stretta del governo di Pechino.
Pochi giorni fa The Information aveva rivelato che Apple, il cui iPhone è diventato per la prima volta in sei anni lo smartphone più venduto in Cina, nel 2016 ha firmato un accordo segreto da 275 miliardi di dollari con il governo per ottenere una via d’accesso privilegiata al mercato cinese. In precedenza, lo stesso colosso americano, che fa della privacy una bandiera, aveva lasciato le chiavi dei suoi cloud e delle sue app al partito-stato cinese, lasciando che migliaia di app fossero censurate perché parlavano di argomenti tabù per il regime. A gestire l’accordo del 2016 è stato direttamente l’amministratore delegato Tim Cook, che cinque anni fa è volato diverse volte in Cina per porre fine all’atteggiamento ostile di Xi nei confronti del colosso Usa.
La Commissione sullo sviluppo nazionale e riforme ha lavorato per eliminare tutte le tagliole burocratiche che impedivano a Cupertino di dominare anche sul mercato cinese. Cook, in cambio, ha promesso di usare più componenti prodotte dai fornitori locali, di collaborare con le università e di investire in società cinesi. Tanto che nel maggio del 2016 uscì la notizia che Apple aveva finanziato Didi Chuxing, la versione cinese di Uber, per un miliardo di dollari.
Di recente è finito sotto i riflettori anche il rapporto tra Elon Musk e il governo cinese. Quest’ultimo, ha attratto Tesla attraverso una serie di regole ad hoc con l’obiettivo di rendere la propria industria all’avanguardia. Per l’azienda, invece, l’opportunità del mercato asiatico era enorme. Ma la gelosia delle società rivali rischia di mettere i bastoni tra le ruote, come raccontato su Formiche.net.